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5 ottobre - 22 novembre 2012: TURCHIA e IRAN

PRIMA PARTE

istanbul, quarta volta. e la nostra città preferita non tradisce mai..

sarà per l'estrema poesia del suo essere adagiata su due continenti, ponte tra mondi che se la intendono da sempre e nel suo fascino impareggiabile convergono in seducente armonia, cocktail prelibato di culture e genti, sfondo intrigante per milioni di vite che si sfiorano, porto sicuro in mari fecondi che rovesciano le acque l'uno dentro l'altro, babele di lingue che si intrecciano, capitale dai mille nomi, bisanzio, costantinopoli, la nuova roma, crocevia di piste antiche e nuove che vanno e vengono di lontano, ombelico eurasiatico e sublime porta della madre asia, sacra e profana, laica e devota, intessuta di suggestioni d'oriente e d'occidente, moderna e ansiosa di futuro pur se nostalgica e decadente, silenziosa e assordante ma comunque musicale, prodiga di delizie da assaporare di giorno e di notte, frenetica nella vita intensa che la attraversa incessante, malinconicamente rivolta verso i fasti del suo ineguagliabile passato, di una bellezza quasi sfiorita e perciò più seducente, per sempre custode e testimone dell'unicità complessa e multiforme del genere umano.




la lasciamo al solito controvoglia, comunque curiosi di esplorare dogubayazit e l'incantevole gioiello architettonico ottomano che è l'ishak pasha sarayi, entrambi a una manciata di km dal confine iraniano. un paesaggio a dir poco favoloso incornicia la vetta di biblica memoria del monte ararat, il cui nome si perde nella notte dei tempi in un vortice di storia e leggende che affonda le sue radici all'alba dell'umanità. i curdi ci accolgono, e "accolti" non rende che eufemisticamente come ci sentiamo: questo popolo che ha sofferto e che soffre, eppure sorride col cuore alla vita e allo straniero qualunque che bussa alla sua porta, mai sa negare la sua sincera ospitalità e quattro chiacchiere liete davanti a un sorso di çai bollente.



poi salutiamo la turchia una volta ancora, con in tasca le solite 10lire a propiziare un ritorno che ci auguriamo non troppo lontano.

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il primo approccio all'iran è con le regioni settentrionali dell'azerbaijan, in cui vive la minoranza azera. la loro bella lingua turca e la cucina ancora memore di anatoliche delizie stemperano il 
nostro passaggio da una all'altra terra in una transizione dolcemente graduale. la prima cosa che constatiamo è come l'incredibile accoglienza di cui ci hanno tanto narrato sia molto più che un dato di fatto: per raggiungere tabriz in economia l'idea è quella di prendere il primo autobus che passa e quindi iniziamo a guardarci intorno, finchè..ma quale bus?!, reza, il ragazzo azero che abbiamo incontrato sul minibus per il confine, opta inspiegabilmente per un taxi, ci invita a seguirlo, e non c'è verso di rifiutare, e poi ci offre pure la corsa di 280km fino alla sua città!; una volta lì non ci molla fino a quando troviamo un posto dove dormire e poi ci lascia con un sorriso e un "ora che siete sistemati sono tranquillo!"; più tardi facciamo un salto a recuperare un mappa  all'ufficio turistico dove incontriamo nasser, che ci propone una colazione insieme per la mattina seguente e ci porta a fare un picnic al parco el goli, dove ci sfondiamo di ottimo pane appena sfornato, formaggio e marmellata di rose, tutto sponsorizzato da lui perchè a suo dire noi lo ripaghiamo ampiamente concedendogli di esercitare il suo italiano;


la sera il primo sconosciuto cui abbiamo sorriso al ristorante insiste per offrirci la zuppa e dobbiamo impegnarci sul serio per farlo desistere; e poi tutti lungo la strada ci salutano, dispensano sorrisi e gentilezze disinteressate; gli inviti per un chay e due chiacchiere piovono ininterrotti a destra e a manca; ogni occasione è buona per i passanti per porci mille e una domanda sul loro paese, sull'impressione che ce ne siamo fatti, sulla differenza tra quello che si percepisce dall'esterno e la realtà effettiva, e quasi ogni conversazione finisce con lo stesso ritornello: "il nostro governo fa schifo". non possono sapere quanto questa amara realtà ci accomuni. una manciata di giorni e già abbiamo fugato gli eventuali dubbi sul carattere e la tempra del popolo iraniano.

