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INDIA² - 13 febbraio – 3 marzo 2013: ANDHRA PRADESH, ODISHA E WEST BENGAL

è tempo di risalire verso nord, lungo le assolate coste dell'india orientale lambite dalle acque del golfo del bengala. di sentire i km scivolare sotto i piedi, scorrere via nel metallico abbraccio di rotaie luccicanti, divorati dagli ingranaggi di un treno che sferraglia pigro nel cuore dell'andhra pradesh. di osservare il panorama sottrarsi svelto al nostro sguardo per mutare all'infinito, mentre i binari si dispiegano tra il deccan, i ghati orientali e la piana del krishna e del godavari e noi già pensiamo bramosi al fresco delle vette himalayane. di apprezzare le corrispondenze tra questo poetico avvicendarsi di paesaggi in divenire e i ricordi che si rincorrono veloci, come fugaci fotogrammi di questo indimenticabile pezzo d'india che si perdono nel vento, lontano fuori dal finestrino.
e più si sale più l'atmosfera si fa quasi totalmente rurale, si diradano i centri industriali e le grandi città, sostituiti da sonnolenti quadretti di vita campestre, e pure il tasso di povertà cresce a vista d'occhio. sempre più capanne dimesse e villaggi senza acqua corrente, sempre meno automobili e infrastrutture per quanto basilari. 

fino a che poi in orissa le macchine spariscono quasi del tutto, con un certo sollievo da parte nostra, e le vie si riaffollano di bici e cicloriksciò, le strade a 4 corsie lasciano il posto a sgangherate ma panoramiche piste di campagna, l'insopportabile caos dei clacson è oramai solo un'eco lontana e con esso scompare anche l'inquinamento soffocante dei centri urbani del sud. e poi il west bengal, una distesa infinita di campi coltivati, risaie e alberi in fiore che salutano la primavera alle porte. un bucolico ritratto d'altri tempi che non avrebbe stonato sulla tela di un paesaggista romantico, saturo del marrone di bambù e paglia e delle mille tonalità di verde della campagna sterminata, con qualche sfumatura variopinta qua e là, a pennellare delicate note di colore, laddove se ne stanno chini a lavorare i contadini e bovi e capre pascolano placidi.

è l'apoteosi dell'india rurale, che ci richiama alla mente frammenti incancellabili della piana del gange, e come sempre ci cattura il cuore. qui, dove la gente vive sudando sulla nuda terra per ritagliarsi di che campare, il morso della povertà penetra a fondo e tutto ciò che altrove è scontato può significare la differenza tra vivere e morire. eppure delle pestilenziali montagne di rifiuti non c'è manco l'ombra, la campagna risplende di vita e amorevole cura e la miseria disumana delle baraccopoli metropolitane è distante come non mai. la società contadina tradizionale mostra il suo volto umano e “inclusivo” di composizione e coesione, in contrasto con la spietatezza del modello capitalistico che sfrutta, ghettizza e quindi scarica ai limiti della società chi non si conforma alla deformità delle sue leggi, ricacciando sotto il tappeto gli “scarti” del suo sistema fallimentare.
e poi d'improvviso, come un'epifania che interrompe il fluire dei pensieri, la strada percorsa verso nord inizia a palesarsi nelle facce sorridenti della gente che assumono i tratti misti tipici della zona himalayana.
le regioni che abbiamo sfiorato sono, insieme a bihar, jharkand, chhattisgar e agli stati nord-orientali, l'india dimenticata delle aree tribali, dove vive la variegata minoranza indigena e dove si concentra la guerriglia naxalita. il movimento dei ribelli maoisti indiani è nato verso la fine degli anni sessanta nel west bengal delle rivolte contadine contro lo strapotere latifondista dei grandi proprietari terrieri. da lì si è poi diffuso a macchia d'olio in tutte le aree meno sviluppate e prevalentemente rurali del paese. se una 40ina di anni fa il nemico da abbattere erano lo schiavismo dei landlords e l'assurda rivendicazione di anacronistici privilegi feudali, oggi sono invece le multinazionali a insanguinare le contrade più povere d'india in nome della
loro famelica brama di ricchezza. lo scopo delle grandi corporation indiane e non solo è quello di avere libero accesso allo sfruttamento dei grandi giacimenti minerari del “red corridor” e di portare a termine la costruzione dell'acciaieria o del cementificio di turno. per ottenere tutto questo sottraggono impunemente alle comunità tribali le terre che appartengono loro di diritto, costringendole a migrare altrove, hanno compiuto e compiono ogni sorta di violenze e brutalità nei confronti di civili inermi, spesso strumentalmente accusati di collusione con fantomatici squadroni naxaliti al fine di giustificare la feroce rappresaglia delle forze di sicurezza. in queste zone già altamente militarizzate la presenza dell'esercito continua ad aumentare col pretesto di tenere sotto controllo l'attività sovversiva dei naxaliti. è così che il governo di delhi si lancia in operazioni deplorevoli come la famigerata “green hunt”, il cui obiettivo dichiarato è quello di ripulire l'india dai maoisti, ma che si concretizzano poi non tanto nell'epurazione della “minaccia rossa”, quanto piuttosto in un vera e propria “caccia verde” volta all'accaparramento delle preziose risorse di cui sopra. tutto ciò, manco a dirlo, significa la repressione indiscriminata di ogni sorta di rivendicazione popolare, portata avanti per lo più da civili non politicizzati e associati ai naxaliti solo nella propaganda dei mass media. l'esercito quindi agisce con la compiacenza del governo al fine di mantenere il silenzio sull'attività illecita dei grandi gruppi industriali in nome del solito chimerico sviluppo e di eliminare ogni possibile minaccia a tali progetti per non mettere in fuga i grassi portafogli degli investitori. e così facendo contribuisce ogni giorno all'espropriazione illecita dei territori tribali, alla ghettizzazione e all'eliminazione di intere comunità di adivasi innocenti e alla distruzione dell'inestimabile patrimonio naturale del cuore verde dell'india.
terre travagliate queste, dove tuttavia la magia dell'india, almeno quella che piace a noi, trasuda da ogni pietra, da ogni campo, da ogni villaggio senza tempo, da ogni piccolo tempio di campagna e il suo respiro pulsa vitale, molto più che nel deserto delle vetrine di un megamall.



