<bgsound src='https://dl.dropboxusercontent.com/u/36681738/Pandit%20Ravi%20Shankar-%20Raga%20Rasia.mp3' loop='infinite'>
5 settembre  - 19 dicembre 2013
BACINO DEL MEKONG (thailandia, laos, vietnam, cambogia) e CINA MERIDIONALE
  • 12000 km circa •

 
22 novembre – 10 dicembre 2013
CAMBOGIA


lasciamo saigon col solito misto di nostalgica mestizia per i giorni vietnamiti e voglia curiosa di mettere il naso di là del confine. al passaggio della frontiera ci attende già un lieve mutamento di atmosfera nella transizione tra le due anime del sudest asiatico, tra l'area di influenza cinese del vietnam, caratterizzata da elementi di evidente derivazione sinica, come gli edifici a pagoda, il buddhismo mahayana, un corpus di leggende peculiare ma denso di suggestioni e dragoni in pieno stile “celeste impero” alla regione thai-lao-khmer di più marcata influenza indica, ricca di rimandi alla struttura templare (shikara-prang) e urbana hindu nell'architettura tradizionale, ai curry speziati del subcontinente nella cucina, alla cosmogonia vedico-buddhista, alla grande epica del ramayana, a elementi dal sapore decisamente indiano nell'arte, nella danza, nel teatro ect. è la commistione fusion unica dell'indocina. 
 



della cambogia l'”occidentale” medio conosce poco o niente, tranne forse la disastrosa stagione della “kampuchea democratica” dei khmer rossi e, ma è un'ipotesi ancora più remota, la grandiosità ammaliante delle rovine di angkor, uno dei siti archeologici più vasti, imponenti e affascinanti dell'asia e del mondo intero. il popolo khmer, il gruppo etnico maggioritario in cambogia che ha plasmato la storia e l'evoluzione culurale di tutto il paese, ha subito sin dai primordi della sua civiltà l'influenza culturale-politica-religiosa dell'india hindu, evidente nella struttura sociale a caste, nell'adozione dell'induismo come religione di stato prima della conversione al buddhismo, nell'arte e nell'architettura e nella concezione della sovranità. il più antico dei regni khmer fu quello di funan, fiorito tra I e VII secolo dc, cui seguì il regno di chenla, ma l'epoca aurea della civiltà khmer corrisponde al periodo che va dal IX al XIII secolo, quando il regno di kambuja inglobava entro i propri confini vietnam, laos e thailandia e la sua area di influenza abbracciava anche alcune zone dell'odierna malesia. il centro del suo potere fu la pianura alluvionale a nord del lago tonlé sap e precisamente la splendida angkor, la quale capitolò infine nel 1431, soccombendo all'invasione dei thai. seguì una fase di instabilità durante la quale si alternò sul trono cambogiano una teoria di sovrani poco autoritari e da cui la cambogia uscì ridotta a mero territorio di conquista, conteso tra i vicini thai e vietnamiti.



negli anni sessanta dell'800 divenne protettorato francese e tale rimase, salvo un breve periodo di autonomia nel 1945, fino al 1953 quando re sihanouk strappò alle autorità coloniali un accordo preliminare all'indipendenza, che fu poi sancita alla conferenza di ginevra l'anno successivo.

il sangkum reastr niyum o "comunità socialista popolare", il nuovo organismo politico fondato dall'ex monarca, che aveva nel frattempo abdicato in favore del padre, vinse tutti i seggi dell'assemblea nazionale nelle elezioni del 1955, grazie alla grande popolarità di cui sihanouk godeva presso la popolazione rurale. la cambogia si imbarcò quindi in una sorta di anomalo esperimento socialista, che prevedeva tra le altre cose l'inclusione delle sinistre al governo e la nazionalizzazione delle banche e del commercio con l'estero, ma accettava al contempo anche gli aiuti economici e militari degli usa e intratteneva buoni rapporti con cina e vietnam del nord.

nei primi anni sessanta tuttavia sihanouk si staccò progressivamente dagli stati uniti, avvicinandosi sempre di più al blocco comunista della cina di mao e dell'urss, tanto che durante la guerra del vietnam, nonostante gli ufficiali proclami di neutralità, permise alla resistenza vietcong di nascondersi nella fitta giungla cambogiana, e dal 1966 all'esercito popolare nordvietnamita di fare base in cambogia e utilizzare il porto di sihanoukville come punto di attracco per le navi di supporto alle truppe comuniste nel vietnam del sud. questa presa di posizione scatenò i massicci bombardamenti usa in tutto il territorio cambogiano, noti come operazione menu, che costarono la vita a migliaia di civili, spazzati via dai quasi 3 milioni di tonnellate di bombe (più di tutte quelle lanciate dagli alleati nel secondo conflitto mondiale, incluse le atomiche su hiroshima e nagasaki). in seguito emersero particolari inquietanti riguardo la suddetta campagna bombarola, avviata sotto silenzio già a partire dal 1965 con l'amministrazione johnson: tra 1965 e 1968 vennero effettuate 2,565 uscite aeree attraverso i cieli della cambogia con ben 214 tonnellate di bombe sganciate, in supporto alle incursioni terrestri (quasi 2000), anch'esse segrete, condotte nello stesso periodo dalle forze speciali usa in territorio cambogiano. 
 

nel frattempo nel panorama politico nazionale si affermò la figura del generale lon nol, la cui carriera, sostenuta sin dall'inizio dalla CIA, si mostrò da subito orientata in direzione di una progressiva e devastante destabilizzazione degli equilibri della società cambogiana, messa in atto tramite una sanguinaria strategia di repressione del dissenso, che portò allo scoppio di innumerevoli rivolte. proprio a questo brutale clima di terrore, foraggiato dal beneplacito americano, che si concretizzò mentre sulle cambogia piovevano le mortifere bombe yankee, si deve imputare il rafforzamento del partito comunista dei khmer rossi, con cui presto sihanouk considerò opportuno allearsi, visto anche il fallimento dei suoi accordi con la cina, per nulla intenzionata a limitare le incursioni vietnamite in cambogia, ma anzi mostratasi più e più volte collusa con le azioni condotte dalla guerriglia a danno del suo governo. lol nol per tutta risposta si lanciò in una serie terribile di massacri contro la popolazione di etnia vietnamita in cambogia, come deterrente contro le attività paramilitari di hanoi, e intensificò la sua manovra reazionaria contro i rivoluzionari comunisti. parallelamente la presidenza nixon cambiò rotta alla strategia americana nel sudest asiatico, aprendo all'impiego dei b-52 nell'ottica di un'intensificazione dei bombardamenti a tappeto, che doveva servire a tenere a bada le forze nemiche e a consentire il progressivo ritiro dell'esercito statunitense dal vietnam: i cambogiani furono usati come carne da macello per proteggere i soldati americani (600.000 morti e almeno due milioni di rifugiati) e intere aree del paese, come promesso poco tempo prima dai vertici del pantagono ai vicini vietnamiti, furono quasi “riportate indietro all'età della pietra”.