da queste parti la gente è colta e raffinata, decisamente più della media. per rendersene conto è sufficiente scambiare due parole coi bazari, magari fermandosi per un the nella loro bottega, o col primo venditore di tappeti di esfahan che ti abborda: di certo nell'edificante mezzora che segue ti illustrerà le caratteristiche dei tappeti persiani, del simbolismo dei motivi decorativi e la storia delle tribù che da secoli tessono questi gioielli preziosi, anche quando hai già chiarito in maniera inequivocabile che non hai intenzione di comprare alcunchè. 
non è poi raro incappare in conversazioni stimolanti sulla poesia persiana e discutere di cinema italiano con il tuo vicino di posto sulla metro a teheran, o lamentarsi della tristezza desolante in cui ristagna il panorama politico attuale col panettiere. o magari accettare l'invito del primo che ti offre l'ennesimo the lungo la strada e finire a discutere per ore di capitalismo e globalizzazione, dell'euro e del tracollo dell'europa meridionale, della situazione in siria, della quotidianità iraniana. il tutto sempre all'insegna di una pacata onestà di giudizio che implica una matura razionalità di vedute, una consapevolezza obiettiva e scevra degli stereotipi che affliggono l'opinione pubblica indottrinata del nostro occidente.


ecco, un altro popolo che avrebbe chissà quanto da dare al mondo e invece se ne langue tra l'instabilità di un rial svalutatissimo e la morsa soffocante di un embargo insensato, cosa che ci consente incredibilmente di cavarcela con un budget nepalese in un paese del tutto sviluppato e molto più occidentalizzato della vicina siria; un altro popolo sputtanato dalla propaganda fondamentalista dei nostri mass media che sanno solo assolutizzare e stereotipare e, essendo  votati alla causa della DISinformazione, banalizzano rigorosamente la complessità del contesto etno-socio-culturale di questa parte del mondo; un altro popolo meraviglioso in mano a un governo di pazzi corrotti -no, non stiamo parlando solo di ahmadinejad ma della cricca del consiglio della rivoluzione in tunica e turbante, che tiene ben saldo nelle sue "santissime" mani il guinzaglio del parlamento, in un trionfo di totalitarismo teocratico in salsa sciita a dir poco anacronistico ma tristemente attuale. un momento però, mica ci stiamo associando ai cialtroni di casa nostra che, quando si parla di medioriente turco-arabo-persiano, non sanno fare altro che denunciare fantomatiche dittature (come se da noi quella ridicola farsa si potesse chiamare democrazia) e sbraitare di crimini contro l'umanità (chi se ne va in giro a bombardare civili innocenti, a esportare la giustizia sociale che manco ha mai conosciuto in casa sua e a dare lezioni di libertà a popoli antichissimi che le palle ce l'hanno davvero e lo dimostrano da millenni??). no, ci limitiamo a riportare la pressante sede di laicità che ci è sembrato spinga la stragrande maggioranza degli iraniani con cui abbiamo avuto a che fare a criticare l'operato del consiglio della rivoluzione e ad aspirare ad un cambiamento, anche se non nel senso in cui se lo prefigurerebbe l'occidente malato. gli iraniani non esitano ad ammettere che, per mantenere lo status quo, l'ayatollah talvolta non si è tirato indietro nemmeno di fronte all'oppressione violenta del suo stesso sangue e al rischio di distruggere la sua stessa terra (il che a guardar bene è proprio quello che si augurano gli avvoltoi a stella/e e strisce; coincidenza quantomeno sospetta), ma sono altrettanto consapevoli del fatto che spetta a loro (e ne hanno davvero tutte le capacità, molto più che i colleghi lobotomizzati di europa e stati uniti) realizzarlo il suddetto cambiamento, senza interferenze da parte di sanguisughe nostrane. detto ciò ci sentiamo anche di dire che, nonostante le limitazioni oggettive alla libertà personale imposte da uno stato confessionale e teocratico, in iran non siamo certo di fronte al folle fondamentalismo talebano da fratellanza musulmana di cui si parla da noi in TV. qui ad esmpio le donne in fondo se la passano di gran lunga meglio che in india, sia per quanto riguarda tasso di alfabetizzazione e accesso all'istruzione di livello più elevato che per le condizioni di vita in generale. e da ultimo consigliamo a chiunque sia interessato a conoscere un pizzico di verità sull'iran di considerare sempre con uno sguardo più che critico tutte le accuse di abuso e discriminazione nei confronti delle donne o di violazione dei diritti umani etc, perchè spesso dietro le cause apparentemente sacrosante portate avanti a spada tratta dai sinistroidi di casa nostra si nascondono menzogne e manipolazioni atte a giustificare la demonizzazione del paese in questione e l'intervento "salvifico" dell'occidente (come nel caso della rivoluzione verde o di alcune denunce di violenza o di censura dimostratesi poi architettate ad hoc e del tutto false). 