andhra pradesh

HYDERABAD

hyderabad è grande. troppo grande per il livello di saturazione da città che abbiamo raggiunto recentemente. però mica possiamo, e manco vogliamo, tirare dritto sino all'himalaya senza curiosare almeno un po' in giro. detto, fatto.
le città gemelle di hyderabad e secunderabad (la città delle perle) sono la controparte meridionale ai gioielli del passato indoislamico moghul. e infatti le chicche architettoniche da queste parti urlano a squarciagola la loro ascendenza islamica e ammantano la città vecchia di un'aura mediorientale con un trionfo di guglie, minareti, muezzin, kefiah e scritte in alfabeto arabo-persiano. con una certa dose di immaginazione quasi si riesce a intuire come doveva apparire la maestosa capitale dei sultanati qutb shahi e nizam-asaf jahi.

il biglietto da visita della città è fuor di dubbio quel charminar (4 torri) che campeggia in qualsiasi foto su cui possa capitare di posare gli occhi. e in effetti la sua fama è meritata. sia il bell'edificio in se stesso che il pittoresco bazar circostante sono piuttosto fascinosi e danno davvero l'idea di essere il centro intorno cui tutta la città si è sviluppata. eretto verso la fine del '500, il charminar celebra la fine della grande carestia, con le correlate epidemie, che aveva colpito il vicino forte di golconda e quindi la successiva fondazione delle nuova capitale dei sultani qutb shahi. l'elegante silhouette tipicamente indosaracenica e i minareti slanciati che graffiano il cielo si scorgono da lontano, provenendo da ciascuna delle quattro vie che dagli altrettanti archi ogivali si diramano in direzione dei punti cardinali. dalla cima poi la vista sul delirio sottostante da una quasi silenziosa distanza di sicurezza è impagabile.


dopo di che è la volta del forte di golconda, la splendida città-fortezza che fu capitale del regno qutb shahi del telangana per quasi un secolo prima della fatale carestia di cui sopra e fu successivamente annessa all'impero moghul nel 1687 per opera di aurangzeb, il quale riuscì ad impadronirsene solo dopo un lungo anno d'assedio. pur se oggi il sito è parzialmente in rovina l'atmosfera che si respira vagando per questo affascinante museo di pietra riesce comunque a restituire l'impressione della grandezza che fu.
e poi i palazzi chowmahalla e falaknuma, esempi del lusso raffinato dell'architettura dei ricchissimi nizam asaf jahi, dal primo settecento governatori di questa parte del deccan, prima vassalli dell'impero moghul e poi sovrani autonomi fino all'annessione del regno all'unione indiana nel 1947. quindi ancora le qutb shahi tombs, mausoleo reale dell'omonima dinastia, i tanti templi hindu e le moschee. e infine l'hussain sagar, il lago artificiale al cui centro sorge una grande statua monolitica del buddha, lì collocata a testimonianza dell'illustre passato buddhista dell'andhra pradesh, che prende avvio dal regno di ashoka nel IV sec ac e fiorisce ulteriormente con la successiva dinastia satavahana tra III sec ac e III sec. dc, per sfumare poi lentamente, assorbito dal revival hindu-giainista, fino alla definitiva conquista islamica.