quando l'alleanza di sihanouk coi khmer rossi, il laotiano pathet lao e il vietnam del nord portò alla formazione del GRUNK, il government royal d'union nationale du kampuchea, l'ingerenza americana si tradusse in un vero e proprio dirottamento del panorama politico interno: nel 1970, poco dopo l'invasione terrestre della cambogia da parte dell'esercito a stelle e strisce, la CIA spalleggiò il colpo di stato del generale lon nol, il quale depose il neonato governo di sihanouk, abolì l'istituzione monarchica e la sostituì con una forma di amministrazine ultracentralizzata, la “repubblica khmer”, di cui lon nol stesso fu presidente fino al 1975. per i cinque lunghi anni della sua leadership piovvero sul suo entourage cospicui aiuti militari (munizioni ed equipaggiamenti) da parte usa, tramite il military equipment delivery team (MEDT), che venne inviato a phnom penh nel 1971 con un totale di 113 ufficiali. 
 

l'opposizione al regime militare del generale, duramente colpita dalla sua politica del pugno di ferro, devastata dalle bombe americane e ridotta alla fame e alla miseria, infuse nuova vita alle attività dei khmer rossi, affidando la gestione della guerriglia alla loro fanteria pesante, che presto soppiantò il ruolo preminente delle truppe nordvietnamite, nazionalizzando così il conflitto e trasformandolo in una sanguinosa guerra civile tra la resistenza comunista, con gli alleati vietcong, e le forze governative di lon nol, supportate dagli stati uniti e dal vietnam meridionale. l'inferno che ne seguì e le continue incursioni terrestri e aeree americane impressero ulteriore mordente all'azione di pol pot e dei suoi, spingendo la mggioranza delle popolazione a supportare i khmer rossi.

nel 1973 l'ultima fase di bombardamenti, volta a fermare l'avanzata di pol pot verso phnom penh, ridusse in uno stato di distruzione quasi apocalittica tutta l'area della capitale, in cui per giunta dalle altre aree disastrate si riversarono più di un milione di profughi disperati, costretti a mendicare in città senza cibo, lavoro e assistenza medica. la sconsiderata politica di terrorismo adottata dagli stati uniti devastò totalmente la cambogia, mandandola in rovina e facendola capitolare nel 1975 sotto il controllo definitivo dei khmer rossi, l’unica forza sufficientemente organizzata da impadronirsi del potere. il loro direttivo si allineò presto con pechino, allontanandosi dagli oramai ex-alleati di hanoi e del patto di varsavia, e quindi, in conseguenza della svolta “filoamericana” dell’ultimo mao, seguì il medesimo percorso, gettando le basi per la successiva cooperazione pol pot-washington degli anni ‛80.

lon nol rassegnò le dimissioni e abbandonò il paese il 1º aprile 1975: la guerra civile era finita ma stava per aprirsi la stagione nera della “kampuchea democratica”, il nuovo corso impresso al paese dai khmer rossi, la cui prima iniziativa fu di svuotare completamente la capitale della sua popolazione e di avviare una lunga serie di esecuzioni. sihanouk divenne capo dello stato, ma nel giro di poco tempo tempo dovette soccombere all'affermarsi dell'ala più estremista. nel 1976, quando fu nominato primo ministro, pol pot ricalibrò il calendario sul simbolico “anno zero” e chiuse i confini per sottrarre la cambogia all'ingerenza straniera e traghettarla indietro nel tempo all'era pre-industriale. nel periodo che seguì, tra i più bui della storia nazionale, i cambogiani sperimentarono l'orrore e la ferocia terribile di uno sterminio autoindotto, anche se non è difficile tracciare gli intrecci di responsabilità internazionali che permisero l'affermarsi del regime e che sono perciò imputabili di complicità nei suoi crimini, cui la comunità internazionale assistette senza muover un dito. i khmer rossi, tentando di indirizzare la società cambogiana ad un egualitarismo rurale, fondarono una sorta di cooperativa agraria di stampo maoista, edificandola però col sangue del loro stesso popolo, deportato in massa e, qualora avesse manifestato la minima forma di opposizione, sistematicamente massacrato. da '75 al '79 in soli quattro anni vennero messi a morte circa un milione e mezzo di cambogiani, quasi il 20% dell'intera popolazione. per tutto il tempo la crescente evidenza delle atrocità dei khmer rossi fu sotto gli occhi del mondo, ma il governo americano e i suoi alleati in europa e asia rimasero in silenzio per non dover riconoscere le loro oggettive responsabilità nell’ascesa al potere di pol pot. un'alleanza oltremodo nefasta, quella tra CIA e khmer rossi, nata in chiave anti-sovietica e anti-vietnamita e durata oltre due decenni, nei quali gli stati uniti furono responsabili del sostegno della guerriglia khmer negli anni ‛80, ma anche, più o meno direttamente, della loro ascesa negli anni ‛70. 



alla dittatura di pol pot pose fine il governo di hanoi, che, a causa delle continue infiltrazioni cambogiane in vietnam, decise di invadere la cambogia nel 1979, favorendo l'ascesa al potere di heng samrin. l'occupazione vietnamita durò fino al 1989, nonostante la ferma opposizione delle nazioni unite all'egemonia di hanoi in cambogia, condannata dalla comunità internazionale pur se aveva liberato il paese da una dittatura sanguinaria ufficialmente ostracizzata da tutto il cosiddetto “mondo libero”. dal '79 al '91 i khmer rossi godettero in realtà del supporto di usa, thailandia e cina, nel clima antisovietico e antivietnamita da piena guerra fredda, tanto che sul confine thailandese si raggrupparono un gran numero di guerriglieri rifugiati e vennero costruite basi strategiche per la gestione delle azioni di sabotaggio contro il neonato governo filo-vietnamita. anziché contribuire alla ricostruzione, stati uniti, giappone e gran bretagna divennero i principali sponsor di pol pot, per il quale dal 1980 al 1986 l'amministrazione americana stanziò in totale 85 milioni di dollari, spesso riversati nelle casse dei khmer rossi attraverso l'association of southeast asian nations (ASEAN). questo mentre la cambogia sprofondava nella miseria, totalmente priva delle infrastrutture basilari, di un sistema sanitario, di una rete di trasporti e di strade, con la popolazione ridotta alla fame.

per chi se lo chiedesse, ecco come si spiega lo stato in cui versa la cambogia oggi.