noi intanto ci godiamo tabriz, con il suo bel bazar e la grande moschea, che per prima ci inizia allo splendore blu dell'onnipresente decorazione maiolicata iraniana.
quindi andiamo ad ardabil per dare un'occhiata allo spettacolare mausoleo dello sceicco safi od-din, altra esplosione di blu in mille sfumature.
poi tocca muoverci in direzione di teheran, anche perchè abbiamo bisogno del visto indiano, e così ci perdiamo nell'intrico di strade deliranti d'inquinamento che è la capitale iraniana, in cui un po' di pace la regalano solo le moschee, i parchi, il museo nazionale e le sale baroccheggianti del palazzo del golestan. 

FINE PRIMA PARTE


5 ottobre - 22 novembre 2012: TURCHIA e IRAN


- 7500 km -

5 ottobre - 22 novembre 2012: TURCHIA e IRAN

  SECONDA PARTE


presto saturi di traffico e smog scendiamo verso esfahan, la città d'arte per eccellenza, orgoglio degli iraniani che la chiamano "nesf-e jahan", la metà del mondo; per quanto in tutta sincerità non ci abbia tolto il fiato, si rivela indubbiamente interessante da visitare con l'enorme piazza naqsh-e jahan, i bei palazzi, il solito valzer di blu delle splendide moschee, il bazar e le pittoresche vie della città vecchia che lo circondano, i ponti sullo zayandeh e infine lo spettacolo di zurkhaneh che ci concediamo per soddisfare la nostra curiosità riguardo questa disciplina esclusivamente iraniana, che fonde pratica sportiva, ritualità religiosa e performance teatrale.

da esfahan ci dirigiamo verso yazd. e questa volta sì che ne usciamo incantati: la cittadella è una meraviglia, coi suoi vicoli tortuosi e le spesse mura di fango e paglia che celano deliziose dimore tradizionali, le numerose cisterne per l'acqua e le caratteristiche torri del vento, ingegnoso sistema di condizionamento degli ambienti ante-litteram. già che ci siamo facciamo anche un giro a kharanaq, un antico villaggio lungo la via della seta, a chak chak, il più importante sito di pellegrinaggio zoroastriano in iran, dove ogni anno a giugno migliaia di devoti si radunano intorno al sacro tempio del fuoco, e a meybod, con il castello di narein e un caravanserraglio con laboratorio di tessitura.
dopo di che è di nuovo teheran per la seconda visita all'ambasciata indiana. tutto inutile. dovremo tornarci di nuovo.


