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17 marzo - 12 giugno 2013 – NEPAL²

·parte seconda·

BANDIPUR e RAMKOT

bandipur è un magnifico borgo newari, arroccato in splendida posizione sulla cima delle colline che sovrastano dumre, un paio d'ore di autobus a ovest di pokhara. fu parte del regno magar di tanahun, di cui palpa era la capitale, fino a quando il territorio in questione venne massicciamente popolato dai newari della valle di kathmandu, che vi si trasferirono nella seconda metà del '700 in seguito alla penetrazione degli eserciti di prithvi narayan shah nell'area dell'odierna capitale nepalese. deliziose case tradizionali in legno e mattoni fiancheggiano gli affascinanti vicoli acciottolati e pittoresche botteghe porticate, le case-negozio dei commercianti di tessuti newari, si succedono fianco a fianco nella zona del balabazar, a testimonianza del tempo in cui bandipur era un importante punto di sosta per i mercanti che percorrevano l'antica via commerciale tra india e tibet. il cuore del villaggio ruota intorno alla piazzetta del tempio di bindyabasini, proprio in fondo alla via centrale, dove sorge anche la biblioteca di padma, uno degli edifici più raffinati e apprezzati. molti altri tempietti sono disseminati nei dintorni, come il piccolo santuario di ganesh, nascosto tra alberi giganteschi e fiabesche casette cinte da mura di pietra e raggiunto da sconnessi gradini lastricati, o il mandir di khadga devi, sacro custode della spada reale di mukunda sen, eroico sovrano di palpa, cui si accede tramite un'altra scalinata di pietra che s'arrampica sulla cima della collina alle spalle del tempio di bindyabasini.
bandipur attira molti turisti, tra cui anche qualche comitiva numerosa e forse un po' troppo invadente con la macchina fotografica, ma la gente è cordiale e sorridente e i prezzi ancora onestissimi. e poi nei vicoli più appartati, lontano dalla via principale coi suoi ristoranti e negozi di souvenir, pare quasi di viaggiare indietro nel tempo, come del resto accade in tutti o quasi i villaggi nepalesi per cui siamo passati: le donne macinano le lenticchie a mano con un disco di pietra, gruppi di anziani siedono nel cortile del tempio intonando canti sacri, bimbetti buffi e sorridenti portano le capre al pascolo e semi di senape, chicchi di riso e peperoncini seccano al sole lungo la strada.. la bellezza serena di questo mondo da fiaba è resa ancora più surreale dall'architettura spettacolare che la incornicia e dalle colline che la avvolgono tutto intorno, digradando in terrazze infinite di mille sfumature gialle, rosse e verdi.

in più nelle vicinanze di passeggiate da fare ce n'è per tutti i gusti. con pochi agevoli passi dal centro si raggiungono i limiti del villaggio e la rani ban, la foresta della regina, tundikhel, la spianata dove si riunivano i mercanti in viaggio per contrattare i prezzi delle merci, o tin dhara, le tre fontane dove quotidianamente si recano ciarliere orde di donne con prole al seguito per lavarsi, pulire pentole e stoviglie o fare il bucato. oppure ci si può spingere un po' più in là verso il tempio collinare di thani mai o i vari punti panoramici che regalano belle vedute dell'himalaya.



infine qualche ora di cammino consente di visitare le grotte e i villaggi delle valli circostanti. noi andiamo a ramkot, fascinoso insediamento magar in una zona alquanto isolata in cui è difficile arrivare se non a piedi e che perciò è pressochè immune al tempo che passa. ci sono ancora alcune delle tradizionali dimore circolari di pietra e gli abitanti conservano uno stile di vita del tutto estraneo ai meccanismi del global-capitalismo alla deriva che governano il mondo e se ne stanno felicemente sospesi in un epoca che non c'è più.