tra 1987 e 1991 il vietnam procedette al progressivo ritiro delle sue truppe dal territorio cambogiano e gli accordi di parigi portarono all'inaugurazione del mandato ONU, che, invece di sancire la stabilizzazione e il bando dei khmer rossi, finì per ottenere la marginazzazione del CPP (partito popolare cambogiano) di hun sen e tentò di includere nuovamente pol pot e i suoi nella vita politica cambogiana. ogni asserzione che sottolinei perciò l'impegno internazionale nella criminalizzazione e nella caduta della dittatura dei khmer rossi pare da ogni punto di vista quanto mai falsa. la CIA da parte sua contribuì invece per tutto il tempo all'isolamento diplomatico, politico ed economico della cambogia. in questo senso il mandato delle nazioni unite è da vedersi come l'ennesimo colpo di mano, atto a evitare la vittoria del CPP, attraverso la rimozione delle truppe vietnamite e il disarmo dei militanti del partito popolare, che furono costretti a consegnare più armi dei khmer rossi, i quali ebbero invece la possibilità di nasconderle in montagna e nella giungla. la continua interferenza nei processi elettorali consegnò la cambogia nelle mani di coalizioni deboli e insolventi, che non riusciriono ad avviare alcun processo di sviluppo. le elezioni per l'assemblea costituente del 1993, boicottate dai khmer rossi, furono vinte dai monarchici del FUNCIPEC (fronte unito nazionale per una cambogia indipendente, neutrale, pacifica e cooperativa) guidato da sihanouk, che ripristinò la monarchia, affidando il governo al figlio del re, norodom ranarridh, e a hun sen. pol pot morì nell'aprile del 1998. nel 1999 la cambogia aderì all'ASEAN e nel 2001 venne accolta la proposta ONU di istituire un tribunale internazionale per giudicare i crimini commessi dai khmer rossi. prese così avvio il processo farsa a danno di una manciata di imputati con responsabilità pesanti e oggettive per carità, con cui la comunità internazionale si lavò pilatescamente le mani dalle accuse di favoreggiamento e complicità negli stermini cambogiani. 
 

il 2003 vide il brusco deterioramento delle relazioni tra cambogia e thailandia, a causa della disputa sull'appartenenza del tempio di preah vihear, che sfociò in scontri a fuoco e nella chiusura del confine. alle elezioni del 2003 si affermò il CPP del primo ministro hun sen e al vertice di cancun dello stesso anno la cambogia entrò far parte del WTO. le condizioni per l'ingresso furono a dir poco pesantissime: tagli delle tariffe doganali, apertura totale del mercato interno agli investimenti stranieri e rinuncia all'utilizzo dei farmaci generici prodotti nel paese.

ancora oggi l'eredità dell'intervento americano in cambogia è scritta nel sangue e nellla povertà che attanaglia l'intero paese, anche perchè l'ingerenza usa non ebbe fine con la sospensione dei bombardamenti, ma assunse semplicemente nuove forme, quali la manipolazione delle elezioni, la destabilizzazione interna, tramite la consolidata politica del sostegno economico-strategico a ambo le parti in gioco (con esiti indiscutibilmente pro-usa come l'estromissione del leader dell'UNCINPEC da parte del suo partner di coalizione hun sen del CPP, come da dettami di washington) o la totale sudditanza economica. basti a questo proposito ricordare come la cambogia sia uno degli unici paesi al mondo ad utilizzare anche nelle piccole transazioni economiche quotidiane una moneta non propria, nella fattispecie i dollari americani, introdotti negli anni '90 con la scusa di contribuire alla ricostruzione dalla forza di pace delle nazioni unite, che ne iniettò una quantità ingente nell'economia locale, trasformandoli nella valuta de facto in uso e minando alla base qualsiasi tentativo della banca nazionale cambogiana di controllare autonomamente la politica monetaria nazionale. 
negli ultimi anni la cambogia è diventata terreno di caccia per gli speculatori internazionali e le multinazionali del tursimo, grazie alla politica di liberalizzazioni per cui è possibile costituire aziende con capitale al 100% straniero, acquistare terreni e proprietà immobiliari e essere titolari di contratti di concessione validi duecento anni. nel 2007 poi hun sen ha dato avvio alla svendita delle spiagge sulla terraferma, espropriando le terre di contadini e pescatori, cacciando a forza i legittimi proprietari e finendo per consegnare più del 45% del territorio nazionale nelle mani di società straniere.

nella cambogia di oggi, soprattutto nelle zone turistiche, non è raro incappare in senzatetto o bambini che mendicano per pochi spiccioli, una situazione praticamente inesistente nel resto del sudest asiatico, lo sfruttamento della prostituzione minorile è una ferita aperta nel cuore della società, l'attività delle ONG è quantomeno ambigua quando non collusa con gli interessi delle multinazionali e delle lobby di governo, il commercio di ciò che resta dei tesori khmer è la triste realtà quotidiana. alla faccia dell'intervento liberatore delle nazioni unite che ha salvato la cambogia dal diventare un paese disastrato come il vietnam socialista!




dal confine di moc bai arriviamo direttamente a phnom penh, viaggiando attraverso incantevoli villaggi di case-palafitte in legno colorato, palme e risaie tra cui spuntano di nuovo i tetti appuntiti dei wat.



PHNOM PENH

la capitale è una città piacevole, anche se le tariffe d'ingresso in dollari stonano non poco con le tendenze ultraeconomiche del costo della vita. quindi vaghiamo come al solito in lungo e in largo, privilegiando templi e mercati, che sono la nostra passione, a scapito di musei e affini, a onor del vero un po' troppo costosi. l'orussey market, che abbiamo poco lontano da casa, è un bijoux con ogni ben di dio, incluse bancarelle veg davvero economiche, e scorci di vita quotidiana da servizio fotografico. il central market invece è la classica trappola per turisti, perciò è di gran luga più appagante rovistare tra i banchi dei deliziosi mercati di quartiere, fare due chiacchiere con le onnipresenti parrucchiere di strada mentre ci si gusta un ottimo caffè nero con ghiaccio. la cambogia si rivela da subito adatta alle nostre corde.



KOMPONG CHAM

kompong cham è una tranquilla cittadina della provincia cambogiana, col un bel mercato dai prezzi stracciatissimi (mangiare per strada in cambogia è una goduria degna delle epiche abbuffate del subcontinente), edifici coloniali scrostati ma fascinosi lungo le vie del centro e un tranquillo lungofiume animato dai pescatori e dai soliti capannelli ciarlieri. noleggiamo una bici e ci dirigiamo verso il delizioso wat nokor, un moderno tempio theravadin costruito all'interno di un elegante edificio khmer dell'XI secolo, in un'interessante fusione sincronica di tempio nel tempio. dal portale posteriore se ne parte una piccola pista sterrata, che si infila tra le palme addentrandosi nella campagna fitta di risaie e villaggi senza tempo: la gente lavora nei campi o porta al pascolo bianche buddhiche mucche, mentre orde di bimbetti curiosi escono da scuola e ci rincorrono sgambettando. ci piove addosso letteralmente un “hello” ad ogni metro.



KOMPONG CHHNANG

questa piccola città fluviale ha due centri, uno sviluppato intorno al mercato e l'altro sul lungofiume, che si raggiunge percorrendo una via costeggiata da pittoresche case su palafitta. il mercato del porto è un trambusto di caos delizioso, una sequenza quasi kilometrica di bancherelle allineate che vendono frutta e verdura, altri generi di prima necessità, montagne di assi di legno e il vasellame di ceramica per cui la zona è famosa. processioni ininterrotte di barche, barchette e barconi affollano la riva, mentre colonne di portatori fanno avanti e indietro senza sosta trasportando di tutto. all'imbarcadero il traghetto locale è costantemente pieno di passeggeri in attesa di raggiungere le località a valle. noi passiamo ore a vagare su e giù e a curiosare lungo le passerelle, spingendoci fino a riva per molestare gli amichevoli scaricatori, e poi giungiamo all'approdo delle barchette a remi, dove incontriamo una deliziosa giovane donna vietnamita con la quale ci accordiamo per un giro fino ai villaggi galleggianti. lì si apre dinnanzi ai nostri occhi estasiati il mondo parellelo delle comunità fluviali, in cui a kompong chhnang è ancora più ammaliante addentrarsi data la totale assenza di tour e gruppi di turisti coi soliti telebiettivi invadenti. gli abitanti sono vietnamiti e tutti salutano dalle veranda delle loro coloratissime case galleggianti. 
 

