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ottobre – 6 novembre 2013
CINA
::terza
parte::
3/3
SICHUAN
chengdu
d'accordo,
se uno proprio vuole vedercelo, qualcosa di interessante si trova in
tutte le città del mondo. e in verità non possiamo dire, a
proposito della capitale del sichuan, niente di peggio di quanto
diremmo di qualsiasi altra megacittà cinese: grattacieli, stradoni
ipertrafficati, una cappa costante di smog e polveri sottili, negozi
su negozi di brand occidentali, poco pochissimo verde e ancora meno
edifici storici. tra le rare reliquie sopravvissute alla
grattacielizzazione
totale dello spazio urbano c'è il tempio di wenshu, in cui passiamo
qualche ora piacevole a chiacchierare con un giovane monaco, il quale
vuole, manco a dirlo, andare a studiare il dharma in canada!
l'apoteosi della nausea da metropoli ci viene quando mettiamo piede
nella walking street,
che non è affatto un posto piacevole dove fare una passeggiata,
quanto piuttosto un inferno da invasati dello shopping, stracolmo di
negozi spiattellati uno accanto all'altro lungo troppe centinaia di
metri, circondati di palazzi da vertigine, con gran contorno di fast
food stranieri. ci mette davvero paura. per fortuna ci fermiamo solo
due giorni e poi fuggiamo.
la prima idea è quella di spostarci al
vicino villaggio di pingle, ma dobbiamo fare i conti con la passione
dei cinesi per le demolizioni, che hanno guarda caso raso al suolo la
stazione che serve a noi, quella di jinsha, la quale continua
comunque a comparire su tutte le mappe cittadine. così quando
scendiamo dal bus urbano, e ci mettiamo invano a cercare sta
benedetta bus station, non passa molto tempo prima che il
sospetto ci sfiori. i soliti gentilissimi passanti accorrono al volo
a soccorrerci, ci mimano spassosissimamente la distruzione
dell'edificio e ci consigliano di andare a beimen. a questo punto
però decidiamo di proseguire direttamente fino a langzhong. un
adorabile nonnetto con un sorriso dolcissimo ci accompagna
addirittura dall'altra parte dello stradone a mille corsie, solo per
spiegare all'autista del bus dove deve farci scendere. che altro
dire?
langzhong
dopo
lo shock da metropoli (patologia che ci coglie sistematicamente, non
importa quanto tempo passiamo in città) ci confortiamo con la beltà
di langzhong e delle sue splendide stradine acciottolate. a parte
qualche sporadico, e più che legittimo, negozio di souvenir, qui non
c'è traccia dell'atmosfera da centovetrine delle altre old
town. per le strade si incontra il fermento quotidiano della vita
vera di una cittadina non ancora snaturata dal turismo:
i vecchi chiacchierano sull'uscio di casa, le donne si lavano i
capelli sul marciapiede, i bimbi giocano, le sale da the e da gioco
traboccano di avventori ciarlieri, i ristoranti non sono esclusiva
dei turisti ma si rivolgono principalmente ai locali.
il
lungofiume è un'opzione piacevole per fare due passi e la sera gli
edifici sull'altra sponda sono illuminati con giochi di luce
colorati. di là del jialing c'è un altro piccolo quartiere storico,
questo però del tutto ricostruito e spudoratamente votato al
turismo, zeppo com'è di casinò e club esclusivi. sulle colline
circostanti sorgono numerosi templi, un museo e un buddha gigante,
anche se l'ingresso è ovunque a pagamento.
la
via delle taverne tradizionali di langzhong è stracolma di piccoli
ristorantini che servono la mian,
ovvero spaghetti fatti a mano, preparati all'istante, e sotto
gli occhi del cliente che li ha appena ordinati, da quelli che sono
dei veri e propri artisti del mestiere, i quali tirano la pasta tra
le dita con una maestria impressionante e danno forma alla velocità
della luce a porzioni di noodles fini o larghi, piatti o rotondi.
insomma
a langzhong ci stiamo proprio bene. la città è carica di
un'atmosfera ammaliante, che si avvicina di brutto a quella di
weishan. sarà che dalla cima di ciascuna delle due torri cittadine
la vista spazia a 360 gradi su un manto di tegole nere, qua e là
tinto del verde, del rosso e del giallo degli alberi ancora in fiore,
su cui ti aspetteresti da un momento all'altro di veder combattere
planando un drappello di guerrieri erranti.