POKHARA, PAME e KAULE


se da un lato pokhara è come al solito il posto giusto per rilassarsi, dormire un po' e approfittare della dovizia di opzioni gastronomiche e comodità tecnologiche altrove meno accessibili, dall'altro però sta diventando decisamente troppo turistica e a dir poco costosa. d'altronde c'era da aspettarselo dalla meta più visitata del nepal, che negli ultimi vent'anni ha subito incessanti mutamenti in senso oltremodo commercialoide conditi da più di qualche scempio. resta il fatto che è comunque un peccato assistere al drastico assottigliarsi del numero delle tavernette tradizionali e economiche e alla demolizione sistematica delle piccole guest house a buon mercato per fare posto a mega-alberghi e ristoranti che servono la solita indecente bistecca fumante.. e poi i prezzi di tutto o quasi sono vertiginosamente alti rispetto al resto del paese, tanto che oramai tocca faticare per rimediare un po' di frutta senza dissanguarsi e all'ora di pranzo conviene incrociare le dita sperando che non abbiano raso al suolo il piccolo ristorantino all'angolo che serve deliziosi momo a 40-50rs, un vero daal bhat tarkhari all-you-can-eat per 120rs e l'immancabile thumba per 80-100rs al massimo. 10 anni ancora e pokhara è spacciata, per dirla con un eufemismo, sprofondata in un girone infernale di asfalto, pacchetti vacanza, aria condizionata e pizzerie, nella peggiore tradizione del neocolonialismo da agenzia di viaggi. 

certo il phewa tal è sempre tranquillo e col bel tempo davvero incantevole, nonostante l'ansia da colata di cemento che dimostrano le autorità lastricando sezioni sempre maggiori del camminamento lungolago. meno male che si possono ancora fare delle gran passeggiate sulle colline circostanti, a zonzo per i villaggi adorabili del distretto di kaski, molto meno invasi dal turismo di massa e dalla spersonalizzante tabula rasa che questo lascia dietro di sè al suo passaggio. e almeno la peace pagoda, sarangkot o panchase regalano ancora panoramiche memorabili dell'annapurna all'alba. 

noi anche stavolta andiamo a pame (GRAZIE A MANJU!!) e ci rilassiamo qualche giorno a suon di scampagnate lungo il fiume tra bufali ruminanti e contadini in ammollo nel fango fino alle ginocchia, intenti a lavorare la terra delle risaie con aratri d'altri tempi trainati da possenti sacri bovi. e poi a kaule, che è sempre favolosamente pacifica e intrisa di quell'atmosfera da mondo fantastico che ci solletica tolkeniane associazioni con la contea di bilbo e frodo. il tempo corre e le giornate di bel tempo scarseggiano, ma quando non piove l'annapurna e il machhapuchhare risplendono immensi contro il cielo blu. e poi si parte in direzione sud lungo la siddharta highway..

TANSEN e BHAIRAB STHAN

questo è decisamente uno dei posti più meravigliosi del nepal, almeno secondo noi. la città è un incanto di ripide viuzze acciottolate, gremite dei soliti magnifici edifici tradizionali, vestigia del grandioso regno di tanahun o eredità dell'attività commerciale dei mercanti lungo la rotta india-tibet: casette newari, fontane pubbliche e bacini sacri, botteghe pittoresche, ristorantini tipici e immancabili templi pittoreschi, come il bellissimo mandir ottocentesco di amar narayan, che ricordiamo sia per le raffinate decorazioni intagliate che per i festeggiamenti matrimoniali in grande stile in cui incappiamo con molto piacere.
oltre al fascino carismatico di cui la città è ammantata in ogni via, ciò che rende tansen davvero unica è la quasi totale (e inspiegabile) assenza di turisti che, unitamente all'animo gentile e accogliente della sua gente e ai prezzi abbordabilissimi, contribuisce a mantenere intatta la genuina e autentica atmosfera nepalese altrove assai rara. e, dovunque ci si spinga girovagando fuori città, i dintorni offrono paesaggi mozzafiato fin dove occhio può vedere e colline incantate tra le più splendide dell'arco himalayano.
da tansen andiamo al mandir di bhairab sthan con una agevole camminata di 9km attraverso sonnolente contrade e villaggetti newari. è sabato, giorno di sacrifici, e folle bibliche se ne stanno accalcate in file interminabili lungo la scalinata che sale al tempio sulla cima della collina, con galli sottobraccio e capre al guinzaglio, offerte da immolare a bhairab per ingraziarsi la benevolenza dell'iroso aspetto di shiva.