PURSAT

altra città lungofiume con un bel mercato che si anima piacevolmente al tramonto e le vivaci sponde del fiume fitte di casette di legno, di gente che gioca a biliardo, di bimbi seminudi e nonnetti intenti nelle faccende quotidiane. poi poco lontano dal centro, lungo una strada secondaria dove i bimbi ti salutano a ogni passo, c'è il punto di partenza del bamboo train, il leggendario trenino costituito da una piattaforma di legno che viaggia su rotaie e azionata da un motore e una cinghia, che oramai è rimasto in funzione solo da queste parti e sta per venire soppiantato del tutto dai più moderni mezzi di locomozione e trasporto merci. la piccola stazione è più che altro un crocicchio con qualche ristorante e le immancabili bancarelle di caffè e stuzzichini. i treni fermi attendono di essere caricati per partire, così noi temporeggiamo chiacchierando coi passanti. quando anche l'ultimo sacco è posizionato a bordo i passeggeri si acccalcano sulle assi di legno scricchiolanti, l'autista accende il motore e poi si parte. la lentezza con cui il treno si addentra nella fitta campagna e attraversa foresta e risaie è un ottimo invito a godersi la leggiadria del panorama, fino a quando non si incrocia un altro treno che avanza nella direzione opposta. allora tutti insieme i passeggeri sollevano dai binari quello meno carico per consentire all'altro di proseguire e poi il viaggio riprende. è un'altro dei quadri commomenti e impagabili di vita cambogiana che ci riempiono occhi e cuore.



BATTAMBANG

battambang è uno di quei posti che stazionano come tappa obbligata sull'itinerario cambogiano della maggioranza dei visitatori. chissa poi perchè, dato che a nostro avviso non c'è alcunchè di speciale da segnalare. elegante città coloniale? in realtà è più piacevole girovagare per la via centrale di kampong cham. il bamboo train? beh, a dire il vero quello di battambang è attivo solo per il sollazzo degli stranieri e la comunità locale non se lo fila più da un pezzo.. insomma poco di degno di nota.




SIEM REAP

la città più turistica della cambogia invece è una piacevole sorpresa dal punto di vista architettonico e per l'amosfera rilassante a metà strada tra dolce esotica lentezza e movida turistica. ci aspettiamo un agglomerato poco gradevole di alberghi, agenzie, ristoranti, negozie di souvenir e strutture turistiche varie, e lo troviamo manco a dirlo, ma il centro è piacevolemente coloniale (certo più di quello di battambang), il mercato centrale ottimo per lauti banchetti a prezzi più che abbordabili e il lungofiume assai amabile. per il resto noi giriamo alla larga dai mercati notturni un po' troppo artificiosi, dai venditori di souvenir, dai ristoranti modaioli e dalla scena da bar-discopub simil-nostrana che poco ci attrae.



ANGKOR

la meravigliosa angkor, pur se lungi dall'essere la capitale maestosa che era un millennio fa, è uno spettacolo comunque imperdibile per la magnificenza delle rovine, per l'eccezionale maestria della decorazione artistico-architettonica e per la collocazione unica e oltremodo romantica nel bel mezzo della giungla cambogiana. l'area centrale è immensa e misura circa 6x15 km, anche se il complesso archeologico nella sua totalità occupa una zona ben più vasta, estesa su circa 400 km², e include templi e edifici lontani anche 40km dall'angkor wat.

lo sviluppo dell'arte khmer, la cui influenza ha plasmato anche le tradizioni di thailandia e laos, si articola in tre periodi principali: quello arcaico, anteriore allo spostamento della capitale ad angkor, quello classico o angkoriano e quello barocco, ovvero la fase conclusiva.
l'impero khmer è fondato nel 802 d.c. da jayavarman II, che riunisce sotto la sua egida i regni chenla e si proclama devaraja (dio-re) e chakravartin (sovrano universale, o "re le cui ruote del carro sono inarrestabili"), nella piena attuazione dell'assolutismo teocratico orientaleggiante. durante il suo regno si concretizzano i primi passi dell'architettura khmer, caratterizzati dall'aderenza al modello concettuale e costruttivo del tempio-montagna indiano, dove la torre centrale-monte meru è posta su una base a gradoni alla cui sommità sorge il santuario centrale, rivolto generalmente a est e associato al culto del devaraja.

il periodo classico vero e proprio ha inizio con la fondazione di angkor, la nuova capitale edificata attorno alla collina di phnom bakheng, ad opera di yashovarman I (889-900), cui si deve anche la costruzione del baray orientale, un immenso bacino destinato all'approvvigionamento idrico della città e all'irrigazione delle risaie. attorno all'anno 1000 suryavarman I avvia una vasta serie di opere nella capitale, tra cui il phimeanakas, il tempio reale, il grandioso palazzo imperiale e il baray occidentale. in questa fase, detta periodo bakheng, la struttura di base del tempio khmer è arricchita dall'aggiunta di cinque punte a quinconce sulla sommità della torre centrale, quattro verso i punti cardinali e una al centro. la torre centrale, pur rimanendo il fulcro del culto, perde strutturalmente importanza e intorno a essa si sviluppano spazi porticati, sovrastati da gallerie decorate, e torri più piccole in numero rispondente a schemi religiosi o astrologici, secondo un modello morfologico-simbolico che culminerà poi nell'angkor wat. il tempio più conosciuto di angkor fu eretto fra il 1112 e il 1150 da suryavarman II (1113-1150) e dedicato a vishnu: circondato da un ampio fossato e da imponenti mura perimetrali, riproduce fedelmente la concezione cosmologica hindu, per cui le torri centrali rappresentano il monte meru, dimora degli dei, le strutture secondarie le montagne che racchiudono il mondo e il fossato gli oceani che circondano l'universo.