intanto rifuggiamo a sud e precisamente a shiraz, cuore della cultura persiana, città di poeti dove riposano i sommi hafez e saadi e, prima della rivoluzione, anche patria del buon vino persiano, che in più non è molto lontana dall'incantevole persepolis. questa perla da tempo sulla nostra lista, pur non potendo forse vantare le rovine sterminate e in eccellente stato di conservazione di efeso, jerash o palmyra, è senza dubbio uno tra i più spettacolari siti che abbiamo avuto la fortuna di visitare. il suo fascino magnetico, che il tempo non sembra affatto intaccare, è incarnato alla perfezione dalla monumentale porta delle nazioni. e come dimenticare poi quella che resterà una delle pietre miliari della nostra collezione di memorie archeologiche, ovvero gli straordinari rilievi della scalinata dell'apadana, in cui le delegazioni di tutte le terre sottoposte al dominio persiano sfilano in corteo, con tanto di costumi tipici e omaggi da offrire alla corte imperiale, questi sì ottimamente conservati e di una bellezza incredibile, tanto che il solo rievocarli nella mente basta a lasciarci di nuovo senza parole.
la tappa successiva è l'antichissima terra di elam, oggi khuzestan, la prima delle civiltà dell'antico iran: andiamo a shustar per dare un'occhiata al sistema di approvvigionamento idrico e canalizzazione dell'acqua che l'ha resa famosa, quindi a shush e al sito dell'antica capitale elamita e achemenide di susa, e infine a choqa zanbil, dove ci attende l'unico esempio superstite di ziqqurat oggi visibile fuori dal territorio iracheno.


è il momento di tornare a nord per l'ennesimo capitolo della saga kafkiana dell'IVAC (indian visa application center), ovvero "come vincere una crisi di nervi all-inclusive agratis col vostro visto indiano", ma siccome ne abbiamo fin sopra i capelli del delirio caotico della capitale ce ne andiamo nella vicina e graziosa quazvin, da cui dopo un altro blitz inconcludente e una decina di telefonate riusciamo finalmente a sbloccare la situazione e a strappare al personale dell'ambasciata una fantomatica data di ritiro!
da lì poi raggiungiamo zanjan e il mausoleo ilkhanide di oljeitu a soltanieh, una chicca davvero apprezzabile, la cui decorazione interna riesce a strabiliarci, pur se parzialmente occultata dalla foresta di impalcature per il restauro.

a questo punto, con un'audace e fortunata combinazione di sporadicissimi minibus e il solito prezioso aiuto della gente del posto, riusciamo a raggiungere takab e quindi la meraviglia di takht-e soleyman praticamente gratis. da lì poi ce ne andiamo verso bijar, ma solo grazie al provvidenziale salvifico intervento di alcuni ragazzetti che ci soccorrono mentre attraversiamo il loro grazioso villaggio, appiedati e semidisperati come ci aveva lasciati qualche ora prima l'unico minibus in circolazione. takht-e soleyman è in assoluto uno dei posti che più ci hanno colpito, non per le rovine sasanidi in sè stesse, che non sono di certo particolarmente imponenti, quanto piuttosto per l'aura sacralmente magica che qui trasuda da ogni pietra. uno dei più antichi templi zoroastriani, custodito da una vallata di indescrivibile bellezza, è circondato da un complesso di edifici amministrativi e residenziali, disposti intorno a un incantevole lago di origine vulcanica. un buco sul fondo del cratere profondo quasi 100 mt sputa acqua sulfurea dalle viscere della terra.


abbiamo tempo per un breve passaggio in kurdistan e a sanandaj, dove l'incanto delle montagne e la proverbiale gentilezza della gente è pari solo allo zelo che la polizia mette nel controllare i nostri visti dato che, grazie ai tempi infiniti dell'ambasciata indiana, ce ne stiamo andando in giro da un pezzo con la sola fotocopia del passaporto, e nell'ispezionare i nostri zaini quando usciamo in autobus dalla regione curda. ordinaria amministrazione quando si tratta di questo popolo tormentato dalla storia.
poi ci spostiamo a hamadan, l'antica ecbatana, che ospita tra le altre cose la tomba di ester e mordecai e il mausoleo di avicenna.
l'ultima delizia persiana è kashan, celebre per le case tradizionali, le moschee, il giardino di fin e la religiosità fervente della sua gente, che sperimentiamo al massimo capitandoci in occasione dell'ashura, una delle festività principali del calendario sciita che commemora il martirio dell'imam hussein.
da qui poi facciamo ritorno per la quinta e ultima volta in quel di teheran, per l'ultimo capitolo della nostra odissea burocratica all'ufficio visti, da cui stavolta usciamo finalmente vittoriosi.