VIJAYAWADA , UNDAVALLI e VISHAKAPATNAM

tappa a vijayawada, culla culturale dell'andhra pradesh, coi suoi numerosi templi, tra tutti il kanaka durga, il fiume krishna e le tante rovine buddhiste disseminate nei dintorni. da lì andiamo in giornata ai vicini templi rupestri del villaggio di undavalli, scavati nel V-VII secolo dc sotto il regno gupta e consacrati alla trimurti. splendida la grande statua dormiente di anantha padmanabha, ovvero vishnu immerso nel sonno yogico e adagiato sul sacro serpente e re dei naga anantha, e niente male pure la bella vista che dal tempio superiore si apre sulla piana del krishna, verdissima di risaie e palme.
dopo di che raggiungiamo in bus la seconda città dell'andhra pradesh, visakhapatnam, che ci ricorda troppo il delirio delle metropoli da cui siamo fuggiti, ma è famosa pure per le sue spiagge, tra le più apprezzate della costa orientale, e per i resti buddhisti che abbondano nelle vicinanze.

odisha

BHUBANESWAR e PURI

la capitale è una bolgia e noi siamo in vena di tranquillità, ma ci lasciamo comunque sedurre dalla sua architettura e dalla miriade di templi che si nascondono tra le vie del centro, nei dintorni del bindu sagar.
poi ci spostiamo qualche giorno a puri, città tra le più sacre dell'india per il suo jagannath mandir, il tempio di vishnu signore dell'universo, e il sito di cremazione di swargadwar, dove la maggioranza degli hindu dell'orissa viene a compiere l'ultimo dei viaggi, sulla spiaggia dorata battuta dal vento.

KONARK

 konark è il sito leggendario di uno dei 7 templi solari, nonchè di una delle icone del patrimonio architettonico indiano.


questo tempio stupefacente, costruito nel XIII secolo dalla dinastia dei ganga orientali per celebrare la vittoria sugli invasori musulmani, è situato in una location di grande rilevanza astronomica ed è dedicato al dio del sole. l'edificio pare quasi la mastodontica riproposizione in pietra di un calendario solare e la sua struttura simula quella di un gigantesco carro del sole, dotato di 12 coppie di ruote giganti (i mesi dell'anno e le ore del giorno), meravigliosamente scolpite lungo tutta la base del tempio, e trainato da 7 cavalli (i giorni della settimana). il dio sole è qui incarnato dalla trimurti come aspetto triplice dell'evoluzione della luce solare, per cui il sole antimeridiano è identificato con brahma il creatore, l'aspetto distruttivo di shiva evoca la potenza massima del sole meridiano e infine vishnu, il conservatore dell'universo, è il sole postmeridiano. la superficie del tempio è interamente ricoperta di splendidi rilievi che ritraggono divinità, danzatrici, musici, eventi
mitologici, scene di vita quotidiana e incontri erotici. 

oltre che per l'indubbia bellezza, il tempio è famoso anche per l'avanzata tecnologia impiegata nella sua costruzione, sintesi di elevate competenze ingegneristiche e raffinata conoscenza dei fenomeni legati al campo magnetico terrestre. gli enormi massi di pietra, perfettamente levigati, sono tra loro sovrapposti a incastro, senza alcun tipo di collante, intervallati da placche di ferro e sostenuti ai lati da pilastri anch'essi di ferro. la struttura in origine era tenuta insieme, almeno stando alle cronache leggendarie, da un sistema di magneti, di cui i due principali erano situati uno alle fondamenta e l'altro all'apice della copertura (quest'ultimo del peso di ben 52 tonnellate). il campo magnetico da essi generato avrebbe permesso all'edificio di resistere all'azione corrosiva degli agenti atmosferici, cui era particolarmente esposto data la sua posizione in riva al mare, e alla statua della divinità principale di levitare all'interno della cella. l'allineamento astronomico del tempio sarebbe stato studiato in modo che all'alba i primi raggi del sole venissero riflessi dal grande diamante collocato al centro della statua. la forza magnetica in questione finì poi col creare problemi alle navi europee che facevano porto a konark, poichè di una potenza tale da disturbarne la bussola, e perciò il magnete principale fu rimosso e distrutto dai portoghesi, o dagli inglesi a seconda delle versioni, causando la perdita di bilanciamento della struttura e il conseguente crollo di alcune sue parti. dopo la caduta di konark le effigi divine vennero trasferite nella vicina puri e custodite all'interno del jagannath temple, dove una di loro risiede ancora oggi.


west bengal

KOLKATA

un passaggio veloce perchè bramiamo da troppo l'aria fresca delle montagne. e poi abbiamo in programma di tornarci con calma tra qualche mese, perciò ci limitiamo a un paio di passeggiate che ci lasciano una prima impressione alquanto positiva. il resto ce lo teniamo per la prossima volta..