in nepal infatti, in occasione di numerose festività, per propiziare eventi importanti o anche solo per assicurarsi il favore divino nella vita quotidiana, scorrono ovunque o quasi copiosi rivoli di sangue animale, che imbrattano le spianate antistanti i templi e tingono di rosso l'erba dei cortili. noi osserviamo curiosi in disparte e ogni tanto qualche rotolante testa mozzata ci riporta all'attualità di tali interessanti consuetudini socio-culturali-cultuali e all'intramontabile attaccamento popolare per questa pratica rituale millenaria, che nei secoli ha nutrito col sangue il fervore religioso nepalese.


RANIGHAT e RIDI BAZAR

una delle passeggiate più famose da tansen è quella verso il palazzo di ranighat. in circa 5-6h tra andata e ritorno si scende lungo una ripida vallata seguendo ampi gradini lastricati facilmente percorribili. una volta giù ci si addentra nella verdeggiante foresta a fondovalle e si attraversano pittoreschi villaggetti sperduti tra boschi e risaie fino a che si raggiunge il punto in cui il torrente si getta nel sacro kali gandaki. proprio lì sorge un altro minuscolo villaggio con poche case e un paio di taverne per sfamare i rari visitatori che si spingono sin qui. e di fronte, sulla riva orientale del fiume, se ne sta questa singolare visione di blu e di bianco che nessuno mai si aspetterebbe di veder spuntare dalle foreste himalayane. 
il ranighat durbar è un edificio tardo ottocentesco in stile neoclassico, dal sapore decisamente europeo, eretto dal sovrano rana khadga shamsher in onore della sua adorata moglie defunta e progettato da architetti inglesi di calcutta. in sé non sarebbe granchè ma la location fluviale e immersa in un contorno di dolci colline e foresta quasi impenetrabile, complice anche l'assenza di strade vere e proprie per arrivarci e il ponte di corde che attraversa il kali gandaki, lo rendono un luogo davvero unico e suggestivo.


dopo di che facciamo un salto anche a ridi bazar, città sacra posta sulla confluenza tra il kali gandaki e ridi khola e sede del veneratissimo mandir di rishikesh, sempre affollato di devoti vishnuiti in pellegrinaggio. orde variopinte di donne portano piccole giare colme dell'acqua sacra e offrono al dio le loro puje floreali mentre i baba cantano inni a rama e krishna. il paesino è incantevole, fitto com'è di stradine acciottolate di grande atmosfera e vicoli deliziosi che scendono al fiume costeggiando alte case porticate di mattoni. di turisti manco l'ombra, infatti i bimbetti ci seguono curiosi dentro i negozi e le case da thé e gli anziani ci rivolgono come sempre saluti gioiosi e festanti benedizioni.
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17 marzo - 12 giugno 2013 – NEPAL²

· parte prima ·

siamo di nuovo in nepal, a 2 anni di distanza, e stavolta optiamo per attraversarlo, certo non senza ampie deviazioni verso le colline a settentrione, da est a ovest lungo la mahendra highway, che taglia orizzontalmente la piana del terai correndo tra west bengal e uttarakhand.