e così siamo alla fine del nostro tempo nella dolce persia. è ora di partire per l'india.
è impossibile riuscire a esprimere come ci ha fatto sentire l'accoglienza unica del popolo iraniano, la sua grande spontaneità e gentilezza d'animo, l'istintiva apertura verso l'altro che annulla costantemente la necessità di chiedere aiuto, perchè questo arriva pronto sottoforma del primo che passa, ti si avvicina e con un sorriso ti dà una mano. è un paese dove fare nuovi incontri interessanti sembra essere la cosa più facile del mondo, perchè tutti scalpitano per parlarti, conoscerti e invitarti da qualche parte. fare anche solo la metà di quello che gli iraniani hanno fatto per noi in questo mese e mezzo significherebbe molto più che contraccambiare. ma in questi casi è così che funziona. non ci si può semplicemente mai sdebitare.

lasciamo la conclusione alle parole di uno dei tanti con cui ci siamo seduti per un chay.


"abbiamo cacciato lo shah, ma solo per cambiare padrone.. e quello nuovo dalla sua parte ha pure la religione e strumentalizza la fede per controllare il popolo. ma il 70-80% degli iraniani è contrario al governo ed è solo questione di tempo. noi però non vogliamo per l'iran un'altra "primavera" come quelle arabe, perchè la guerra per le strade porta solo fame e niente di buono per nessuna delle parti e spesso gli esiti sfuggono dalle mani dello stesso popolo che ha risollevato la testa. abbiamo visto quello che è successo in egitto, quello che hanno fatto alla libia e come ora stanno tentando di distruggere la siria. e abbiamo imparato.. tuttavia le cose qui stanno lentamente cambiando, i giovani crescono con un orientamento più laico, sono istruiti e consapevoli di quello che succede nel mondo, e hanno sempre meno paura. e' solo questione di tempo e un cambiamento verrà. i mussolini, gli hitler, i salazar vanno e vengono, è così da sempre, tutti presto o tardi sono caduti. ma è il popolo che deve decidere per la sua terra, per la sua nazione, per i suoi figli, e non un manipolo di terroristi d'occidente. come per tutte le cose della vita, come per la natura. la mela succosa è stata un seme, prima che il tempo la facesse diventare tale, e poi un piccolo frutto acerbo. noi in iran siamo ancora quel piccolo frutto acerbo, ma il mio è un grande paese, che troppo pochi in occidente conoscono. non so se vedrò mai un giorno migliore per il mio popolo, forse sarò morto prima che accada, ma non ho alcun dubbio che quel giorno verrà..".

inshallah, caro alì, inshallah.




5 ottobre 2012 – "I shall be gone and live..." 


"la via prosegue senza fine
"the road goes ever on and on
lungi dall'uscio dal quale parte.."
down from the door where it began..."
J.R.R.T.



SI PARTE, SI PARTE, ALLEGRI RAGAZZI, SI PARTE!
3 – 7 marzo 2, BANGKOK: commiato thai in salsa agrodolce


seconda volta in quel di BKK: da chinatown e little india-pahurat (ovvero come smarrirsi deliberatamente tra miriadi di negozi, botteghe, venditori ambulanti, chioschi e qualsivoglia sorta di attività commerciale) al wat arun, dalla doppia spedizione all''immenso chatuchak weekend market, con tanto di esplorazione crepuscolare dell'incantevole talad rot fai (un meraviglioso mercatino di abbigliamento vintage - usato – antiquariato - chincaglierie varie, organizzato in un ex-deposito ferroviario, con i container dei treni merci deliziosamente riarrangiati in baretti di grande atmosfera, miriadi di furgoncini volkswagen trasformati in negozi su 4 ruote, showroom o chioschetti, macchine d'epoca e motorini retrò, che si anima verso il tramonto e continua sino a notte fonda: una chicca che ogni città degna di questo nome dovrebbe vantare!), fino all'immancabile capatina a grattacielandia, a bordo del non-più-futuristico skytrain, dell'eternamente folcloristico local bus o di una barchetta sgangherata che ondeggia lungo i mille canali dell'ennesima venezia d'oriente, olezzosi tentacoli del celeste chao phraya..


