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INDIA³
12 – 21 giugno 2013: uttarakhand

da BANBASA a ALMORA

sotto il sole già rovente delle 7 di mattina la campagna splende lussureggiante come solo in tempo di monsoni. la terra di nessuno tra i due confini ci regala il paesaggio più idilliaco che abbiamo incontrato vagando per le contrade indonepalesi di frontiera, con una distesa di campi verdissimi attraversati da un torrentello azzurro e in lontananza una cornice di dolci colline boscose. di là del ponte sul kati  si apre la piana dell'uttarakhand meridionale e noi, dopo un chai al mercato di banbasa, partiamo per haldwani col primo gov-bus, avanzando lenti tra villaggi di contadini, sacri bovi raminghi e mercati di campagna e degustando ad ogni fermata bicchieroni d'acqua zuccherata distribuiti da festanti drappelli di giovani sikh in occasione di chissà quale allegra ricorrenza. 

da haldwani poi prendiamo a salire verso le colline lungo una bella strada tortuosa ma panoramica che serpeggia tra i rilievi del kumaon e quindi raggiunge il capoluogo distrettuale di almora. qui ci fermiamo qualche giorno per ricaricare le batterie e fare qualche acquisto, perché la città è assai gradevole e il delizioso lalal bazar è una sequenza infinita di graziose botteghe tradizionali affacciate lungo una via acciottolata e provvidenzialmente pedonale. e, dato che in india quasi tutto costa meno che in nepal, frutta in primis, diamo fondo, raggianti come non mai, alle scorte di pesche e albicocche dei fruttivendoli.

KARNAPRAYAG e GAURCHAR: l'alluvione

la regione del garwhal nell'uttarakhand occidentale è una meta di pellegrinaggio gettonatissima tra gli hindu e i sikh di tutta l'india per i 4 importanti templi (char dham) eretti in corrispondenza delle sorgenti di altrettanti fiumi sacri (il gange a gangotri, lo yamuna a yamunotri, il mandakini a kedarnath e l'alaknanda a badrinath), che sgorgano dalla roccia himalayana a oltre 3000 m di altitudine e si fanno strada verso la piana scavando splendide vallate immerse in panorami da sogno. un giro nei dintorni promette decisamente bene e ci intriga alquanto, quindi decidiamo di unirci ai pellegrini in viaggio alla volta di badrinath e gangotri. prima però chiediamo lumi circa le condizioni meteo, memori del maggio monsonico nepalese e allarmati dai rovesci quotidiani. no problem, la situazione a detta di tutti è tranquilla, anche perché da queste parti la stagione delle piogge non crea problemi fino a luglio inoltrato e per tutto il mese di giugno la yatra season (stagione dei pellegrinaggi) è in grande fermento.
è appena l'alba quando lasciamo almora. una pioggerellina leggera picchietta soave contro i tetti di lamiera delle botteghe del lalal bazar, così il nostro chai delle 4.30 ce lo beviamo sotto l'ombrello, sperando che la mattinata ci regali un po' di sole. l'autobus è abbastanza puntuale, o meglio in accettabile ritardo, la strada sembra praticabile e alle 5 passate partiamo in direzione  di karnaprayag, che si trova 7h più a nord, proprio al bivio per joshimath e badrinath. 

