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20 settembre-9 ottobre 2013
in LAOS

incastonato tra vicini ingombranti che ne hanno influenzato il destino dall'alba dei tempi o quasi, interferendo spesso in modo più che tangibile con le vicende politiche ed economiche del paese, il laos è per certi versi culturalmente affine alla thailandia e per molti altri, in primis la sua storia, la grande varietà etnica e l'indelebile impronta tribale, del tutto diverso e davvero unico.

è una terra affascinante, che ha aperto le porte al visitatore straniero da appena 20 anni e quindi conserva incorrotti alcuni angoli di meraviglia, ancora ammantati dell'impagabile fascino dell'inviolato, e regala a tratti quel senso di scoperta oramai così raro da provare nel sudest asiatico. di recente, a dire il vero, lo sviluppo delle infrastrutture e la pubblicizzazione sempre più spinta, presso il pubblico occidentale, soprattutto francese, del laos quale meta esotica e abbordabile ha però dato luogo a un tipo di turismo che ad essere onesti non ci entusiasma affatto (e lo stesso vale anche per i paesi confinanti): che si tratti di giovani backpackers in cerca di sballo e con poco rispetto per la cultura locale (quelli che se ne vanno per le strade a torso nudo con la birra in mano, manco fossero a casa loro, e poi la mattina presenziano molesti alla cerimonia del tak bat di luang prabang -la raccolta mattutina delle offerte di cibo donate ai monaci dai fedeli buddhisti-, piazzandosi con tanto di invasivissimi teleobiettivi a mezzo metro dai monaci e dai fedeli, senza il minimo riguardo), o dei grupponi dei tour organizzati, meno sfacciati e un po' più coscienziosi, il risultato è sempre lo stesso. pochissimi si muovono coi mezzi pubblici, preferendo appoggiarsi alle agenzie per prenotare esclusivi VIP bus privati (e poi si chiedono come mai non viaggiano mai coi laotiani!), pochissimi mangiano nei mercati o nelle bancarelle lungo la strada, optando per costosi e sterili pasti a base di bistecca, patatine e coca cola nei ristoranti per falang. scelte quantomeno opinabili, considerando che siamo in uno dei paesi più poveri dell'asia. quelli che, come cerchiamo di fare noi, ancora girano senza mai prendere un taxi o un tuk tuk, vivono di street food e si spostano rigorosamente coi mezzi pubblici sono una specie in via d'estinzione, almeno in questa parte del mondo. punto e chiusa la digressione che non voleva essere intenzionalmente polemica ma se n'è uscita così. lorsignori vogliano scusarci.


il laos è un insieme stratificato e complesso di gruppi etnici e linguistici, di popoli tribali, di tradizioni antiche ma ancora vivaci, un'istantanea memorabile di uno stile di vita che altrove non è più, primordiale e infinitamente più naturale e consapevole, una collezione di tipi umani di una bellezza rara e struggente che muovono sullo sfondo più o meno incontaminato di una natura selvaggia e rigogliosa (nonostante i progetti per lo sviluppo energetico, l'industria metallurgica, le miniere etc che incalzano anche da queste parti, oppure il terrificante cementificio stile isengard-dei-tempi-bui, che scorgiamo illuminato a giorno nella notte laotiana transitando in bus per vang vieng).