MALDA e SILIGURI

toccata e fuga, una giorno a testa. che oramai l'atmosfera pedehimalayana inebria l'aria e iniziamo ad avvertire la vicinanza gastronomica, linguistica e culturale col nepal e le regioni di etnia sino-tibeto-birmana. a malda facciamo due passi, dormiamo in stazione e poi saltiamo su un treno per siliguri e ci godiamo il tranquillo viaggio di cinque ore accompagnati dal solito paesaggio favoloso. almeno fino a quando entriamo in città attraversando la baraccopoli infinita che costeggia i binari dalla stazione di NJP fino a siliguri junction. dopo tutto il west bengal mica se la passa così bene. e pensare che il bengala era la zona più ricca del subcontinente prima che la letale colonizzazione britannica lo prosciugasse per rivitalizzare l'economia di londra. mah.. la storia è sempre quella.. per fortuna che noi il morale ce lo tiriamo su pensando a quello che da queste parti è successo in tempi più recenti, appena qualche decina di anni fa... eh sì! perchè siamo a un tiro di schioppo da naxalbari – menzione speciale per questo villaggio, a una manciata di km dal confine nepalese, che con ogni probabilità in pochi conoscerebbero non fosse per l'eroico marzo del '67, quando un centinaio abbondante di contadini armati di arco e frecce pose finalmente fine allo sfruttamento latifondista, rivendicando l'inalienabile diritto alla terra che essi già coltivavano da secoli, impadronendosi dei campi e cacciando i proprietari terrieri. i mesi di lotta che seguirono la ribellione e la feroce repressione da parte dell'esercito hanno innescato una reazione a catena da cui ha preso avvio il movimento naxalita.


INDIA² - 20 gennaio – 13 febbraio 2013: TAMIL NADU

la patria dei tamil è terra di templi maestosi e ammalianti, capolavori per eccellenza dell'architettura dravidica. ben lungi dall'essere semplici luoghi di culto e devozione, i koil sono vere e proprie città nelle città: grandiosi complessi di edifici, di dimensioni quasi sempre mastodontiche, racchiusi in recinti sacri dipinti in righe rosse e bianche, cui si accede attraverso monumentali torri d'ingresso (gopuram) spesso coloratissime e sempre finemente scolpite. l'interno è degno dei palazzi reali di sultani e maharaja, con una serie di recinti, gallerie e camminamenti concentrici in cui si succedono lunghi corridoi per la deambulazione fiancheggiati da pregiate colonne decorate, stalle e locali di servizio, padiglioni per i devoti in pellegrinaggio, cisterne sacre per le abluzioni, chioschi per il prasad (il cibo sacro) e le offerte alle divinità, imponenti sale “dalle mille colonne”, un corollario pressochè infinito di santuari minori e infine il cuore della struttura templare dove si colloca il sancta sanctorum, la cella della divinità, in cui l'accesso è sempre precluso ai non hindu. in mezzo a cotanta meraviglia sfilano ininterrotti i pellegrini e i bramini nelle loro vesti bianche, ciascuno intento al compimento di qualche pittoresco rituale. candele accese, puje floreali, fumi e profumi di incenso, canti sacri che vibrano nell'aria attraverso i corridoi silenziosi, ipnotici mantra mormorati sommessamente, insomma l'affresco quotidiano di una ritualità magica, rivelatasi al nostro immaginario come un miraggio della perduta atlantide destinato a dissolversi in un attimo nella visione sfumata di un mondo onirico.

i tamil sono dravidici (= parlanti lingue dravidiche non appartenenti al ceppo linguistico indoiranico, cui invece fanno capo il sanscrito e gli idiomi di sua diretta derivazione) e coltivano fieramente la loro identità, cultura e la loro ricca tradizione artistico-letteraria. capita a volte che questa sorta di orgoglio patriottico finisca per assumere, negli ambiti politici del nazionalismo tamil, proporzioni forse esagerate, per cui essi rivendicano una sorta di priorità etnica e culturale nei confronti degli indiani del nord, in relazione alla controversa teoria dell'invasione ariana, cavallo di  battaglia dell'indologia accademica occidentale e talvolta anche indiana (assolutamente non suffragata da alcuna prova documentale e ripetutamente smentita da evidenze archeologiche etc), per cui l'origine della cultura vedica è da datarsi intorno a 1500-1000 ac e da attribuirsi alla penetrazione in india di tribù indoeuropee nomadi, le quali avrebbero messo fine alla preesistente cosiddetta civiltà della valle dell'indo di matrice dravidica. il governo centrale di delhi è in questo senso a tratti dipinto come l'attuazione ultima della colonizzazione dell'india dravidica da parte della componente indoeuropea, mai venuta meno dall'età vedica in poi. in generale ovunque in tamil nadu si respira il carattere peculiare di quest'angolo d'india e del suo grandioso bagaglio culturale, peraltro di chiara impronta vedica, che spazia dalla letteratura classica sangam, ai retaggi straordinari dei potenti regni hindu (i chola di thanjavur, i pandya di madurai, i chera di coimbatore e salem e i pallava di kanchipuram) fioriti tra III secolo ac e XVII sec dc, fino alla prelibata cucina veg, per noi la più deliziosa del subcontinente. a tal proposito non possiamo non menzionare soprattutto gli idly (tortini di farina di lenticchie e riso, cotti al vapore e serviti con sambar e chutney al cocco, alla cipolla e tamarindo, al pomodoro o alla menta) e l'onnipresente banana leaf meal, ovvero un thali su una foglia di banano da mangiare rigorosamente con le mani: riso, roti, papad, sambar (zuppa di lenticchie e verdure), rasam (zuppa al tamarindo con verdure e spezie), curd, pickle e un numero variabile ma sempre abbondante di veg curry, profumati al cocco e spezie e mai affogati nel ghee come accade al nord. imbattibile.