ci piace bangkok, perchè c'è tutto e il contrario di tutto. un amalgama poliedrico e seducente in cui a tratti ritroviamo un po' del retrogusto delle altre città asiatiche per cui siamo passati, o forse è l'imminente "grande ritorno" a ispirarci ingannevolmente dirottando le nostre percezioni.
la città dal nome più lungo del mondo (กรุงเทพมหานคร อมรรัตนโกสินทร์ มหินทรายุธยามหาดิลก ภพนพรัตน์ ราชธานีบุรีรมย์ อุดมราชนิเวศน์ มหาสถาน อมรพิมาน อวตารสถิต สักกะทัตติยะ วิษณุกรรมประสิทธิ์) può farti sprofondare nel caos più febbrile e apparire talvolta invece fin troppo composta e ammodo per certi standard asiatici, è satura degli odori intensi della vita di strada, custodisce gelosa le reliquie di storie più e meno lontane, sonnecchia nella calma meditabonda dei wat e ammattisce nel traffico delirante dell'ora di punta, s'ingrigisce nello smog o nella skyline della città nuova e respira nel verde dei parchi, s'insinua nei vicoli stretti che accompagnano il corso dei canali, fitti di casette di legno da villaggio di pescatori thai-style, vive laboriosa nei piccoli negozi a conduzione familiare di indonepalese memoria e esagera in grande stile a furia di magamall a 1000 esasperanti piani di aria condizionata sparata a razzo..



sarà davvero lo stato d'animo in cui ci ha messo la partenza incombente, ma bangkok racchiude in sè un po' di tutto quello che i nostri sensi hanno imprigionato in giro per la thailandia e non solo, compreso quanto il nostro vivo senso di indignazione ha prontamente schifato e, non ultimo, ciò che il nostro cuore ha imparato ad amare di questo paese:

bus che oramai hanno fatto il loro tempo, con gli interni in metallo cromati, il pavimento in assi di legno scricchiolanti e le tendine dei colori più improbabili, che pare quasi di fare un giro su una giostra di vetusta bellezza, sulle note della radio, rigorosamente a palla, che sbraita qualche classicone thai..
montagne di roccia nuda, a tratti ammantate di un soffice tappeto verde, che sembrano uscire dalle tavole di un manga qualsiasi di akira toriyama..
onnipresenti case degli spiriti, eredità della spiritualità animista prebuddhista, appollaiate sulla cima di variopinte colonnine fuori da case, uffici, negozi etc, dimore di entità guardiane e protettrici..
foreste secolari ad avvolgere tutto, ovunque da nord a sud, giungla tropicale inespugnabile o fatato bosco di montagna..
cieli azzurri tersi e nuvole dense di pioggia che li attraversano rapide..
orizzonti luminosi graffiati dai tetti dei templi, che sagomano aguzzi i profili delle città thai..
boschi di bamboo verdi e gialli..
sorrisi di spontanea purezza lungo le vie meno battute..
fiumi color fango in cui nuotano bonari i varani..
monaci, monache e ancora monaci in ogni dove, avvolti nelle loro tuniche arancio, per le strade e nelle stazioni, in servizio al tempio, addormentati all'ombra di un banano o in cammino nella foresta..
la dolce lentezza del thai-time..
le risate esageratamente sguaiate delle muratrici al lavoro nei cantieri..
mercati a profusione e un'infinità di bancarelle fumose che esalano piccantissimi vapori al peperoncino, e l'impagabile provvidenzialità dei night market..
motorini, macchine, mototaxi, tuk tuk, samlor, songhtaew, riksciò, canoe, longtail boat e le innumerevoli varianti del caso..
orde di bimbi curiosi che ti seguono in bici..
villaggi inghiottiti dalla giungla o sperduti nella campagna, che sembrano ignorare l'esistenza dell'altra thailandia, circondati da fitti boschi magici o da foreste di banani..
capanne di legno, paglia o lamiera inglobate tra un resort a 5 stelle e l'altro..
le strade vive e animate anche di notte, coi mercati delle 4 che alle 6 sono già un ricordo e i chioschi che alle 5 già servono la colazione..
famiglie intere ammucchiate su uno scooter..