 

il periodo barocco corrisponde al regno di jayavarman VII (1181-1218), al quale si deve angkor thom, la grande capitale cinta da mura di 3 km di lato, edificata dopo la sconfitta ed il saccheggio di angkor ad opera dei cham del vietnam nel 1177. al centro della cittadella si innalza il grande tempio-montagna del bayon, splendido esempio della fase khmer tarda, e intorno i palazzi del re e i centri amministrativi del governo. il suo regno segna l'adozione del buddhismo, prima mahayana e quindi theravada, come religione di stato e l'identificazione del sovrano nella figura di lokeśvara, il bodhisattva della compassione raffigurato nelle teste giganti del bayon. dopo la morte di jayavarman VII, intorno al 1219, l'impero khmer si avvia verso un inesorabile declino fino a che collassa definitivamente nel 1431 con l'invasione dei thai e l'abbandono di angkor, che rimane inghiottita nella giungla per secoli.

oggi il modo di gran lunga più appagante per perdersi tra le meraviglie angkoriane è acquistare il pass per 3 giorni o una settimana e girare in bici finchè non se ne può più! pur se senza un mezzo motorizzato è impossibile raggiungere i siti più decentrati e fuori mano, a meno di non bramare epiche pedalate di 60km, vagare per la giungla lungo i sentieri meno battuti per visitare i templi meno frequentati è di certo l'esperienza più degna di nota e quella che si rimembra con più nostalgia una volta che si è lontani. come sempre la maggior parte del flusso turistico si limita a dare un'occhiata, magari frettolosa, alle attrazioni principali e le zone più remote sono deliziosamente tranquille e molto molto più magiche dell'affolatissimo, eppure ancora splendido, angkor wat nella luce rosea del tramonto.

6-24 novembre 2013
VIETNAM
di tifoni, bia hoi, com chay e ca phe da

pochi posti al mondo polarizzano le opinioni dei viaggiatori quanto il vietnam.

i detrattori non fanno che appellarsi alla sfilza infinita di disservizi, truffe e affini perpetrati a danno dello straniero ignaro, alla presunta xenofobia dei vietnamiti, che pare non si lascino andare con facilità a carinerie gratuite e profusioni di sorrisi amichevoli e, non appena posino gli occhi su un turista, si mettano a elucubrare sulla modalità più sottilmente diabolica per spillargli ogni centesimo. il rovescio della medaglia invece sono le lodi sperticate di chi, come noi, del vietnam e della sua gente si innamora perdutamente e non vede l'ora di tornarci. pur astenendoci dal criticare le opinioni di chi se l'è passata piuttosto male (ne abbiamo sentite di tutti i colori, incluse alcune esperienze del tutto spiacevoli), da parte nostra è difficile non porre l'accento sull'altra faccia del fenomeno in questione, ovvero la tendenza imperante nel turismo main-stream che qui raggiunge l'apoteosi dell'apartheid da revival coloniale: guai a muoversi coi mezzi pubblici, di norma il turista medio non schioda il culo dal sedile posteriore del taxi manco a sollevarcelo di peso, non sia mai che gli tocchi di mischiarsi ai locals; la stragrande maggioranza qui ci viene in vacanza (e si vede), con un portfolio di prenotazioni il più completo possibile, senza lasciare alcunché al caso, e quindi alloggia in alberghi esclusivi, spesso di proprietà delle catene internazionali, o in guest house costosissime dove la tariffa di una notte si avvicina allo stipendio bisettimanale di un vietnamita, tanto per restituire la misura delle proporzioni; la maggior parte se ne va in giro con verdi mazzette di dollari sonanti, ignorando il fatto che il vietnam ha una moneta sovrana che si chiama dong; nessuno accarezza neanche lontanamente l'idea di mangiare per strada, terrorizzato dalle leggende metropolitane sugli avvelenamenti da cibo, o nei ristorantini locali, preferendo rinchiudersi nei bistrot francesi o in qualche abominio tipo KFC; quasi tutti passano le loro giornate dentro e fuori dalle agenzie di viaggio, chè non si fa un passo senza la sicurezza assoluta (illusoria) di aver scongiurato qualsivoglia imprevisto. ergo, riesumando la proverbiale successione temporale uovo-gallina, c'è da chiedersi quale sia il rapporto di consequenzialità tra la demenza del visitatore medio, che pretende di ricevere trattamenti europeo-alpitoureschi, e allora forse dovrebbe farci la cortesia di starsene a casa, e lo status quo del tourism business, che pare ritagliato su misura per questo tipo di turista un po' decerebrato, il quale si trastulla nel lusso e poi ha il coraggio di lamentarsi perchè gli chiedono 20000 dong per un ca phe.

inoltre se ogni paese è figlio del suo passato, da queste parti vale la pena di ricordare i momentacci di cui la storia è testimone.
sin dai tempi della dominazione cinese, che non molla la presa sul vietnam per mille lunghi anni, tra 111 ac e 938 dc, per giungere poi all'avvento meno remoto della colonizzazione francese nella seconda metà dell'800, i vietnamiti sanno fin troppo bene cosa significhi subire penetrazioni allogene, vedersi imposte strutture economiche e culturali estranee alle proprie e lottare per la difesa delle sporadiche parentesi autonome di autodeterminazione e autogoverno. senza andare a pescare troppo indietro nel tempo e limitandoci alla storia della cosiddetta indocina francese, è evidente infatti come, sin dai primordi dell'occupazione, proliferino movimenti locali di ispirazioni distinte ma animati dallo stesso fervore anticoloniale, le cui rivendicazioni, represse spesso in modo più che cruento, portano presto alla formazione del partito comunista vietnamita. nel 1940, durante la seconda guerra mondiale, il giappone acquisisce brevemente il controllo dei possedimenti francesi nel sudest asiatico e nello stesso periodo nguyễn tất thành, universalmente conosciuto col suo pseudonimo di “portatore di luce”, ho chi minh, forma la lega per l'indipendenza del vietnam, il viet minh, che incorpora ufficialmente tutti i fronti patriottici, ma è de facto dominato dalla fazione comunista. durante il conflitto le forze indipendentiste di “zio ho” collaborano con l'oss - office of strategic services - americano in chiave antinipponica, raccogliendo e comunicando ai canali dell'intelligence usa informazioni sui giapponesi. alla luce di tale partnership nei mesi di agosto e settembre 1945 ho chi minh, sempre attraverso le cellule dell'oss, proporrà l'instaurazione di un protettorato  statunitense in vietnam preliminare all'indipendenza, che traghetti il paese verso la liberazione dal giogo coloniale. 