qui come in karnataka a fare da contorno ci sono paesaggi tra i più splendidi che l'india possa regalare: risaie verdissime bordate di palme, montagne di massi giganti che incorniciano villaggi di piccole casette colorate o di capanne dai tetti in paglia, sempre strette intorno al tempio, scene di vita campestre, km di costa e incantevoli panorami montani.
c'è da dire poi che, diversamente dalla fascia più benestante costituita da maharashtra, goa e karnakata, la sensazione qui è quella di una tenore di vita generalmente meno alto: aumentano i rifiuti lungo le strade e nei campi e le zone degradate, così come i bambini di strada e quanti vivono ampiamente sotto la soglia di povertà, costretti a mendicare per sfamarsi. il traffico esagerato, l'inquinamento opprimente e il chiasso infernale continuano invece ad essere una costante. ma non si può certo dire che non ne valga la pena..

KANYAKUMARI
la nostra discesa non può spingersi più a sud di così. ecco la punta dell'india, kanyakumari. 
estrema propaggine meridionale del subcontinente, presso cui si fondono le acque di mare arabico, mar delle andamane e golfo del bengala. qui swamy vivekananda, il monaco errante, meditò sulla liberazione dei popoli d'india e del mondo, seduto sull'ultimo pezzo di roccia indiana, quella stessa lingua di terra abbracciata dal mare dove oggi sorge il suo memoriale. e, poco lontano sul lungomare fitto di case colorate, fanno porto decine di variopinte barche da pesca e i pescatori se ne stanno seduti a riparare le reti e giocare a carte. kanyakumari è anche la dimora della dea vergine (in sanscrito appunto kanyakumari), uno dei mille volti della shakti, la madre universale, venerata nell'incanto evanescente di candele vulvomorfe, ardenti nella luce soffusa del suo tempio al limitare del mare.

                                     
MADURAI
madurai è una grande città e perciò parte in svantaggio nella nostra personale classifica di gradimento, ma poi è impossibile non essere rapiti dallo splendore del sri meenakshi temple, incredibile paradigma di bellezza sacrale e grazia architettonica tamil, dedicato a meenakshi, un'altra delle forme della madre divina, e al suo consorte shiva sundareshwar.
appena fuori dal recinto sacro c'è un delizioso mercato, ricavato tra le colonne ornate di una sala ipostila, e tutto intorno le vie del bazar moderno che si spingono fino al grazioso palazzo di tirumalai nayak.










KODAIKANAL
a questo punto abbiamo decisamente bisogno di ossigenarci, perciò facciamo rotta verso i ghati occidentali e kodaikanal. “dono della foresta”, questo il significato del suo nome, è una piccola fresca cittadina montana, adagiata sulle sponde dell'omonimo lago, famosa per il caffè, l'olio di eucalipto e l'ottima cioccolata artigianale.


                                               
TRICHY
nonostante desideriamo più di ogni altra cosa farla finita con le città, il tamil nadu infila una chicca dietro l'altra e perciò stringiamo i denti. e trichy non fa eccezione. alla follia frenetica delle strade ipertrafficate oppone il fascino del rock fort temple, sacra fortezza del regno pallava in cui sorge un complesso multitemplare, che primeggia in quanto a location, dominando dalla cima di una collina il gremitissimo bazar sottostante. e non è finita qui, perchè ci sono pure il magnifico tempio vishnuita di ranganathaswamy, sempre strabiliante e gigantesco come piace ai tamil, e poi l'incantevole quiete del jambukheshwara swamy, uno dei pancha bootha sthalam, i cinque templi elementali di shiva. il signore degli elementi qui è celebrato quale appu lingam, il lingam d'acqua che scaturisce da una fonte sotterranea al tempio, ma che leggendariamente fu plasmato da parvati con l'acqua del fiume cauvery, durante la sua penitenza nella foresta di jambu.


THANJAVUR
capitale dei chola, di cui ospita il palazzo reale, in restauro al tempo della nostra visita e in tutta onestà per niente imperdibile, eccezion fatta per la saraswati mahal library e la sua pregevole collezione di manoscritti. qui il fiore all'occhiello dell'eredità chola è senza dubbio lo spettacolare brihadishwara temple, uno dei più bei templi che abbiamo visto in india, un incanto ambrato nella luce dorata del tramonto e incredibilmente tranquillo nonostante l'ingresso gratuito.


KUMBAKONAM
kumbakonam proclama a gran voce il suo ruolo di città sacra della dinastia chola, esibendo letteralmente un tempio ad ogni angolo, in un catalogo minuzioso di architettura dravidica in cui davvero si incontrano quasi più gopuram che case.