DHARAN e BIJAYAPUR

dal confine indonepalese orientale di panitanki-kakarbitta avanziamo lentamente verso ovest a bordo del solito adorabile bus impolverato e sovraccarico e dopo 4-5h arriviamo a dharan, che sorge proprio dove la strada abbandona la pianura polverosa e inizia a salire verso le colline, su fino ai villaggi da cui partono i trekking sul makalu. dharan ha il sapore familiare delle città del terai ma è più tranquilla, meno caotica, con quel feeling da centro di collina nepalese, percorso in lungo e in largo da quiete viette costellate di negozi di artigianato e medicina tradizionale e dei soliti chiassosi bazar, e incorniciato da idilliaci rilievi fitti di sentieri acciottolati che dal centro cittadino s'arrampicano fin sulla cima. i dintorni sono popolati da numerose etnie tra cui limbu, newari, tamang, gurung, chhetri etc, i cui templi e villaggi sono mete ideali per una gita in giornata da dharan. con una breve passeggiata dal bazar raggiungiamo il delizioso borghetto collinare di bijayapur coi suoi innumerevoli tempietti, le case tradizionali e panorami di verdeggiante dolcezza a perdita d'occhio. 

il più famoso dei templi di bijayapur è il budha subbha mandir, che sorge sul luogo di morte e sepoltura dell'ultimo re limbu del regno di morang. secondo le cronache egli sarebbe stato attirato in loco, con l'ingannevole pretesto di una negoziazione, dagli emissari di prithvi narayan shah (il re gorkha che successivamente unificò il nepal) e quindi da loro assassinato. il popolo limbu continua tuttora a venerare l'anima di quel suo ultimo re, il quale si dice abbia vagato come spirito tra le contrade di bijayapur per tempo immemore, sorvegliando e aiutando amorevolmente i suoi sudditi e fratelli, fino a quando questi hanno eretto alla sua memoria il mandir di budha subba. oggi tutta l'area del tempio è cosparsa di braccialetti colorati, che le giovani coppie annodano all'alto fusto dei bamboo o allo steccato, scrivendo sulla stoffa i loro nomi, un auspicio speranzoso per un tempo infinito e felice insieme, propiziato dalla benevolenza dell'eterno re che veglia ancora sul suo popolo..

JANAKPUR e KUWA

janakpur, la città dei janaka, è il leggendario luogo natale di sita, la regina e coprotagonista delle epiche vicende del ramayana, nonché il sito in cui vennero celebrate le sue nozze col divino rama di ayodhya, dopo che lui solo riuscì a tendere l'arco di shiva, condizione essenziale posta dal re per concedere la mano della nobile figlia. si tratta dell'antica mithila, capitale del regno di videha, più comunemente conosciuto col nome della stessa città reale, il cui territorio corrisponde oggi a un'area suddivisa tra il distretto nepalese di dhanusa e lo stato indiano del bihar. janaka è il titolo assunto da tutti i 57 sovrani mithila, di cui il più famoso è il 21esimo, il padre di sita devi.
janakpur è da ogni punto di vista una città indiana, tranne forse per il numero di abitanti che la avvicina più all'universo nepalese, poco affollato e decisamente meno caotico. le vie polverose della città vecchia sono affascinanti, i prezzi tra i migliori del nepal e la popolazione amichevole e poco avvezza a incontrare turisti, cosa che è sempre un valore aggiunto. vagare tra i numerosi templi e bacini sacri è un passatempo niente male, ma ciò per cui janakpur è conosciuta e ammirata in tutto il subcontinente è il janaki mandir, il tempio dedicato a sita, incantevole esempio di architettura in stile rajput eretto nel primo novecento da una regina dell'india centrale. le sue proporzioni aggraziate, che alternano guglie aguzze a morbide nicchie decorate, gli eleganti portici, le finestre intagliate e le decorazioni colorate che si accendono contro il bianco dello sfondo amplificano il suo fascino raffinato in una risonanza incessante di forme e colori.. ma sono soprattutto l'andirivieni costante di pellegrini, i bimbi che ficcano curiosi il naso qua e là, i capannelli di baba ciarlieri e sorridenti che ti ringraziano senza posa e non chiedono manco una rupia, i teneri nonnetti che pregano, mangiano e dormono all'ombra dei begl'archi lobati e le donne che conversano amabilmente sui gradini adorni dei fiori variopinti delle puje a conferire al tempio un'aura di pura magia.