la fondazione del laos come oggi lo conosciamo, o quasi, viene fatta comunemente risalire all'epoca di lan xang, il regno di un milione di elefanti, che nel 1354 unificò per la prima volta le genti lao in un organismo statale unitario, il quale plasmò per tre secoli la sua fortuna attraverso alterne alleanze e scontri coi regni khmer, thai e vietnamiti. alla fine del XVII secolo lan xang venne smembrato in tre regni minori, quelli di vientiane al centro, di luang prabang a nord e di champasak a sud, annessi al siam appena un centinaio d'anni più tardi, solo per venirne strappati sul finire dell'800 ad opera della corona di francia e di nuovo unificati sotto l'egida dell'empire colonial français. il protettorato francese del laos con capitale vientiane rimase uno stato cuscinetto di scarsa rilevanza all'interno degli equilibri dell'indocina francese fino a quando nel 1940, in seguito allo scoppio della seconda guerra mondiale, l'impero del sol levante si impossessò dei domini coloniali di parigi. nello stesso anno ebbe luogo il contrattacco siamese che recuperò parte dei possedimenti sottratti dalla francia e lasciò il solo regno di luang prabang a governare la restante porzione di territorio laotiano. nel '44 le truppe francesi si riorganizzarono per rispondere ai giapponesi, ma ne vennero sbaragliate e dovettero così assistere alla proclamazione da parte del re del laos, sotto notevole pressione nipponica, dell'indipendenza dalla dominazione francese e del riconoscimento della protezione di tokyo. quindi, in seguito alla sconfitta giapponese del '45, venne proclamata la repubblica da parte del pathet lao -il movimento comunista laotiano-, esperienza durata soltanto pochi mesi e conclusasi quando i francesi, che non intendevano affatto mollare la presa in indocina, ripresero il controllo della loro ex colonia, restaurando la monarchia laotiana nel '47. nel frattempo in vietnam le fazioni antifrancesi e antimonarchiche della regione si confederavano nel partito comunista dell'indocina, dal quale in seguito si staccarono le varie sezioni nazionali, allo scopo di porre fine in via definitiva alla tirannia imperialista straniera e di fare al contempo capitolare anche l'amministrazione monarchica. nei primi anni '50 il pathet lao col sostegno vietnamita da una parte e il regno laotiano con lo sponsor francese dall'altra, a sua volta occultamente sovvenzionato dagli usa, creavano ciascuno un proprio esercito. nel '53 le truppe vietnamite del generale giap e i guerriglieri del pathet lao invasero il laos nordorientale, dando inizio alla guerra civile. la lotta per l'indipendenza dell'indocina era cominciata e si sarebbe trascinata fino alla risolutiva battaglia di dien bien phu nel 1954, combattuta presso il confine lao-vietnamita, che sancì l'inappellabile sconfitta dell'imperialismo francese segnando però di fatto l'avvio, o meglio l'intensificazione, dell'ingerenza americana nel sudest asiatico.


la guerra civile laotiana, che contrappose le forze comuniste finanziate dall'unione sovietica e le truppe della monarchia sostenute dagli usa, si protrasse infatti dal 1953 fino al '75, grazie al malcelato e continuativo intervento degli stati uniti in quella che fu definita una vera e propria guerra segreta, condotta da washington nella piena violazione di ogni convenzione internazionale, che si concretizzò nel sovvenzionamento per parte americana dell'80% delle spese militari dell'esercito reale e nell'addestramento di 30000 civili di etnia hmong alla guerriglia anticomunista.
la costruzione da parte lao-vietnamita della rete stradale, più nota col nome di "sentiero di ho chi minh", con cui i nord-vietnamiti rifornivano la guerriglia nel sud del paese, passando attraverso laos e cambogia, significò l'instaurazione di un legame fondamentale tra i due fronti del conflitto. fu proprio per ostacolare tale connessione che l'esercito americano avviò a partire dal 1964 una campagna di bombardamenti a danno del laos, tra le più massicce e criminali che memoria d'uomo ricordi, costringendo nello stesso anno più di 20000 guerriglieri laotiani ad asserragliarsi nei 486 cunicoli naturali delle grotte di vieng xay.

il laos è il paese più bombardato della storia. l'esercito americano sganciò complessivamente più di due milioni di tonnellate di bombe, circa 84 tonnellate per abitante, ovvero la bellezza di 270 milioni di ordigni in totale, di cui 80 milioni giacciono ancora inesplosi in terra laotiana. sul popolo del laos in quel decennio nero è piovuto l'equivalente di una bomba ogni 8 minuti, e questo per 9 lunghissimi anni. circa 30000 persone (98% dei quali civili) furono brutalmente uccise e centinaia di villaggi cancellati in un istante. come se ciò non bastasse, pur se la guerra segreta americana si è conclusa più di 40 anni fa, le milioni di bombe presenti su tutto il territorio nazionale non cessano di massacrare civili innocenti: 20000 laotiani sono morti dal '74 in poi e al giorno d'oggi la media è quella di due decessi la settimana, di cui il 40% sono bambini.

dal 1973-74, con l'escalation del conflitto in vietnam, i raid americani persero prima di intensità e quindi cessarono del tutto, costringendo l'esercito reale lasciato a se stesso ad arrendersi infine alle forze del pathet lao nel 1975, anno in cui fu proclamata la repubblica democratica popolare del laos. alla vittoria del fronte comunista seguì la violenta persecuzione dei traditori hmong che avevano collaborato con le truppe americane e la loro conseguente migrazione di massa verso la vicina thailandia o gli stati uniti.
oggi il laos è tra i paesi più poveri dell'intero pianeta e se ne langue tuttora sottoposto, più o meno palesemente, all'ingerenza politica vietnamita e alla dipendenza economica dalla thailandia.