CHIDAMBARAM
altra capitale del regno chola e centro di pellegrinaggio di straordinaria rilevanza per il suo shiva nataraja temple. nataraja è il signore della danza, il danzatore cosmico, manifestazione dell'energia imperitura sottesa all'eterno movimento che permea il tutto, lo conserva e lo dissolve, nella danza incessante di distruzione e ricreazione dell'universo. egli rappresenta anche la quinta incarnazione elementale, l'etere infinito e senza forma.



                                                         
PONDICHERRY
pondy è l'enclave storica dell'india francese, conquistata nel tardo XVII secolo e ceduta solo nel 1956, che in realtà non è tamil nadu bensì autonomo territorio dell'unione. oltre al quartiere coloniale sul lungomare, gradevole ma decisamente asettico rispetto al caos animato della parte indiana, la città è famosa per l'ashram di sri aurobindo, poeta, filosofo e mistico indiano vissuto nel secolo scorso che qui ha condotto parte fondamentale della sua ricerca spirituale fino al sopraggiungere della morte. a pochi km da pondy sorge auroville, la città sperimentale basata sui suoi insegnamenti e fondata neglia anni sessanta dalla mère (la madre), compagna spirituale e continuatrice dell'opera di aurobindo. il progetto mira alla costruzione di una comunità universale, che realizzi la pienezza dell'unità del genere umano, al di là di appartenenza nazionale, credo religioso e tendenze politiche. non avendoci messo piede non ci possiamo esprimere in merito all'effettivo compimento di tali propositi.

THIRUVANNAMALAI
dominata dal monte arunachala, tiruvannamalai è nota per l'arunachaleshwarar temple, un altro dei templi elementali di shiva, qui manifestatosi sottoforma dell'agni lingam, il lingam di fuoco. le leggende narrano del gesto giocoso di parvati, la quale chiuse per scherzo gli occhi dell'amato, mentre i due se ne stavano insieme nella dimora himalayana di shiva sul monte kailash. pur se si trattò di un solo istante del tempo divino, l'universo fu sommerso dall'oscurità per innumerevoli anni finchè, in seguito alla penitenza di parvati, shiva apparve quale colonna di fuoco sulla cima del monte arunachala restituendo la luce al mondo. quindi si unì a parvati nell'androgino divino ardhanarishwara, cui è consacrato un piccolo tempio lungo le pendici della montagna sacra a pavala kundru. la seconda versione racconta invece del contenzioso tra vishnu e brahma per stabilire chi fosse il più potente tra gli dei. si dice che, per risolvere la questione, shiva sia apparso nelle sembianze dell'agni lingam, sfidando i compagni a trovare la sorgente della colonna di fiamme. nessuno dei due venne a capo dell'enigma, ma fu solo vishnu ad ammettere la sconfitta, mentra brahma mentì e fu per questo condannato da shiva a non essere mai venerato in alcuno dei templi della terra.

in silenzio e solitudine nelle grotte del sacro arunachala meditò per buona parte della sua vita sri ramana maharshi, mistico ed esponente tra i più onorati dell'advaita vedanta, prima della fondazione del suo ashram che sorge appena fuori città.


MAMALLAPURAM
seconda città e porto principale del regno dei pallava di kanchipuram. mamallapuram oggi è un piccolo villaggio non lontano da chennai che campa di turismo, essendo diventata, chissà poi perchè, la principale destinazione per i visitatori stranieri in tamil nadu. non che sia del tutto priva di attrattive: c'è il delizioso shore temple, che dalla sua scogliera si sporge al vento sferzante della baia del bengala, poi i pancha rathas, cinque gradevoli strutture monolitiche a forma di carro, il bel rilievo della penitenza di arjuna e altri mandapa sparsi un po' dovunque sulla collina che si innalza sopra la città. insomma ce n'è un po' per tutti i gusti, ma niente che possa secondo noi paragonarsi alla visione di uno qualunque dei grandi templi tamil.



KANCHIPURAM
una delle sette città sacre dell'india nonchè capitale della dinastia pallava. menzione speciale per il kailashanathar e la sua aurea fatata e per un altro tempio elementale, l'ekambeshwara swamy, in cui shiva è venerato quale signore dell'albero di mango. all'interno del recinto è infatti custodito un mango antichissimo, in memoria della pianta sacra all'ombra della quale parvati avrebbe forgiato con la sabbia un lingam (il lingam di terra) per adorare shiva e unirsi a lui.











VELLORE
vellore è dominata dal suo bel forte cinquecentesco, costruito dai vijayanagar e poi passato nelle mani di maratha, mogul e invasori britannici. le vie tortuose del bazar sono sempre animatissime e i prezzi i migliori del tamil nadu.