quando poi i francesi intensificano le operazioni militari contro la guerriglia indipendentista nel vietnam del sud, innescando l'esplosione della cosiddetta prima guerra d'indocina (1946-54), i viet minh chiedono formalmente l'intervento degli stati uniti e dell'onu. l'amministrazione usa, al contrario, fornirà invece per tutti i primi anni '50 crescente supporto logistico e finanziario alle truppe francesi. la guerra d'indipendenza vietnamita, dopo otto lunghi anni, giunge al termine con la storica vittoria di dien bien phu nel 1954, la quale sradica in via definitiva le superstiti velleità francesi dal sudest asiatico. nello stesso anno la conferenza di ginevra smembra l'indocina decretando la nascita di laos e cambogia e spaccando in due il territorio nazionale vietnamita lungo il 17 parallelo, la linea di demarcazione che separa lo stato comunista del nord, amministrato dal governo di ho chi minh, dal sud del regime filoamericano, e finanziato cospicuamente dalla CIA, del cattolico ngo dinh diem, il quale si sostituisce alla sovranità oramai decadente dell'ex-imperatore bao dai. tale situazione, che avrebbe dovuto essere temporanea, finisce per degenerare quando diem falsifica i risultati di un referendum indotto nel '55 per sondare il parere del popolo in merito a un ufficiale avvicendamento al vertice tra bao dai e lo stesso biem, proclamando la repubblica e rifiutandosi di concedere le elezioni fissate per il '56, che avrebbero con ogni probabilità palesato il maggiore sostegno popolare a ho chi minh. a questa suddivisione arbitraria e alle conseguenze che essa si porta appresso, tra cui ad esempio le purghe anti-vietcong nel meridione vietnamita, vanno ascritte le premesse che sono alla base della cosiddetta guerra del vietnam o seconda guerra di indocina o guerra di resistenza contro gli americani, come la chiamano i vietnamiti, che ha devastato il sudest asiatico tra 1960 e 1975. gli stati uniti la dipingeranno come il punto focale della lotta per la libertà dei popoli del mondo democratico contro il dilagare della minaccia comunista, ma la verità è che l'unico governo legittimo, perchè riconosciuto dal popolo e dal diritto internazionale, è nel vietnam del dopo guerra proprio quello nord-vietnamita.
le prime avvisaglie del conflitto vanno ricercate nelle azioni di guerriglia intraprese alla metà degli anni cinquanta da parte della resistenza vietcong nel vietnam meridionale, le quali a ben guardare sono la risposta ai ripetuti tentativi di infiltrare milizie a hanoi per destabilizzare il governo di ho chi minh. di conseguenza viene il parallelo e massiccio coinvolgimento degli usa, i quali incrementano progressivamente la loro presenza militare in sostegno di diem, fino a impegnare un complesso di forze terrestri, aeree e navali di proporzioni enormi, che tocca le 550000 unità nel 1969. ciononostante la corazzata americana non riesce a venire a capo della resistenza vietnamita, inferiore sotto il profilo dei numeri e del potenziale bellico, ma guidata abilmente dal generale giap. al contrario il pentagono continua a subire pesanti perdite fino al definitivo abbandono del campo nel 1973. nel frattempo l'amministrazione usa si assicura però il controllo della produzione e del traffico di oppio nella regione prima produttrice al mondo.
sull'altro fronte, accanto a vietcong e esercito regolare del vietnam del nord, i quali intendono lo scontro con gli americani come la continuazione della guerra d'indipendenza contro i colonizzatori francesi, intervengono  cina e urss, ma nel conflitto sono progressivamente coinvolti anche il laos, come abbiamo già raccontato altrove, e la cambogia, massicciamente sottoposta a attacchi aerei e terrestri da parte usa soprattutto tra il 1969 e il 1970 e infine invasa dalle forze nordvietnamite in appoggio alla guerriglia comunista dei khmer rossi. il vietnam del nord viene a sua volta ripetutamente bombardato dagli aerei statunitensi tra 1964 e 1968 e poi ancora nel 1972.

la fine del conflitto è datata 30 aprile 1975, giorno della caduta di saigon in mano ai nordvietnamiti, che segna il crollo del governo di diem e la riunificazione politica di tutto il territorio nazionale sotto la dirigenza comunista di hanoi, che nel 1976 rinomina saigon città di ho chi minh, in onore del leader morto nel settembre del 1969.

ciò che viene quasi sempre taciuto a proposito della guerra del vietnam è l'atrocità dei crimini commessi a danno dei civili. i mass media, la cinematografia e i fiumi d'inchiostro versati sul conflitto più famoso della storia recente hanno quasi sempre posto l'accento sull'impatto che la guerra ha avuto all'interno della società americana, scossa dalle contestazioni dei movimenti civili contrari alla guerra, ma delle conseguenze devastanti della barbara strategia usa sulla popolazione vietnamita si continua a parlare troppo poco.
la sofferenza che ha attanagliato un numero davvero colossale di civili inermi da nord a sud è l'eredità più allucinante del decennio di guerra: milioni di vietnamiti sono stati uccisi o feriti dai bombardamenti a tappeto e dai raid americani nelle zone rurali più o meno densamente abitate. la violenza disumana e sistematica contro la popolazione si giustifica alla luce del legame tra questa e la guerriglia rivoluzionaria in tutto il vietnam contadino. gli stati uniti e i loro alleati a saigon, non riuscendo a vincere tale connessione, hanno cercato di guidare la popolazione fuori da quelle stesse campagne, nel tentativo di minare questa alleanza alla base, di infrangere il vincolo che univa i vietnamiti alla loro terra, forzandoli all'urbanizzazione e alla modernizzazione attraverso la deportazione nei cosiddetti villaggi strategici. un piano che non ha mai funzionato. la soluzione alternativa più congeniale per i gerarchi del pentagono deve essere allora parsa l'eliminazione in massa della popolazione resistente. in fondo tra le fila nemiche per il soldato americano medio c'erano soltanto gli “untermenschen” asiatici, in tutto inferiori rispetto a lui, come affermava la cosiddetta “regola del muso giallo”, una sorta di immoralissimo codice di condotta, inculcato alle reclute dal primo giorno di addestramento, atto a semplificare e decolpevolizzare l'assassinio dei civili vietnamiti, in modo da non turbare in maniera troppo radicale il già fragile equilibrio psicologico delle truppe.


ciò che si narra sulle nefandezze commesse contro il popolo del vietnam si limita al pur terrificante massacro di my lai, dove il 16 marzo 1968 i soldati della compagnia charlie della 11 brigata di fanteria leggera, agli ordini del tenente calley, per aumentare il "body count" hanno ucciso circa 500 civili indifesi, abbandonandosi ad ogni tipo di torture e violenze, mitragliando e stuprando donne indifese, massacrando barbaramente i bambini e consumando coi lanciafiamme i corpi dei vecchi abbracciati ai più piccoli per fare loro scudo. ecco, questa barbarie è davvero una delle uniche verità ufficiali trapelate sulle violenze americane, ma ricerche più recenti e approfondite parlano di ben altro, di infamie al cui confronto anche l'abominio di my lai impallidisce.
potremmo citare ad esempio l'operazione speedy express, condotta tra '68 e '69, che ha fermato la sua conta dei morti alla cifra colossale di circa 11.000 nemici uccisi, rinvenendo però soltanto 750 armi, il che significa, come hanno più tardi confermato fonti ufficiali dell'entourage militare usa, che la maggior parte delle vittime (di preciso 7.000 stando alle stime) erano civili. questo tanto per dirne una. ci sono poi gli estensivi bombardamenti condotti a partire dal 1965 prima a danno delle strutture logistiche e militari del vietnam del nord e poi direttamente contro bersagli civili: si tratta di una delle campagne di bombardamento più pesanti dai tempi della seconda guerra mondiale, col numero complessivo di ordigni sganciati sul vietnam del nord che supera di gran lunga quello delle bombe piombate sulla germania. oppure potremmo menzionare alcune delle pratiche disumane che erano all'ordine del giorno tra le fila delle truppe americane, come ad esempio lo smembramento dei corpi delle vittime, perchè per scalare posizioni nella classifica del macellaio più prolifico con la conta dei morti era necessario consegnare almeno l'orecchio del nemico, così come per ottenere ulteriori incentivi legati alle uccisioni, tipo vacanze in esclusivi resort sulla spiaggia, oppure per alimentare il baratto e la compravendita di brandelli di vietcong, per cui le orecchie venivano trionfalmente indossate come collane, o magari per adeguarsi alla barbara consuetudine di consegnare le teste dei nemici in cambio di chissà quali ridicoli premi. c'è poi la violenza sistematica contro donne e bambine, costrette a prostituirsi o vittime di stupri di gruppo estremamente efferati. o ancora le torture che i detenuti subivano nelle prigioni americane e sudvietnamite, rinchiusi in gabbie o piccole celle sotterranee senza finestre e ammanettati al pavimento, mentre le guardie tiravano loro polvere di calce per punizione. 