ma c'è di più. oltre al dichiarato intento di contrastare l'avanzata del mostro comunista, l'obiettivo fondamentale del coinvolgimento statunitense (e francese prima) nel conflitto che ha insanguinato e distrutto l'intero sud-est asiatico è sempre stato il controllo della produzione e del traffico di oppio nel triangolo d'oro (come del resto è poi accaduto in afganisthan). dapprima fu l’intelligence militare francese a finanziare le sue operazioni belliche col commercio di oppio e eroina, che servì a sostenere la guerra coloniale dal 1946 sino al 1954: la raccolta dell'oppio grezzo avveniva nelle aree tribali, da cui poi veniva trasportato per mezzo di velivoli militari fino a saigon, dove la mafia sino-vietnamita si occupava di spedirlo in francia perchè fosse raffinato in eroina e quindi spacciato in europa e negli stati uniti. in seguito alla cacciata dei francesi dall'indocina, la CIA rilevò la redditizia attività del narcotraffico di cui sopra e, sulla base di ciò, orientò la strategia delle forze statunitensi in vietnam, affinché il conflitto si protraesse, nonostante l'evidente disparità di mezzi e uomini dispiegati e fatta salva la grande determinazione e la notevole abilità militare vietnamita, tutto il tempo necessario al governo e ai servizi segreti usa per ottenere il controllo sul mercato dell'oppio nella regione. i dati circa l'assuefazione da eroina, dilagante prima tra le truppe yankee in vietnam e più tardi tra la popolazione nordamericana e dell'europa occidentale, a partire dal conflitto vietnamita sono già di per se stessi sufficientemente eloquenti. un prezzo altissimo fu pagato in termini di vite umane in laos e vietnam. la gestione dell'affare oppio si avvaleva della collaborazione del comando militare sudvietnamita, che allestì una rete di traffico molto ampia attraverso le sue forze speciali operanti in laos.
il regno laotiano, filoamericano, divenne in questo periodo, e sotto il diretto controllo della CIA, uno dei principali produttori di oppio, il quale veniva poi trasportato a bordo dei mezzi dell'“air america”, quando non addirittura con le salme rimpatriate dei caduti americani in guerra.



una storia quella del laos che dire tormentata è dire niente e che è direttamente connessa con le difficili condizioni di vita in cui versa ancora oggi buona parte della popolazione. fuori dalle piccole città principali il laos è un trionfo di villaggi rurali stile nepal, con capanne di legno, paglia o bambù inghiottite dalla giungla, dove bimbi seminudi e impolverati scorrazzano liberi e la vita scorre lontana anni luce dal buco nero global-capitalistico.

questa finestra aperta sull'asia-che-fu è il motivo principale per cui si viene in laos, anche alla luce del fatto che la stessa atmosfera di bucolica serenità è quasi scomparsa, o almeno è assai rara da ritrovare, nelle altre zone del sudest asiatico, mentre invece ad esempio è decisamente viva e vegeta nel subcontinente indiano.

a dirla tutta vientiane ha secondo noi poco da offrire, se non la possibilità di toccare con mano ciò che anche il laos è destinato a diventare in futuro, salvo cataclismi planetari. nella capitale infatti quelli che lavorano nel mondo del turismo si sono in breve tempo arricchiti a livelli davvero considerevoli per gli standard laotiani (e i prezzi stratosferici dei servizi turistici rispetto al costo della vita reale la dicono lunga in proposito), accentuando il già notevole divario tra città e villaggi, tra ceti sociali, tra etnie della piana del mekong e lao delle colline e delle montagne. in compenso però altrove il laos regala scorci interessanti di vita tribale, come accade nei pittoreschi mercati tradizionali dove le genti delle tribù delle colline, in costume tipico, si radunano per vendere scoiattoli arrostiti, bisce d'acqua, pipistrelli essiccati, illegalissimi esemplari di loris lento da compagnia e poi il solito campionario di grilli, cavallette, larve e bacherozzi vari. una sorta di museo di etnografia vivente. la gente poi è dovunque amichevole e generosa.