INDIA² - 10 – 20 gennaio 2013: KERALA


ciò che più ci incanta del kerala sono la ricchezza e l'originalità del suo patrimonio culturale. un tesoro tra i più affascinanti dell'universo antropologico indiano, dovuto in parte alla morfologia del territorio, che ha incastonato questo lembo di costa tra il mare arabico e i ghati occidentali e l'ha tenuto per secoli isolato dal resto del subcontinente, e in parte allo straordinario amalgama etnico-religioso che caratterizza la regione. insieme tali premesse hanno concorso allo sviluppo di forme espressive peculiari nel teatro e nella danza (kathakali), nelle arti marziali (kalarippayat) e nella devozione religiosa (theyyam). in più vagando per il kerala capita di incappare nelle reliquie di quell'india coloniale che da sempre ha popolato l'immaginario collettivo dei viaggiatori e esploratori di ponente: una terra intrisa delle suggestioni dell'oriente mitico, centro nevralgico per rotte navali e piste carovaniere lungo la via delle spezie, esotico crocevia di genti, culture e spiritualità eterogenee che qui ha prodotto una società multiforme, in cui la maggioranza hindu è meno preponderante e le si affiancano nutrite componenenti musulmane, minoranze cristiane e, fino a qualche tempo fa, anche una piccola ma antica comunità ebraica.



KANNUR
lungo la costa del malabar settentrionale kannur è il consueto delirio urbano indico. primo assaggio di un thali del kerala col riso dai chicchi ciccioni per sole 30 rupie.


PAYYANUR e il THEYYAM

il theyyam (termine locale malayalam per devam = dio; qui riferito per estensione a elementi naturali, animali totemici, spiriti degli antenati, eroi mitologici o divinità a tutti gli effetti) è un'antichissima pratica di devozione rituale tipica dei villaggi e dei boschi sacri (kavu) del nord malabar, ovvero la costa settentrionale del kerala. la “danza degli dei” affonda le sue radici nel passato arcaico delle culture pre-dravidiche e pre-ariane dell'india meridionale, fino al cuore dei riti di propiziazione del raccolto o in generale di captatio divinae benevolentiae (ottenimento della benevolenza divina) delle società agricole del neolitico. si tratta di un complesso rituale di metamorfosi divina per cui, in seguito ad un'articolata preparazione che prevede digiuno, preghiera e un meticoloso lavoro di trucco e travestimento, e attraverso poi una cerimonia danzata di 12-24h, il danzatore-officiante diviene incarnazione della divinità protettrice del villaggio. il rito è performato nello spazio antistante il tempio e i devoti si raccolgono intorno agli officianti, nelle vicinanze dell'albero sacro. in apertura la cerimonia di invocazione, in cui il danzatore appare ancora in sembianze semiumane, con un trucco leggero e un semplice copricapo, è eseguita con l'accompagnamento di strumenti tradizionali a percussione, canti di preghiera e narrazione cantata dei miti legati alla divinità, spesso connessi alla sua manifestazione nel villaggio in questione. dopo un primo intervallo, in cui egli si cela alla vista dei devoti, il protagonista fa ritorno in scena a metamorfosi avvenuta, con trucco integrale e un copricapo riccamente elaborato. l'essere che fu mortale è ora un dio, la fusione dei due piani ontologici è compiuta e il divino mostra il suo volto a quanti lo hanno invocato. a questo punto la danza riprende, incorporando movimenti da arte marziale, esibizioni particolari con armi e talvolta catene o strumenti di menomazione fisica e in alcuni casi anche sacrifici di galli o altri animali alla divinità. i diversi stadi della danza simulano i passaggi di stato, i graduali cambiamenti di sostanza che realizzano la metamorfosi, dall'iniziale trasformazione sul piano fisico, all'unione metafisica della mente individuale con quella universale, fino al totale abbandono mistico della trance estatica in cui il dio si manifesta. il theyyam è allora per tutti il dio vivente e come tale viene venerato dalla comunità di devoti, che eseguono la puja, porgono offerte e mangiano il prasad (cibo sacro benedetto), in un rapporto diretto col soprannaturale unico e straordinario, per cui è possibile rivolgersi alla divinità senza intermediari, ascoltare profezie e ricevere benedizioni dalla sua viva voce. infine, dopo lunghe ore e successivi intervalli, il danzatore fa ritorno alla forma mortale, simbolicamente evocata dalla rimozione di trucco e copricapo e dalla riesposizione delle sue fattezze umane.

i theyyam sono perfetti esempi del sincretismo religioso tra le forme di culto dei popoli tribali e la tradizione induista (soprattutto vishnuita, shivaita e shakta= relativa al culto della dea madre quale energia-potenza creatrice divina) che su di esse si è innestata. questo particolare interessante mette in luce alcune delle modalità di interazione tra gli indigeni del subcontinente (le comunità adivasi) e la loro cultura e le caste indoariane. se i brahmini si riservano l'esclusività delle cerimonie religiose del culto ordinario gli incaricati all'esecuzione del theyyam sono tassativamente appartenenti ai gruppi tribali indigeni e quindi alle caste inferiori, per quella che potrebbe definirsi una forma di reazione degli adivasi contro l'imposizione del sistema castale ariano-vedico. inoltre il theyyam accoglie in sè elementi di tradizioni spirituali eterogenee, dando prova di grande apertura e tolleranza religiosa, come attestano le contaminazioni musulmane di alcuni theyyam, ma anche sociale, come nel caso dei theyyam femminili. insomma questo culto vivente è uno strumento unico per comprendere la dinamica evolutiva della religione hindu e più in generale i rapporti simbiotico-sincretici tra le varie anime della spiritualità umana.