qualche ora di viaggio però basta a toglierci ogni illusione circa il raggiungimento della nostra meta. anziché rasserenarsi, il cielo si rabbuia parecchio e si mette a diluviare di brutto, tanto che ci vogliono quasi sei ore solo per coprire i primi 90 km fino a gwaldam, perché dalla montagna piovono copiose cascate d'acqua che allagano boschi e asfalto. da gwaldham prendiamo al volo un altro bus per karnaprayag ed è allora che ci sorgono ulteriori e sempre più giustificati dubbi sulla bontà della nostra idea: la superficie del manto stradale si fa presto disastrosamente impraticabile, le prime frane già bloccano il traffico e per proseguire dobbiamo aspettare che le ruspe aprano un varco tra i massi. 
e poi c'è il fiume. il pindar si ingrossa a vista d'occhio e in breve raggiunge livelli che a noi sembrano decisamente di allerta. cominciamo a notare una certa agitazione anche nei nostri compagni di viaggio. tutti infatti convengono che è troppo presto per un monsone così abbondante, con tutte le complicazioni del caso, e poi anche in piena stagione delle piogge capita assai di rado che le condizioni precipitino tanto in fretta. oramai però si sono fatte quasi le 2 e tornare indietro diventa difficile, poiché significa essere ancora in viaggio dopo il calar del sole, cosa alquanto sconsigliabile anche col bel tempo, perciò non ci resta che tentare di raggiungere karnaprayag. per tutto il tempo non fa che piovere a dirotto e, una volta a destinazione, scopriamo con sommo gaudio che proseguire verso nord è impensabile, anzi per ora è sconsigliato anche scendere verso ovest, e che il paventato pericolo di esondazioni è una minaccia più che tangibile, tanto che l'esercito è già presente in forze in tutta la zona per monitorare il livello del fiume e vigilare sulle aree soggette a smottamenti. in poche ore le case lungo le rive del pindar vengono sommerse fino al secondo piano, il camminamento lungofiume scompare inghiottito dalla piena impetuosa e tutti i ristoranti, gli hotel e le abitazioni a ridosso delle sue sponde sono evacuati in fretta e furia dai militari per scongiurare il peggio.
l'albergo in cui siamo capitati per puro caso si trova in posizione elevata rispetto al letto del fiume e perciò rimane fortunatamente agibile nonostante l'emergenza. tentiamo di tenerci il più possibile aggiornati sull'evolversi della situazione, ma le notizie ci giungono confuse e contraddittorie finché, captando qualche informazione qua e là nel bel mezzo del delirio, appuriamo che tutte le strade di accesso al paese sono franate in più punti: sia almora che i centri a ovest sono irraggiungibili, compresa srinagar da cui poi ci si potrebbe spostare verso rishikesh o dehra dun, e le condizioni a nord sono di gran lunga più allarmanti. intanto una colonna infinita di bus, jeep, moto, camion e macchine scende a rilento lungo la statale per joshimath, resa inagibile da molteplici slavine e perciò fatta sgomberare il più in fretta possibile. migliaia di pellegrini sono bloccati in coda per ore ed ore e altrettanti rimangono incastrati a karnaprayag come noi per giorni interi, la maggior parte pure senza un alloggio e quindi costretta a dormire in autobus o per strada, mentre l'esercito tenta sotto il diluvio di far brillare cariche di dinamite per riaprire il passaggio dove la montagna è franata. come se non bastasse poi le poche notizie che filtrano riguardo le zone circostanti sono pessime. nonostante tutto siamo impressionati da come la gente riesca a mantenere una calma più che decorosa, forse perché nessuno può ancora immaginare la reale portata di quanto sta accadendo. noi continuiamo a chiedere aggiornamenti al posto di blocco della polizia, anche se in fondo già sappiamo che, perché la situazione si sblocchi, è prima necessario che le condizioni meteo migliorino. siamo costretti a stare a karnaprayag un altro giorno ancora, e con noi le solite migliaia di persone, senza elettricità e acqua corrente per la maggior parte del tempo. ad abbattere il morale poi ci si mettono pure il crollo di un paio di ristorantini lungofiume, che rovinano in acqua con un boato assordante, e la pioggia che scende senza sosta. è di nuovo sera quando finalmente smette e l'esercito comunica che l'indomani le strade saranno agibili. la mattina seguente invece alle 8.30 passate è ancora tutto bloccato, così non ci resta che tentare di andarcene a piedi, zaini in spalla, camminando per 2-3 km fino alla frana, dove i militari stanno piazzando altre cariche per sgretolare i massi più grandi.



con l'aiuto dei soldati in cordone riusciamo a oltrepassare la slavina e i candelotti di dinamite pronti a farla saltare, e quindi a trovare una jeep, chiaramente sovraccarica, per coprire i primi 10 km fino a gaurchar. ci arriviamo solo per scoprire che la strada da lì in poi è di nuovo chiusa e che non si può raggiungere srinagar, almeno per ora, perciò siamo costretti a fermarci per un'altra notte. l'indomani all'alba ci svegliano i clacson impazienti della colonna interminabile di macchine e bus ancora in attesa dietro la sbarra abbassata: un'altra frana, ci dicono. aspettiamo un paio d'ore, perché la situazione secondo tutti dovrebbe sbloccarsi in fretta, invece alle 10 nulla si muove ancora, e noi optiamo per attraversare di nuovo la frana a piedi e provare a prendere una jeep verso srinagar dall'altra parte. a circa 2,5 km da gaurchar una slavina ha completamente distrutto la strada per un tratto alquanto lungo. 

noi scavalchiamo agevolmente le macerie insieme a un gruppo di pellegrini, ma  il passaggio è a dir poco impraticabile per qualsiasi veicolo e abbiamo la netta sensazione che la gente in coda ne avrà ancora per un bel po'. di là troviamo subito un'altra jeep, ma solo fino a rudraprayag, da cui pare di nuovo impossibile proseguire oltre. la strada è danneggiata in tutte le direzioni o quasi e in pratica srinagar è isolata. chiediamo informazioni a tutti, polizia, militari e gente comune, e ogni volta ne ricaviamo versioni contrastanti. mica una novità in india, dove tutti hanno sempre qualcosa da dire anche quando non sanno manco di che si parla (e lo diciamo con grande simpatia), ma in queste situazioni di emergenza la cosa è piuttosto deleteria e finiamo per non cavare un ragno dal buco, finché un alto ufficiale dell'esercito ci chiarisce la situazione: per scendere verso la pianura bisogna a quanto pare fare una deviazione notevole, lungo le poche strade che non sono state spazzate via dalle frane, e rimbalzare di jeep in jeep, di paesello in paesello, da khakram a kherakal, da kherakal a pauri, da pauri a kotdwar e infine ad haridwar. è già mezzogiorno e riuscirci in giornata è impensabile, ma decidiamo di fare comunque un tentativo. saliamo allora su una jeep per khakram, dove potremo cambiare mezzo, ma una quindicina di km più a ovest l'autista ci molla tutti lungo la statale, perché l'ennesima enorme frana ha inghiottito la strada e l'unica possibilità di proseguire è a piedi. 