hawkers con ogni ben di dio fuori dalle scuole che attendono l'uscita degli studenti all'intervallo..

deliziose case di legno in riva ai canali..
vecchietti in relax al fresco davanti a un corroborante sorso di rum o similwiskey o a una singha ristoratrice..
mucche dalle lunghe orecchie al pascolo tra risaie e palme da cocco..
aromi di lemongrass, latte di cocco, lime, peperoncino, holy basil, curry, zenzero e curcuma...
spiriti degli alberi, come monaci fasciati di arancione, oggetto della devozione popolare che li protegge dall'abbattimento..
una scodella di noodles soup fumante al tuo chiosco preferito mentre cala la notte..
tonnellate di fresca frutta tropicale lavata, sminuzzata e pronta da gustare..
la filosofia del sanuk, il piacere profondo della vita vissuta senza troppo pensare al domani, un anelito istintivo al divertimento in se stesso, senza il quale niente vale la pena di essere tentato..
montagne di gusci di cocco ai lati delle strade..
giornate roventi e torride notti insonni.. 
street food a bizzeffe dovunque ci sia anima viva..
la scena musicale underground rockeggiante e i balletti in costume tradizionale di belle fanciulle e conturbanti ladyboyz piumati..
scimmie in vena di effusioni..
rovine maestosamente ammalianti che riposano in luoghi senza tempo..
un green curry per colazione..
due tiri a beach volley in spiaggia e poi un tuffo nel blu mozzafiato del mare..
sorridentissimi sawadeeka a destra e a manca..
una chang di ghiaccio, seduti sul marciapiede fuori dal market, alla salute del siam..

...

nell'abbandonare le strade di questo est che per un po' abbiamo chiamato casa, pur con la certezza che non di un addio si tratta perchè non potrà mai essere, le immagini si susseguono vorticando e una malinconia inguaribile ci afferra stretto il cuore. e, nonostante la suprema poesia di questo momento, il senso di meraviglia infinita e immensa gratitudine per quello che ci ha dato la thailandia finisce costantemente per mescolarsi alla consapevolezza incazzata e ineluttabile che un po' dell'anima di questo paese è compromessa per sempre..





dove ti sei perduta thailandia?
e dove stai andando?

dove stai andando, pazzo pazzo mondo?
... 

23 febbraio - 2 marzo 2012, BAN KRUT

ban krut è un piccolo villaggio di pescatori che sonnecchia lungo il tratto centrale della costa del golfo a un tiro di schioppo, e una manciata di km fitti di palme da cocco e campi d'ananas, dal confine birmano.
meta di vacanzieri in prevalenza thai, offre una guesthouse semplice ma carina e una dose, per fortuna non eccessiva, dei soliti resort, quasi tutti piuttosto sobri, pensati soprattutto per soddisfare le esigenze dei turisti locali che nei fine-settimana si riversano a frotte sulla spiaggia, rigorosamente bardatissimi e solo dopo che il sole è sprofondato dietro le palme.
a parte l'onnipresente 7eleven ci sono pochi negozietti thaistyle e un piacevole mercato mattutino. la baia è un'oasi di pace e la spiaggia una lunga distesa di sabbia grigio-bianca, assai gradevole poichè di giorno sempre semideserta, che si allunga per km e km fino alla vicina bang saphan. a vegliare sul rilassato industriarsi della comunità c'è la collina del tempio, un fascinoso wat punteggiato di pagode dorate con un buddha gigante che sbuca dalla foresta, la quale torreggia splendente sull'amena insenatura che funge da porticciolo per le barche variopinte dei pescatori e sulle loro capanne adagiate sulla sabbia.
stavolta è un bel colpo: una delle poche località balneari a conservare pressochè intatto il suo sapore thai, lontana anni luce dalla sorta di limbo privi di anima che si trovano in giro e che per nulla ci attirano, sconosciuta a tutti coloro che vanno cercando la movida farang o vita notturna di una certa vivacità. qui c'è poco da fare se non starsene a rimirare l'orizzonte che all'imbrunire si accende dei lumi delle barche da pesca e bearsi dei sonni più pacifici nel silenzio profondo delle notti siamesi, in cui finalmente non s'ode altro che la voce di madre natura..