siamo infinitamente grati di aver potuto assistere a questo straordinario rituale, che ci ha regalato un'esperienza davvero mozzafiato. siamo approdati, con una buona dose di fortuna e chiedendo alle persone giuste in giro per kannur, nel villaggio costiero di payyanur, durante la celebrazione del chamundi e vishnumurthi theyyam, in cui le divinità evocate sono rispettivamente la dea madre nel suo aspetto terrifico e una delle forme di vishnu. un vero e proprio viaggio nel tempo, indietro fino al cuore del passato ancestrale dell'uomo, che nel malabar invece continua ad attualizzarsi di anno in anno, vivo e potente come di rado al giorno d'oggi, e che proclama inequivocabile la fondamentale unità del genere umano.













FORT COCHIN
apoteosi del kerala coloniale: porto storico e oggi tra i più trafficati del paese; chiese, campanili e cimiteri cristiani ovunque si volga lo sguardo; il palazzo di mattancherry; il quartiere ebraico con una delle sinagoghe più antiche di questa parte di mondo; il bazar con le botteghe che tuttora effondono le stesse aromatiche fragranze, memori dei giorni in cui questo era il fulcro del commercio delle spezie dove convergevano le rotte europee, arabe e cinesi; le cheena vala, le reti da pesca cinesi, che tendono le braccia al mare arabico, a testimonianza delle influenze cosmopolite di cui la storia ha intessuto questi lidi.














IL KATHAKALI
una delle nostre serate a fort cochin è dedicata al kathakali.
la forma di espressione teatrale tradizionale del kerala è molto più che semplice recitazione espressivo-narrativa. è una complessa combinazione di elementi di teatro, letteratura, musica, danza, ritualità religiosa e arti marziali in una performance affascinante e enigmatica il cui scopo ultimo è la narrazione-rappresentazione (kali) di una storia (katha). ad essere messi in scena sono episodi tratti dall'universo epico-mitologico hindu (principalmente da ramayana, mahabharata e purana) che trattano le grandi tematiche e le questioni eterne legate alla natura umana, abilmente restituite al pubblico dallo sforzo collettivo di attori, musicisti, cantanti, truccatori e costumisti.
il trucco è eseguito di fronte al pubblico quale parte fondamentale dello spettacolo vero e proprio, in quanto, anche qui come nel theyyam, è il mezzo simbolico attraverso cui l'attore si trasforma, dentro e fuori, nel soggetto che deve impersonare. i personaggi tendono ad essere, più che una precisa caratterizzazione personale, l'illustrazione di una categoria tipologica appartenente al mondo celeste delle divinità, a quello demoniaco o a quello umano e espressa dal colore del volto (es. verde per le creature divine e eroiche, nero per gli essere demoniaci etc). gli attori non si servono mai della parola ma si esprimono attraverso movimenti della testa, del corpo, degli occhi e delle mani, in una serie complessa e raffinata di atteggiamenti e gestualità, ciascuna con un significato definito. l'importanza maggiore è attribuita alla mimica facciale e alle posizioni delle mani, codificate in un vero e proprio alfabeto di mudra (gesti), che corrispondono a precisi stati d'animo, sentimenti e altri concetti propri della sfera dell'emozionale umano.



uno spettacolo di kathakali induce sensazioni e suggestioni uniche. quest'arte misteriosa, più che la mera narrazione di una storia allo spettatore passivo, è la creazione dinnanzi ai suoi occhi di un mondo mitico che è in ultima analisi patrimonio comune dell'esperienza umana, è l'evocazione sublime di immagini che appartengono ad altri dove e altri quando, è l'intreccio di una connessione profonda con quel senso primordiale e innato di magia che alberga dentro ciascuno di noi.



KOVALAM, ALLAPUZHA e le BACKWATERS
poco di degno di nota per le strade di dette cittadine costiere, non fosse per il giro in traghetto (rigorosamente pubblico e piacevolmente scassato, che sennò costa un botto) lungo le backwaters, il vasto sistema di lagune interne, bacini e canali navigabili, costellato di foreste lussureggianti di palme e mangrovie, stormi di uccelli di mille specie, pittoresche house-boat e sonnolenti villaggi di pescatori.


















TRIVANDRUM
la capitale è come sempre la bolgia caotica delle grandi città del subcontinente. solo il sri padmanabhaswamy temple e i suoi dintorni riescono a salvare parzialmente la situazione.

PADMANABHAPURAM
grazioso palazzo in thek si trova già in tamil nadu ma è amministrato dal governo federale del kerala, in quanto residenza reale della dinastia travancore che ha regnato sul kerala e kanyakumari tra XVI e XIX secolo.