infine veniamo alla pagina forse più aberrante della guerra in vietnam, ovvero l'impiego dell'agente arancio, la cui produzione ha per inciso enormemente arricchito le americane monsanto e dow chemical. il 30 novembre 1961, john f. kennedy (sì, proprio l'osannatissimo presidente usa, il quale, tanto per citarlo testualmente, se ne esce con perle tipo questa: “abbiamo un problema: rendere credibile la nostra potenza. il vietnam è il posto giusto per dimostrarlo”) dà l’autorizzazione ad azioni aeree atte a defogliare la foresta vietnamita, per togliere ai guerriglieri la protezione del manto arboreo. qualche mese più tardi sempre lui firmerà l’ordine di utilizzare gli stessi mezzi per distruggere i raccolti agricoli, allo scopo di spingere i contadini ribelli alla fame ed indurli ad abbandonare le campagne per finire negli slum urbani, ovvero i “villaggi strategici” di cui sopra, dove saranno più facilmente controllabili. in vietnam per la prima volta si sperimenta la guerra ecologica: dal 1961 al 1971 circa 80 milioni di litri di erbicida killer, contenente più di 300 chilogrammi di diossina, sono riversati sopra la bellezza di 3.3 milioni di ettari di foreste e di terre coltivate e più di 300 villaggi sono irrimediabilmente contaminati. tra il 1965 e il 1968, lo stato maggiore americano ordina di triplicare le “missioni di spargimento”. l’us air vaporizza il diserbante anche lungo i fiumi, per proteggere le missioni navali di ricognizione dalle imboscate. nel 1971 l’esercito interrompe l'operazione ma i suoi effetti devastanti continueranno a manifestarsi senza sosta, a causa della permanenza della diossina nel terreno, nell’acqua e nella catena alimentare per un tempo quanto mai lungo. le zone più colpite sono il centro e il sud del vietnam, ma i raid americani non hanno risparmiato nemmeno laos e cambogia, al confine coi quali si snodava il famoso sentiero di ho chi minh. oltre 4 milioni di vietnamiti sono stati direttamente esposti all’agente arancio, ai quali si deve aggiungere un numero sconosciuto di cambogiani, laotiani, di civili e militari americani e dei loro alleati thai, australiani, canadesi, neozelandesi e sud-coreani. in vietnam ancora oggi troppi bambini nascono senza testa, senza gambe, senza occhi, altri sono affetti da tumori o da altre malformazioni pesantemente invalidanti. questo perché le mutazioni genetiche indotte dalla diossina nelle persone esposte si trasmettono alla loro discendenza per chissà quante generazioni. sono passati oltre quaranta anni dalla fine della guerra e gli stati uniti non hanno mai ammesso la loro responsabilità e non hanno mai versato un centesimo alle vittime vietnamite, cambogiane e laotiane dell’agente arancio. come il ragazzo completamente privo di cavità e bulbi oculari che incontriamo ad hanoi, mentre suona il flauto sulle rive del hồ hoàn kiếm in cambio di qualche moneta.
a questo tragedia senza fine si somma l'esodo dei cosiddetti “boat people”, gli 800000 e più sudvietnamiti che abbandonano il loro paese dopo la presa di saigon, perchè giudicati non sufficientemente in linea con la politica di nazionalizzazione delle imprese e collettivizzazione delle terra imposta al vietnam del sud dalla dirigenza di hanoi.


pensare al vietnam di oggi senza considerare quanto di cui sopra è quantomeno assurdo. tutto il resto a nostro parere viene di conseguenza.

questo vietnam insomma è un paese meravigliosamente unico, che reca ancora bene in vista le cicatrici delle ferite e le conseguenze delle mutilazioni subite, pur se per molti aspetti è decisamente più moderno, benestante e sviluppato dei vicini laos e cambogia. la sua gente, almeno per la nostra esperienza, è aperta e amichevole come nel resto del sudest asiatico (per convincere i perplessi recidivi potremmo citare le decine di persone che ci hanno sorriso e aiutato per strada, quelli che si sono seduti con noi a bere litri di bia hoi o tutti quelli che ci hanno sorpreso con un gesto di generosità disinteressata, ma queste perle preferiamo tenerle per noi). in più, pur se dobbiamo limitare non poco i nostri movimenti causa maltempo, ciò che abbiamo visto è sufficiente per farci annunciare senza tema di smentita la bellezza del vietnam dal punto di vista paesaggistico e naturalistico, la ricchezza della sua cultura, tra le più esotiche e fascinosamente peculiari che si possano incontrare, la quale si differenzia da quella dei suoi vicini per le influenze eterogenee che qui si sono determinate, plasmandone la fisionomia attuale, una commistione di ispirazioni più pienamente cinesi ed elementi tipici del sudest asiatico. dulcis in fundo si tratta di una destinazione davvero economica se si viaggia con occhio attento al budget, con cui nella regione da questo punto di vista può competere solo la cambogia.

ciò che ci lascia l'amaro in bocca non è perciò la tendenza in cui capita di certo d'incappare, e lungi da noi smentirla, ovvero il tourist price gonfiatissimo per gli stranieri o i più svariati tentativi di raggiro, latrocinio e turlupinature varie. per noi la nota più dolente è invece la direzione che il turismo sta prendendo da queste parti. è facile riconoscere nella cancrena dilagante dei villaggi turistici in stile club med o alpitour, flagello dei popoli e delle economie locali d'africa, asia, america centro-meridionale etc, una riproposizione delle dinamiche colonialiste di sfruttamento intensivo del territorio e parallelo impoverimento della popolazione locale: la triste realtà dei paradisi tropicali di tutto il mondo è infatti quella di una ricezione turistica totalmente nelle mani delle multinazionali dei paesi “occidentali”, le quali possiedono agenzie di viaggi, operatori turistici, compagnie aeree e catene di hotel, e operano in loco senza mai integrare la propria attività con l'economia locale, costituendo spesso vere e proprie enclavi straniere per soddisfare tutti i desiderata del turista modaiolo in vacanza nel “terzo mondo”. che dire però se oggi anche il turismo dei cosiddetti backpackers e dei viaggiatori indipendenti, oramai estinto nella sua accezione più autentica, sta assumendo le stesse forme, incastellandosi in sterili ghetti senza arte ne parte, lontani dalla vita locale con la quale è bene non mescolarsi troppo? in più, in un paese come il vietnam, che ha subito ogni sorta di vessazione e ingerenza, l'affermazione di questa tendenza sembra finalizzata a maggior ragione al mantenimento strategico del soft power usa-euro nel sudest asiatico.



il meteo è inclemente e piove per quasi tutta la nostra permanenza, perciò non riusciamo a muoverci come vorremmo e a vedere tutto quanto ci eravamo prefissati. ecco in sintesi le nostre tappe.