poi facciamo un giretto nei dintorni della città, dove diversi villaggi mithila se ne stanno al riparo dal caos urbanizzato e dall'occidentalizzazione altrove galoppante, avvolti in un'atmosfera bucolica d'altri tempi. 


le donne mithila sono conosciute per le meravigliose pitture colorate che eseguono sulle pareti di fango delle case e che ritraggono scene di vita quotidiana dell'universo femminile, il quale da sempre trova poche occasioni di esprimersi nelle società patriarcali, e sono preziose testimonianze socio-antropologiche di riti, festività, rapporti sociali e fatiche contadine, insomma veri e propri affreschi della vita rurale di questa zona del subcontinente. andiamo a piedi fino al villaggio di kuwa, non lontano dal centro di janakpur ma immerso in un paesaggio campestre di seducente bellezza, con le case di fango affacciate su tranquilli sentieri d'erba e ghiaia e decine di bimbetti allegri che ci sgambettano incontro. oggi in particolari periodi dell'anno si può ancora scorgere qualche traccia dei suddetti dipinti parietali, anche se le donne della comunità sono prevalentemente attive nel centro di sviluppo femminile costruito ad hoc per la realizzazione e la promozione della loro arte.



HETAUDA e DAMAN

da janakpur raggiungiamo hetauda, lo snodo dove la mahendra highway si incrocia con la tribuvan highway, la prima strada costruita in nepal nonché una delle più panoramiche e spettacolari, che dal confine di birganji raggiunge kathmandu attraversando le hills centrali. da hetauda alla capitale sono 120 km di dolci curve montane che salgono serpeggiando tra villaggi tradizionali, piccoli borghi contadini e vedute mozzafiato sulle valli circostanti, fino al punto in cui poi la strada scollina e prende a scendere in direzione della valle di kathmandu. nel punto più alto, a 2500mt circa, sorge il villaggio di simbhanjyang e poi, verso nord poco più in basso, daman (2300mt), dove ci fermiamo per qualche giorno. questa piccola contrada collinare è rinomata in nepal per la vista imperdibile che regala sulla catena himalayana, spaziando da est a ovest, dall'annapurna fino all'everest nelle giornate più limpide, e abbracciando in un grandangolo da cartolina machhpuchhare, manaslu, himalchuli, ganesh himal, lantang, dorje lakpa e gauri shankar. 



noi alloggiamo in una piccola guest house di proprietà di una delle famiglie locali, una deliziosa casetta sherpa solo per noi, data la quasi totale assenza di visitatori, col bagno esterno tra gli alberi del bosco e una tinozza per scaldare l'acqua al sole. la notte è uno spettacolo commovente di miriadi di stelle luccicanti e tutto è avvolto in un incantato silenzio assoluto, così dormiamo sonni profondi e ristoratori e possiamo destarci nel fresco pungente dell'alba per goderci l'incantato scenario himalayano quando dà il meglio di sè. la famiglia sherpa che ci ospita è splendida e molto amichevole e ci prepara ogni giorno un daal bhat delizioso, anche perchè nei dintorni di daman si coltiva una varietà di verdura particolare e gustosissima che viene poi venduta in tutto il nepal.