e poi dormiamo in una
cameretta all'interno di una casa a corte, la prima che riusciamo a
trovare libera, e che poi scopriamo essere anche la più economica in
città, piacevolmente lontana dal pur minimo bordello della via
centrale. i due fratelli che gestiscono la guesthouse sono un
capolavoro di simpatia e gentilezza. parlano pochissimo inglese e
come al solito si servono del traduttore per comunicare con noi, ma
sono oltremodo ospitali e ogni sera insistono per offrirci da bere
nel giardinetto di casa, perchè, dicono, “di laowai non se vedono
molti e siamo troppo contenti di ospitarvi”. ci portano persino sul
lungofiume dietro casa per lanciare qualche lanterna, al grido di
“good luck for your love” e “love forever!”, per propiziare
così “il nostro amore” e un futuro ritorno in cina, sotto gli
occhi esperti dell'ometto del negozio di fronte che dispensa
consigli. quindi ci sbronziamo tutti insieme allegramente. sono
ospitali a tal punto che ci offrono di restare una notte in più
gratis. purtroppo dobbiamo rifiutare, perchè abbiamo appena
prenotato l'unico treno quotidiano da chongqing a guilin perciò
tocca muoverci. resta l'impagabile ricordo di aver chiacchierato per
ore senza conoscere una parola delle reciproche lingue, e pure senza
l'ausilio di una lingua franca.
grazie
mille a jiang lei! ganbei!!
CHONGQING
eccoci
di nuovo catapultati nel delirio metropolitano, e che metropoli.
chongqing è la città della nebbia. contro il suo cielo perennemente
plumbeo, quando non carico di pioggia, si staglia una sequenza
sterminata di grattacieli, tra i quali si infiltra il corso del fiume
jialing, che poi si immette nello yangtze all'altezza del porto. col
suo andirivieni di navi da crociera, che solcano
il fiume azzurro in direzione delle tre gole, mercantili dalle
proporzioni mastodontiche, chiatte colossali, cataste di container e
l'immancabile cornice dei soliti giganti di ferro e cemento, la zona
portuale non stonerebbe nel futuro post-catastrofico di qualche manga
stile akira e infondo ha un suo fascino. soprattutto quando si
passa il tempo ad osservare gli ometti con gli aquiloni e i facchini
trasportare, caricare e scaricare merce di ogni tipo. per il resto la
skyline alla blade runner genera un tono su tono da crisi
epilettica, cui si può reagire solo grazie alla piccantezza da
infarto di un hot pot (il
piatto tipico di chongqing). andiamo al tempio degli arhat per
tirare un'oretta il fiato, ma, più che le statue dei venerabili, a
lasciarci di stucco è il netto contrasto tra la pagoda di legno
scuro e i palazzoni tutto intorno. una fotografia alquanto eloquente
della cina di oggi.
da
chongqing partiamo alla volta di guilin, che raggiungiamo dopo ben 20
ore di treno attraverso vallate incantevoli e la campagna più
lussureggiante, trapunta di casette di legno e mattoni, che ci
ricordano vagamente le dimore di manali o del nepal, eleganti pagode
e distese di tetti di tegole nere. è l'altra cina, grazie alla quale
ci dimentichiamo del grigiume di chongqing, almeno fino alla prossima
città.
GUANXI
guilin
guilin
è visitatissima, sia perchè è il centro principale della regione
del lijiang, sia per le attrattive cittadine, tipo il picco della
bellezza solitaria o la grotta del flauto di canne, il cui
biglietto d'ingresso di oltre 10€ ci fa però girare al largo. ci
accontentiamo dei parchi e dei laghetti, tra cui il lago shan con le
sue pagode del sole e della luna, che non sono affatto male per una
passeggiata nel sole novembrino, qui ancora piacevolmente caldo. la
zona circostante invece è immersa in uno dei paesaggi più
spettacolari e fotografati della cina, il bacino del fiume li con le
sue verdi colline carsiche. è un luogo di indubbia bellezza. la
campagna, fitta di risaie e alberi da frutto, è costellata di
migliaia di picchi calcarei fin dove occhio può vedere. uno scenario
degno di dragon ball.
yangshuo
e xingping: il fiume li
dato
che non sappiamo come altro fare ad avvicinarci al fiume li coi mezzi
pubblici, ci tocca fare un salto a yangshuo, la cui fama di
insopportabile postaccio turistico non potrebbe essere più
azzeccata. da questo punto di vista siamo infatti al peggio del
peggio che abbiamo incontrato in cina: il centro di yangshuo non è
altro che una fila interminabile di negozi di souvenir, ristoranti
anonimi per turisti e catene di fastfood americani. più brutto non
si può. poi basta allontanarsi dal tourist ghetto,
magari per mangiare un boccone nella zona del mercato cittadino o
per sprofondare nell'incanto del fiume yulong, uno dei tributari del
bacino del li, e dei suoi scenari bucolici, soprattutto se si evitano
gli assembramenti dei gruppi organizzati che monopolizzano gli
attracchi delle bamboo boat.
andiamo
anche a xingping, che sulla carta dovrebbe essere lievemente meno
sputtanata di yangshuo, anche se ci sembra strano, dato che proprio
lì si trova il tratto di fiume stampato sulla banconota da 20 yuan.