8 - 22 febbraio 2012,
AYUTTHAYA



la "sacra città" sta ancora smaltendo i postumi della devastante alluvione dello scorso autunno, ma tutto sommato sembra essersi ripresa alla grande e sono pochi i siti parzialmente chiusi al pubblico per gli interventi di restauro.
grandiosa capitale del regno del siam tra 1350 e 1767, anno della sua distruzione per mano birmana (da cui il successivo declino in favore delle sorelle thonburi e bangkok), ayutthaya stuzzica gli appetiti degli affamati di storia col suo passato intriso di fastoso prestigio e divina sacralità. è questa infatti la fase che segna l'apogeo della civiltà siamese per l'estensione dei territori sottoposti alla sua sovranità, la straordinaria fioritura artistico-culturale e l'importanza strategico-commerciale, che hanno fatto di ayutthaya una capitale leggendaria, popolata già nel '600 da un milione di abitanti, la cui fama riecheggiava da oriente a occidente.
oggi non molto è visibile dell'imponente struttura urbanistica sorta sulla favorevole location insulare, opportunamente protetta dal corso dal chao phraya che la avvolge, ma restano le reliquie più che affascinanti dello splendore architettonico degli antichi wat.
analogamente a quanto avviene nella tradizione hindu, anche qui lo spazio urbano e l'area entro il recinto di ciascun tempio sono densi di simbolismo cosmico e incarnano la riproposizione terrena della struttura dell'universo, così come esso è concepito dalla cosmologia hindu-buddhista. la città antica è quindi una sorta di immenso mandala: il palazzo reale al centro (oppure nel singolo tempio la torre -prang- o il chedi principale) evoca il monte meru, dimora degli dei e nucleo essenziale degli infiniti multiversi, e tutto intorno gli edifici circostanti rappresentano gli altri luoghi del mondo (nel wat gli stupa minori e le altre strutture collaterali) fino poi a giungere alla cinta muraria e al fiume (fossato o stagno sacro nei templi), allegoria dei grandi oceani cosmici. lo stesso nome della città si deve del resto a quella ayodhya "l'impenetrabile", città di rama, di cui si narra nel ramayana hindu, testo che nella sua versione thai (ramakien) è il poema epico nazionale.
oggi intorno ai templi gravita una fitta e rumorosa rete di strade, crocevia di affari meno celesti ma altrettanto pittoreschi, su cui sfrecciano mezzi di ogni tipo, a due, tre e quattro ruote, nel più autentico folklore asiatico. la città è piacevole e ancora tipicamente thai, nonostante il considerevole afflusso di turisti in fuga dalla vicina capitale e bramosi di relax in salsa cultural-archeologica. dalle sponde verdeggianti le sagome dei templi si specchiano nel fiume e per le strade secondarie di là del chao praya si respira una quiete che sa di villaggio.
un giro qui è di certo un buon investimento, pur se nel complesso i tre parchi di sukhothai, si satchanalai e kamphaeng phet rappresentano a nostro avviso un'occasione più prolifica per la fruizione del patrimonio storico e architettonico thai.
senza dubbio alcuno però la suggestione enigmatica della testa di buddha, ciò che rimane di una statua andata perduta, avvolta dalle radici di un albero della bodhi e la sublime magnificenza del wat chai wattanaram sono due chicche imperdibili.