il villaggio è poco più che 4 casette in fila lungo la strada, uno di quei posti un po' sperduti e perciò affascinanti, e da più o meno qualsiasi punto si gode di un panorama mozzafiato sulle valli sottostanti e sulle maestose montagne innevate a nord che si ergono imponenti sopra ogni cosa. dalla finestra della nostra camera sbirciamo il rigoglio del grande giardino botanico, punteggiato del rosso dei rododendri in fiore.
un giorno facciamo quattro passi fino a simbhanjyang dove, di fronte a un piatto di chowmein e a una birretta fresca, ce ne stiamo ad osservare beati la vita degli abitanti scorrere lenta tra i bovi e le capre da portare al pascolo e il bucato quotidiano da lavare al fiume.. e a infrangere il silenzio sovrumano delle vallate e quello umano del villaggio sonnolento solo qualche sporadico autobus stracolmo che traghetta i nutriti gruppi di monaci accalcati sul tetto ai monasteri dei dintorni. 
il giorno successivo invece ci incamminiamo giù lungo una ripida scalinata che si addentra nel cuore della foresta e scende fino a un incantevole gompa buddista e al vicino tempio shivaita di shree rikeshwar mahadev, entrambi immersi nel fitto del bosco ma raggiunti quotidianamente da processioni ininterrotte di pellegrini buddisti e hindu che avanzano fianco a fianco all'ombra di solenni alberi secolari. qui i baba rendono omaggio ai monaci buddisti e viceversa, nell''armonia sincretistica tipica del mondo religioso nepalese. alcuni tra i devoti portano voti curiosi come enormi pezzi di legno pesanti sulla testa e altri dormono nel bosco, ricavandosi un giaciglio con rami e foglie secche.
e noi non possiamo che essere davvero grati di tanta meraviglia...


PATAN e l'HOLI

patan è incantevole, come sempre più che degna del suo appellativo di “città della bellezza” (lalitpur), coi suoi vicoli acciottolati, la splendida durbar sqare, i bahal buddisti, le case newari e quell'atmosfera per nulla turistica che riesce a conservare nonostante la vicinanza estrema alla capitale. 
ma questa volta l'attrazione principale non sono le sue perle architettoniche bensì il delirio colorato e sfrenato dell'holi, il festival dei colori, in piena esplosione di festante sregolatezza. le origini epiche di quella che è una delle feste più amate dagli hindu si rifanno alla leggenda del re dei demoni hiranyakashipu e di suo figlio prahlad. 

narrano le cronache mitologiche di quanto il re demone bramasse ardentemente l'immortalità e di come, al fine di ottenerla, avesse egli praticato correttamente e per lungo tempo la penitenza in nome di brahma. hiranyakashipu sapeva che il divino privilegio di vincere la morte non era affatto facile a concedersi da parte degli dei, perciò pensò di riuscire ad aggirare tale limitazione richiedendo a brahma almeno la facoltà di non poter essere mai ucciso da mano umana o animale, né fuori all'aperto né all'interno, né di giorno né di notte, da nessuna delle armi conosciute, né in terra né in aria. brahma infine esaudì la sua supplica e il re dei demoni, credendo di essere diventato totalmente immortale, ordinò allora a tutti i suoi sudditi di non venerare mai più le divinità e di mostrare devozione solo a lui stesso. tutti obbedirono tranne suo figlio prahlad, il quale non cessò mai di pregare vishnu. il padre, infuriato e assetato di vendetta, tentò innumerevoli volte di assassinare il suo stesso figlio, il quale veniva però sistematicamente messo in salvo dal celeste vishnu. un giorno allora hiranyakashipu chiamò in suo aiuto la sorella holika, che come lui godeva di un dono divino per il quale non poteva mai bruciare, perchè sedesse su di una fiamma ardente con prahlad in grembo, nella speranza di porre così fine alla vita del figlio ribelle. accecati dalla sete di sangue i due demoni non tennero conto del fatto che tale prerogativa magica poteva funzionare solo se ella si trovava ad affrontare le fiamme da sola, e così, grazie all'intervento salvifico di vishnu, prahlad fu risparmiato e condotto in salvo e holika invece arse viva fino alla morte. 

