INDIA³
agosto
2013
VERSO
LA PIANA DEL GANGE: chamba, amritsar e chandigarh
CHAMBA
VALLEY
dopo
una full immersion in acque decisamente turisticheggianti, dove
sguazzano nutritissimi branchi di francesi che chissà mai perchè
sembrano aver colonizzato himachal e ladakh, ci sta un po' dell'aria
fresca di chamba, una valle splendida dove non si vede manco l'ombra
di un turista e soprattutto non s'ode alcun molesto (come non può
che diventare dopo 2 mesi di R
moscia a sovrastare persino gli idiomi locali) mormorio francofono.
la principale attrattiva di chamba town, oltre alla grazia delle
colline, sono gli interessanti templi hindu vecchi di un millennio
che punteggiano le strade del centro. poi, prima di scendere in
pianura, facciamo tappa nella vicina dalhousie, altra hill station
dei tempi del raj, che in alta stagione si riempie di coppiette in
luna di miele ma ora, in pieno monsone d'agosto, abbiamo quasi tutta
per noi. pure qui con ogni probabilità abbondano panorami da
cartolina, ma non li scorgiamo che di sfuggita perché la città è
costantemente avvolta da una fitta coltre di nebbia.
AMRITSAR
se
per caso uno, dopo 2 mesi passati nella quiete rilassante delle
colline, tra uttarakhand, himachal e ladakh, non rammentasse più
così bene cosa significa calarsi nel caos febbrile di una qualunque
città indiana, amritsar è un ottimo modo per riacclimatarsi alla
follia dell'india urbana, alle moltitudini chiassose che la popolano,
alla confusione babilonica, al frastuono perenne, all'inquinamento
talvolta insopportabile. insomma, terapia d'urto. non ci mettiamo poi
molto a riadattarci, perchè in fondo il teorema del delirio che è
la vita quotidiana per le strade sovraffollate del subcontinente è
proprio ciò che le rende così estenuantemente affascinanti.
la
prima faccenda degna di nota è la botta di calore asfissiante che ci
investe non appena abbandoniamo la frescura dei rilievi pedehimlayani
per rimettere piede in quel della piana indo-gangetica. per tutta la
prima settimana boccheggiamo, e in senso letterale, giorno e notte
nell'arsura dell'estate indiana che nemmeno il monsone riesce a
mitigare.
la
città sacra dei
sikh
è un groviglio di strade trafficate che gravitano intorno al nucleo
cintato del centro vecchio. il bazar della cittadella è il solito
delirante labirinto di viette movimentate, zeppe di botteghe che
vendono, comprano e aggiustano qualsiasi cosa, nella migliore
tradizione asiatica, tutte attorcigliate intorno al cuore pulsante
della città, lo splendido golden temple. l'harmandir sahib, il
tempio sikh per eccellenza, costruito tra tardo '500 e primo '600, è
il sacro custode della copia originale del guru granth sahib (il
testo sacro sikh), conservata di giorno all'interno del tempio d'oro
e ritrasportata ogni notte nell'akal takht,
l'edificio
del parlamento,
con una cerimonia misteriosa e affascinante. quattro sacerdoti assisi
nella sala centrale recitano a turno e senza sosta gli inni in
gurmukhi che un impianto stereofonico super-dolby surround fa
risuonare per tutto il complesso del tempio.
la
poesia visiva che è il golden temple si deve, oltre che al melting
pot architettonico indo-saracenico-rajput già di per se stesso
incantevole, all'andirivieni costante di tuniche sgargianti, turbanti
variopinti, fulgide spade, pugnali e sari dai mille colori che
muovono in circolo sullo sfondo di eleganti edifici perlacei. il
tempio costituisce un po' una città nella città, coi suoi alloggi
per i pellegrini, i santuari minori, il museo, le cucine, l'ospedale
e non ultima la folla che li attraversa ininterrottamente, il tutto
disposto lungo il perimetro esterno del bacino sacro, l'amrit
sarovar (=vasca di nettare divino) che dà il nome alla città,
al centro del quale risplende la cupola d'oro.
i
sikh sono loquaci come sempre e ci intrattengono meglio di guide
ufficiali raccontandoci qualsiasi dettaglio balzi loro alla mente sul
gioiello di famiglia. come sempre, dovunque si abbia a che fare col
mondo sikh, si respira quell'atmosfera di accettazione universale e
integrazione religiosa che contraddistingue il loro approccio alla
vita, qui in un certo senso ulteriormente enfatizzata dall'immancabile bagno di folla indiano, per cui moltitudini
variegate si trovano a camminare fianco a fianco e i pellegrini hindu
vengono a rendere omaggio al tempio sacro del sikhismo. niente male
se si pensa che poco meno di una trentina d'anni fa l'esercito
indiano, su ordine del primo ministro indira gandhi, profanava il
sacro suolo dell'harmandir sahib, uccidendo centinaia di persone e
danneggiando gli edifici del complesso, per porre fine alle
rivendicazioni autonomistiche sikh volte alla fondazione del
khalistan indipendente e catturare i militanti asserragliatisi
all'interno del recinto sacro. scelta che la lady di ferro indiana ha
poi pagato con la vita.
all'ora
di pranzo ci uniamo ai pellegrini nell'assalto alle cucine, che qui
come in ogni tempio sikh sfornano ogni giorno tonnellate di cibo
(circa 10000 pasti/gg al golden temple) rigorosamente gratuito e
destinato a chiunque tra i visitatori voglia placare il proprio
appetito. tutti sono più che benvenuti a ritagliarsi qualche
decimetro di pavimento in una delle affollatissime sale e sfondarsi
di dhal, riso, kheer (budino di riso) e chapati, distribuiti a destra
e a manca da ridenti omoni sikh. ciliegina sulla torta i bimbi
adorabili che percorrono la sala in lungo e in largo, versando
l'acqua dritta nei bicchieri dei commensali da un rubinetto azionato
tramite una curiosa macchina a pedale. SAT
SRI AKAAL!
CHANDIGARH
chandigarh,
la capitale amministrativa di haryana e punjab, è la prima città
indiana pianificata a tavolino dopo l'indipendenza, il cui progetto
fu affidato da jawaharlal nehru all'architetto svizzero le corbusier.
per quanto intrigante possa sembrare sulla carta l'intenzione di
concretizzare l'utopia della perfetta città a misura d'uomo, la cui
pianta riproduca la struttura gerarchica del corpo umano, collocando
la testa negli edifici governativi e amministrativi, le viscere nei
centri di produzione industriale e gli organi periferici nelle zone
residenziali, ricercando le soluzioni più ecofriendly per l'epoca,
come la separazione delle grandi arterie stradali principali dalle
zone pedonali e l'inserimento di grandi parchi e aree verdi, a noi sembra che la città manchi decisamente di vita propria. di certo
non c'è traccia dell'anima
indiana. almeno secondo noi. anzi, ci pare quasi d'essere capitati in
uno strano limbo freddo e arido e siamo alquanto perplessi. unica
certezza è il reddito pro capite più alto della nazione, per cui
più che altro chandigarh costa un occhio.
non
ci resta che piangere. e fuggire.