e infatti i pazzi turisti cinesi si scattano l'un l'altro
divertentissimi servizi fotografici con 'sti benedetti 20 yuan in
mano e i picchi riflessi nell'acqua sullo sfondo!! ergo, xinping è
a un passo dal divenire una yangshuo in scala ridotta.
il
problema non è il fatto che un luogo sia turistico. chiaro che se
c'è qualcosa di interessante da vedere è più che sacrosanto che la
gente ci vada. purtroppo però il turismo di massa funziona
esclusivamente a pacchetto all-inclusive, in cui anche la più
piccola sciocchezza è prenotata e prepagata, grazie
all'intercessione di una delle più nefaste invenzioni della nostra
era, le agenzie di viaggio, e il contatto col mondo autoctono è
ridotto ai minimi termini. e così, a suon di catene di
mega-alberghi, magari di proprietà di qualche tour operator
straniero, e ristoranti dove il cibo locale è un miraggio, si fa
piazza pulita del fascino di qualsiasi luogo sulla terra, il quale
perde immediatamente di autenticità per trasformarsi in una sterile
accozzaglia di stereotipi e finisce per non avere più nulla del
paese in cui si trova, tendendo ad assumere l'aspetto abominevole di
ciò che i turisti si aspettano di trovare. trattasi di tristissimi
limbo senza capo né coda.
il
fiume li sarebbe splendido, non fosse che, per la maggior parte dei
tratti più accessibili coi mezzi pubblici, è percorso da moleste
piccole barchette di finto bambù cariche di turisti o peggio da
rumorosissimi barconi osceni che fanno davvero a pugni con l'idillio
circostante. questo business del giro in barca guasta non poco
l'atmosfera d'insieme. noi raggiungiamo a piedi il letto del fiume,
attraverso scorci mozzafiato di campagna e agrumeti odorosi, sempre
in bilico tra lasciarci andare a inenarrabili turpiloqui circa lo
schifo di cui sopra e apprezzare la bellezza del paesaggio, che in
realtà ci godiamo in barba a tutto e tutti.
quindi
partiamo per la capitale del guangxi.
nanning
di
nanning vediamo solo la stazione dei treni e le vie circostanti,
perciò non possiamo dire granchè. a prima vista comunque ci sembra
la solita megacittà cinese. mangiamo un riso nei dintorni
dell'albergo, andiamo in cerca di frutta per il viaggio che ci
attende il giorno seguente e poi dormiamo. la mattina dopo all'alba
attraversiamo in autobus la città, in direzione della stazione
langdong. l'unica nota di colore lungo il tragitto sono i soliti
nonnetti mattinieri che fanno ginnastica o tai chi all'ombra dei
grattacieli.
pingxiang
poche
ore dopo siamo a pingxiang, poco lontano dal confine col vietnam.
quando scendiamo troviamo l'immancabile tizio (che scopriamo poi
essere vietnamita) che ci offre di cambiare gli yuan in dong e,
quando gli diciamo che ne abbiamo solo 50 scoppia in una fragorosa
risata. è lui a suggerirci che, anziché andare fino al confine,
attraversarlo a piedi e poi cercare un modo per continuare il viaggio
verso hanoi dall'altra parte, dove con ogni probabilità saremmo
assaliti dagli agenti vietnamiti a caccia di clienti, i quali ci
avrebbero di certo sparato prezzi folli, un autobus diretto da qui esiste
eccome, a dispetto di quanto ci era stato detto in precedenza. e
così, dopo aver fatto scorta per l'ultima volta di baozi, ci
lasciamo la cina alle spalle, e chissà fino a quando.
ce
ne andiamo con un pensiero che ci danza in testa, perchè davvero da
queste parti quello che ci diciamo sempre calza più che mai a
pennello: si viaggia per la gente, punto e basta. non c'è reliquia
archeologica, paesaggio incontaminato o chissà quale altra
meraviglia che tenga. non ci sono piramidi nè persepolis, konark o
angkor, petra o bakhtapur che possano reggere il confronto. e nemmeno
l'immensità himalayana, il cielo del wadi rum, l'azzurro del mar
delle andamane o le risaie inondate di luce. infondo quello che,
almeno per noi, rimane inciso a vita nel cuore è altro: è la timida
cortesia di uno sconosciuto, quel gesto gentile e disinteressato che
addolcisce in un baleno una giornata dura, è la purezza ultraterrena
di cui sono saturi gli occhi dei bambini, l'eleganza delle vecchie
signore che avanzano piegate sotto i fasci dell'erba, o magari la
serata passata a bere col primo che incontri, è la lanterna che
hanno fatto volare per te, per vederti un giorno tornare nella loro
dolce cina.
::fine::