ogni anno nelle città e nei villaggi di india e nepal bruciano le pire dell'holika dahan, i roghi rinnovati della demonessa holika, per riaffermare il trionfo della devozione e della luce divina sulla tenebra demoniaca. un po' come nei riti delle comunità contadine si festeggia il ritorno della primavera, e si propizia la fertilità della terra per un buon raccolto, un'altra delle valenze antropologico-rituali dell'holi. la tradizione vuole che orde di bimbi e giovani si riversino nelle strade, imbrattandosi a vicenda di kumkum (pigmento colorato in polvere usato per la tika) e inzuppandosi da capo a piedi a suon di secchiate d'acqua e micidiali gavettoni lanciati dai tetti, da vicoli nascosti o dagli autobus, senza risparmiare niente e nessuno. e noi giriamo per le strade di patan finendo per diventare i bersagli preferiti della gioventù locale che ci prende di mira simpaticamente ma senza mostrare pietà alcuna. 
dopo tutto siamo in nepal e questo è l'holi..
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INDIA² · 23 novembre 2012 - 17 marzo 2013















 ...da MUMBAI (MH) a PANITANKI (WB) - 8500 km circa
INDIA² 3 – 17 marzo 2013 – DARJEELING e il SIKKIM


la piana del gange comincia ad avvampare nella prima afa di marzo e noi ad essere piuttosto saturi del caldo, che a breve si farà rovente, e anche di macinare km su km a zonzo per il pur splendido subcontinente. quindi ci spariamo le poche ore di strada che ci separano da darjeeling sfoggiando il nostro sorriso più beato, in previsione dei giorni di fresco riposo che ci attendono e che guarda caso si sposano ottimamente con la nostra avida bramosia di 10, 100, 1000 thumbe calde (thumba= birra di miglio calda tipica di alcune zone himalayane).


e poi finalmente l'himalaya!



·DARJEELING e GHUM·


welcome to gorkhaland! urlano i cartelli in nepali inneggianti alla costituzione di uno stato autonomo per i gorkha nepalesi, che dal tardo settecento in poi sono massicciamente penetrati qui e in sikkim e oggi costituiscono il gruppo etnico prevalente.
darjeeling è deliziosa, abbarbicata com'è su un ripido crinale cui si aggrappano centinaia e centinaia di edifici disposti su più livelli sovrapposti: pittoresche casette di legno e botteghe tradizionali, la cui architettura riflette lo stile tipico delle hill stations indiane che è un cocktail di elementi indigeni e di prestiti british, e poi meditabondi gompa buddhisti, ma anche chiese e templi hindu... insomma il melting pot variopinto tipico delle terre all'ombra del tetto del mondo. il clima di marzo è l'ideale per lunghe passeggiate nei boschi incantati di cedri giapponesi e giganteschi alberi secolari, intessuti di fascino ipnotico perchè ancora vestiti delle aranciate tinte autunnali, o per sereni vagabondaggi nel silenzio immacolato di sentieri ancora poco frequentati (la stagione turistica non è che all'inizio), che s'inerpicano zigzagando lungo i fianchi di amene colline, costeggiando immense piantagioni terrazzate di the, attraversano villaggetti senza tempo e conducono al cospetto di antichi gompa fascinosi, splendenti di rosso, d'oro e di bianco sullo sfondo di maestose vette innevate.

e con nostra immensa gioia ritorniamo ad abbuffarci di momo, thukpa e chowmein e sorseggiamo con inedita avidità litri e litri (bollenti!!) dell'ottimo the per cui darjeeling è famosa in tutto il mondo, ci deliziamo gli occhi di primissima mattina con la vista mozzafiato sul kangchengdjanga che si gode dal tetto della guest house e dal belvedere e ce ne andiamo infine dopo una settimana, di già rimpiangendo quell'atmosfera unica da terra di confine, dove elementi eterogenei si incontrano e si amalgamano in un'armonia esclusiva tipica della “dimora delle nevi perenni”.
