HANOI
arriviamo nella capitale quando il sole è quasi tramontato e, appena raggiunto il centro con un bus urbano, grazie alle indicazioni dei passanti, un ometto dolcissimo si ferma, ci chiede dove dobbiamo andare e poi ci accompagna fino all'albergo. la nostra guest house è una vecchia casa nella old town con un nonnino gentilissimo alla reception e niente turisti all'orizzonte. tra le altre cose ad hanoi uno ci viene di certo per la bia hoi (perdonate la rimaccia cacofonica), la birra “fresca” artigianale prodotta in microbirrifici soprattutto nel nord del paese, di cui andiamo subito a caccia, pur se a dire il vero non ci sia affatto bisogno di cercarla, tanto è onnipresente. invece poi ci trova una città affascinante, vivace e caotica al punto giusto, tra le più invitanti del sudest asiatico. il delirio di motorini della città vecchia a qualcuno potrà sembrare un tantino esagerato, ma a noi pare di respirare dopo il grigiume da grattacielandia di nanning, le rive del lago hoan kiem si prestano ad allettanti passeggiate, il mausoleo di zio ho è chiuso per l'annuale manutenzione della salma ma ci rifacciamo coi musei e i templi o, meglio ancora, standocene semplicemente a oziare di fronte a un bicchierone di ca phe da, caffè nero ghiacciato, prodotto in vietnam e preparato con un lungo procedimento di sedimentazione, filtraggio e “gocciolatura”, di cui ci innamoriamo al primo sorso, dimenticando al volo la nostalgia per l'italica miscela.

                                            NINH BINH
l'intenzione è quella di usare questa piccola cittadina come base per visitare le rovine di hoa lu, l'antica capitale delle tre dinastie dinh, le e ly, e i paesaggi suggestivi dei dintorni, ma, col nostro consueto tempismo, capitiamo da queste parti proprio quando si scatena un diluvio infernale e ininterrotto, quindi siamo bloccati in città. per fortuna non tardiamo a trovare la tipica taverna che serve bia hoi, col classico campionario di beoni ciarlieri, uno dei quali seguita a offrirci da bere bofonchiando divertentissimi “sorry sister!” per scusarsi della sua mai molesta ubriachezza. al maltempo già persistente si aggiunge pure la minaccia del tifone haiyan, che si sta spostando dalle filippine verso le coste del vietnam, perciò non solo viviamo 24h su 24 sotto un diluvio di proporzioni bibliche, ma ci dobbiamo aspettare pure di peggio, dato che le news prevedono che haiyan tocchi terra l'indomani proprio all'altezza di hue, la nostra prossima tappa. decidiamo di andarci comunque, anche per non perdere la prenotazione del treno notturno, e appena prima di partire scopriamo che il tifone ha cambiato rotta, deviando verso nord in direzione del'isola cinese di hainan. stavolta la scampiamo.

HUE
i primi due giorni di sole dopo troppo tempo ci mettono di ottimo umore: giriamo per bene a piedi tutta hue, cuore culturale del paese nonché capitale del regno del vietnam unificato tra 1802 e 1945, e visitiamo la bella cittadella seicentesca. ci sfondiamo di prelibatezze veg in uno dei tanti ristoranti di com chay (lett. riso vegetariano), che offrono cibo delizioso a prezzi imbattibili, e abusiamo del solito sublime caffè, che scopriamo essere divino presso i venditori di mangime per uccelli, il che può suonare strano ma invece è una bomba. fidatevi. poi sul più bello, proprio quando iniziamo a prenderci gusto di brutto, si mette e piovere di nuovo, costringendoci a rinunciare alla visita delle tombe imperiali appena fuori città. ci toccherà tornare.

DA NANG
dato che hue è battuta da una pioggia a dir poco torrenziale scendiamo in treno verso da nang, senza ottenere miglioramento alcuno dal punto di vista del meteo, perchè quando arriviamo la città è semiparalizzata dal solito costante. per il resto l'atmosfera per niente turistica si palesa con effetto immediato: la gente è ancora più amichevole, i prezzi bassi, i vacanzieri una rarità, perciò, pioggia a parte, c'è da divertirsi. peccato però che non riusciamo nemmeno ad avvicinarci al centro di hoi an, poco lontana da da nang e a detta di tutti una delle città più interessanti del vietnam, perchè il nubifragio degenera in fretta in estesissimi allagamenti: piove ininterrottamente per giorni e le strade sono sepolte sotto decine di cm d'acqua, tanto che noi, impavidi come siamo, proviamo più volte a raggiungere hoi an in bus, ma dobbiamo arrenderci all'evidente impossibilità di arrivare in centro a piedi (sarebbe in effetti più opportuno tentare con una barca). la zona patrimonio dell'unesco è parzialmente sommersa e infine non ci resta che tornare verso da nang, ringraziando il cielo che per miracolo, e mezzo navigando, la corriera parta comunque. una volta in albergo scopriamo che tutta la zona centrale è sferzata dalla tempesta podul, l'ennesima a colpire il vietnam quest'anno, che ha causato inondazioni di ben 3mt, una trentina di morti per annegamento e costretto decine di migliaia di alluvionati ad abbandonare le loro abitazioni. con la costa centromeridionale impraticabile, non ci resta che spostarci verso sud. il treno notturno per saigon arriva con ben 5h di ritardo, ma considerando che quello delle 8 di mattina alle 17 deve ancora partire ci va di lusso. ci segniamo hoi an sull'agenda per la prossima volta.

SAIGON
quando il treno entra a saigon sotto il sole cocente di mezzogiorno siamo ebbri di gioia. gioia che aumenta non appena ci mettiamo a gironzolare per le caffetterie del centro, sparandoci un ca phe da dietro l'altro, interrogandoci ogni mezzo metro su come possa essere così dannatamente buono. la città è piacevole, il sole una benedizione, i musei e le pagode interessanti, il com chay onnipresente. ci stiamo proprio bene. poi peschiamo il proverbiale coniglio dal cilindro, incappando in un'amenissima taverna di bia hoi, zeppa di omini goliardici che trangugiano senza requie fiaschette su fiaschette di birra (a 11mila dong/litro), rovesciate sui tavoli a suon di litrozzi da un folcloristico drappello di poderose locandiere, mentre nel bel mezzo della sala un'altra donnona sorridente sgretola in pochi secondi colossali parallelepipedi di ghiaccio con l'accetta. ringraziamo tutti per questo pomeriggio edificante e impagabile.



insomma, andate in vietnam. e se non volete farlo per la sua bellezza fascinosa e originale o per il calore amabile della sua gente, almeno andateci per la bia hoi, la sbronza garantita, con contorno di arachidi al vapore, più economica e soddisfacente del mondo, e il ca phe che è un'autentica opera d'arte. punto. 
tạm biêt, viet nam!