non abbiamo a disposizione tutto il tempo del mondo, perciò non riusciamo ad andare ovunque vorremmo, anche perché siamo costretti a trattenerci quasi una settimana a vientiane per sbrigare le faccende relative al visto cinese e vietnamita. il nostro passaggio attraverso il laos, pur se meno estensivo di quanto ci sarebbe garbato, basta comunque a farci cogliere l'enorme differenza tra le destinazioni più gettonate e le perle rare disseminate lungo le rotte meno battute, dove le folle di vacanzieri scompaiono e il laos si trasforma in un luogo idilliaco che ci incanta almeno quanto vientiane ci lascia indifferenti.

insomma, nonostante alcuni aspetti che non siamo riusciti a digerire per bene, soprattutto per quanto concerne il tipo di turismo promosso dal governo “comunista”, questa rimane una terra indubbiamente seducente, che ci ha lasciato la voglia di tornare per immergerci di nuovo nel verde splendore delle risaie, nella maestosità della foresta, nell'atmosfera senza pari dei villaggi di collina, per goderci il laos che ci ha toccato il cuore.
ma quali trekking costosissimi con guida anglofona o a dorso di poveri elefanti ammaestrati?
ma quali tour in barca, magari stipati insieme a chissà quanti altri falang in tre metri quadrati?
ma quali visite organizzate ai villaggi delle etnie tribali, che somigliano purtroppo a tristi scampagnate domenicali allo zoo, dove in mostra, invece di animali ingabbiati, ci sono persone in carne ed ossa, stili di vita e inestimabili patrimoni culturali, schiaffati in vetrina perché l'uomo urbano e civilizzato soddisfi la sua curiosità morbosa e ignorante?
mah, a ognuno il suo. tutto questo certo non fa per noi. preferiamo di gran lunga girovagare a piedi per i fatti nostri, attraverso villaggi sonnolenti o alla scoperta dei coloratissimi mercati tradizionali, che forse non figurano nelle guide ma mostrano il volto più autentico del laos, quello che se ne sta appena al di là dei tour e dei pacchetti, in attesa di essere scoperto.


i fotogrammi preziosi e impagabili di questo paese splendido, cui ripensiamo con tenerezza, rispetto e nostalgia, ci accompagneranno a lungo, soprattutto mentre arranchiamo schifati nella giungla di cemento delle città, dove tutti vestono uniformemente all'ultima moda e vivono per l'iphone, le scarpe nuove, i jeans griffati, il macchinone e la sfolgorante carriera da schiavi di una multinazionale a caso.

il nostro itinerario in due parole: partiamo da VIENTIANE dove, a parte lo stupa dorato, qualche wat interessante, alcuni musei ed edifici coloniali, c'è poco altro a trattenerci e quindi ci spostiamo a sud verso SAVANNAKHET; anche qui non c'è granchè da fare, se non passeggiare in riva al mekong e chiacchierare col primo che passa, perciò, dopo il rapidissimo prelievo di passaporti e scartoffie annesse presso le ambasciate di cina e vietnam nella capitale, migriamo stavolta verso nord e di preciso a LUANG PRABANG; la meta più visitata del laos fu capitale del grande regno di lang xang e conserva un numero ragguardevole di magnifici wat patrimonio dell'unesco, intervallati da una sfilza più o meno infinita di guesthouse, ristoranti e simil-bistrot parigini, che non sono ancora riusciti a guastarne del tutto la piacevole atmosfera –anche se forse è solo questione di tempo -; per OUDOMXAY passiamo e basta, fermandoci una sola notte, e poi proseguiamo ancora in direzione nord verso MUANG SING, dove passeggiamo per la campagna circostante costellata di villaggi incantati; l'ultima tappa è LUANG NAM THA, coi suoi dintorni mozzafiato, per cui sarebbe potenzialmente possibile vagare all'infinito, zeppi come sono di scene da idillio campestre, gruppi tribali e dimore tradizionali sperdute tra le risaie, e poi il piccolo stuzzicante night market, dove cerchiamo ristoro dopo le escursioni quotidiane, magari in compagnia delle adorabili donnine akha o del beone laotiano di turno che prima, indicandoci, urla incazzoso al suo amico “falang.. america..” (e infondo chi può biasimarlo?) e poi, appena scopre che siamo italiani, non smette un secondo di ridere, mimare la testata di zidane a materazzi e offrirci generose sorsate di beer lao; infine ce ne partiamo alla volta del posto di confine di BOTEN-MOHAN e poi... di là è la cina.

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