·SIKKIM·

il sikkim è un piccolo gioiello himalayano incastonato tra nepal, bhutan, assam e west bengal, autentico e puro come se ne incontrano di rado, soprattutto di così accessibili ad ogni tipo di visitatore e a tutti i portafogli. noi stavolta ci limitiamo a girare prevalentemente i villaggi della zona occidentale, perchè siamo subito conquistati dalla serena lentezza della vita di montagna, dal silenzio pacifico che sovrasta le ripide vallate verdeggianti e concilia il relax, facendoci dimenticare in fretta il delirio chiassoso dell'altra india, e naturalmente dal dolce sorriso dei sikkimesi.... insomma i nostri propositi di girare in lungo e in largo si arenano in partenza d'innanzi all'incantesimo di un sorso di thumba e alla grazia idilliaca di yuksom e dintorni.


l'atmosfera finisce un po' ovunque per incantarci, sarà perchè il sikkim, complice anche la stagione turistica non ancora decollata, è accogliente a livelli davvero incredibili e pure decisamente meno turistico di altre zone himalayane. da queste parti si è conservato un certo non so che di autentica semplicità che ci ricorda alcune zone del vicino nepal, quelle lontane dalle orde di turisti in preda alla febbre da trekking d'alta quota, che poi dell'intero paese conoscono soltanto le “autostrade” che salgono verso i campi base. 
qui le giornate scorrono pacifiche a suon di passeggiate nel bosco e corroboranti pause snack alla prima bancarella di the lungo la strada. capita spesso di sfondarsi di deliziosi veg momo a 15-20rs insieme a orde di bimbetti dai meravigliosi lineamenti himalayani appena usciti da scuola, oppure di fare quattro chiacchiere con un lama sorridente mentre te ne stai seduto fuori da un gompa buddhista ad ascoltare i mantra intonati dai monaci.




pelling - ci veniamo solo per un motivo e, nonostante la stagione non sia forse la più fortunata in tal senso, pelling non tradisce e ci regala uno scorcio di himalaya tra i più mozzafiato che abbiamo avuto la fortuna di ammirare. dopo la violenta tempesta e il freddo polare della notte prima il kangchengdjanga è sublime nella luce dorata dell'alba, senza manco una nuvola a velarlo, tanto che se la brilla indisturbato contro il terso cielo turchese fino alle prime ore del pomeriggio. 

una giornata davvero fantastica per salire fino allo splendido pemayangtse gompa, ficcare pacatamente il naso nelle attività quotidiane dei monaci, passeggiare tra i loro alloggi lungo il pendio che scende al belvedere, da cui si possono ammirare le rovine di rabdentse (capitale sikkimese tra tardo '600 e primo '800), e quindi fare un picnic all'ombra dei piccoli stupa nel boschetto ai piedi della collina, proprio dove la strada prende a salire verso il monastero.



yuksom - un piccolo villaggio incantato di grande rilevanza storica. qui infatti tre lama tibetani hanno incoronato il primo chogyal del sikkim nel 1641. oggi è possibile visitare il norbugang park, il sito dell'incoronazione col trono reale, il sacro kathok lake e una serie di pittoreschi monasteri, tra cui il piacevole dubdi gompa. siamo stregati dall'incantesimo di queste vallate da fiaba, dalla gentilezza unica della gente e dai piatti della cucina locale come gathuk e thenduk, che ci riscaldano nel fresco delle sere sikkimesi. e già non vediamo l'ora di tornare...




tashiding – tashiding è famosa per il bellissimo gompa omonimo, un grande complesso monastico cui si accede con una piacevole passeggiata dal centro del villaggio. oltre alla location straordinaria, che nelle giornate più limpide regala un panorama incredibile sulle montagne e sulle valli circostanti, i numerosi edifici di culto, gli alloggi dei monaci e i locali di servizio sono davvero interessanti da visitare così come l'incantevole recinto sacro, disseminato di chorten (stupa) di varie forme e dimensioni e di una miriade di lastre di pietra colorate recanti rilievi o iscrizioni in alfabeto tibetano.