ci mettiamo allora in cammino sotto un sole cocente (che è una benedizione dopo tanta pioggia) insieme a una colonna infinita di pellegrini e, coi nostri bei 15-18kg di zaino, percorriamo i 6-7 km di saliscendi che ci concedono di oltrepassare dall'alto la slavina per poi ridiscendere sulla statale. di nuovo lo scenario si ribalta completamente e la gente ci assicura che da lì srinagar è raggiungibile, ma che ora è la strada per rishikesh ad essere in condizioni penose e perciò non ci si può muovere in quella direzione. poco male, vorrà dire che proveremo con pauri e haridwar. l'ennesima jeep ci porta finalmente a srinagar dove, appena scesi, scopriamo che c'è un autobus, l'ultimo della giornata, in partenza per rishikesh. ma come? e la strada bloccata? no, no, the road is good now. si può passare. la nostra comprovatissima teoria per la quale non ci si può fidare delle indicazioni degli indiani senza aver interpellato almeno 3-4 campane diverse, e questo solo per avere un'idea molto approssimativa della realtà, si rivela quanto mai valida, solo che stavolta le campane erano almeno 15 e molte pure in divisa. il risultato però è il medesimo. oramai cominciamo ad essere esausti e saltiamo con grande gioia a bordo dell'autobus che, arrivi dove arrivi, almeno significa spostarsi verso la pianura. infine, con qualche piccola deviazione su piste sterrate secondarie per aggirare le frane, riusciamo a scendere fino a rishikesh lungo la valle del gange.

la strada è in condizioni pessime, l'asfalto è un colabrodo ricoperto di uno spesso strato di polvere e fango, crepe terrificanti squarciano il manto stradale sotto i nostri piedi, ovunque ci sono massi giganti a rallentare il traffico e mucchi di macerie a lato della carreggiata. porzioni gigantesche di montagna sono crollate a valle, trascinando con sè tubi dell'acqua, strade, case, alberi e qualsiasi cosa abbiano incontrato sul loro cammino. le pareti rocciose della ripida valle del gange portano ancora il segno della piena del fiume di tre giorni prima, quasi 10 mt. più in alto del livello attuale, e alberi, edifici, strade e ponti sono sepolti sotto enormi banchi di sabbia e di detriti. poi, proprio mentre stiamo per raggiungere la meta, si rimette a piovere. la perturbazione arriva dalla pianura e sembra decisa a salire a monte. se non fossimo scesi e avesse iniziato di nuovo a diluviare saremmo rimasti bloccati chissà fino a quando. le autorità a quanto sembra hanno preventivato di riuscire a sgomberare le strade in una settimana, salvo peggioramenti delle condizioni meteo. ecco appunto. per quanto ancora rimarranno bloccati sulle montagne, a dormire in autobus e mangiare per strada, le migliaia di persone che abbiamo incontrato e che sono per la maggior parte anziani e famiglie? questo il pensiero che ci martella ossessivo in testa mentre cerchiamo un albergo per la notte. 


poi ci mettiamo subito alla ricerca di notizie aggiornate, sia online che sui giornali, e finalmente realizziamo quello che è successo e quanto siamo stati fortunati: kedarnath, la zona più severamente colpita, è stata quasi del tutto rasa al suolo da un violentissima tromba d'aria che ha sepolto sotto una colata di fango, sabbia, acqua e pietre le case, gli alberghi e le dharamsala (rifugi per pellegrini), inghiottendo centinaia e centinaia di persone radunate nei dintorni del tempio di shiva; anche badrinath, joshimath, hemkund, gangotri, rudraprayag e karnaprayag sono state pesantemente danneggiate. 
il bilancio assume presto le proporzioni della tragedia. in pochi giorni il numero delle vittime sale a più di 1000, ma nelle ultime ore le autorità arrivano a ipotizzarne addirittura 10000, e i feriti, i dispersi e gli sfollati sono decine di migliaia, interi villaggi sono stati spazzati via dalla piena e dalle frane, autobus carichi di pellegrini sono stati trascinati in acqua dalle slavine, insieme alla strada che stavano percorrendo, camion carichi di rifornimenti sono anch'essi sprofondati nel fiume, le persone tratte in salvo sinora sono 90000 ma parecchie decine di migliaia rimangono ancora bloccate e le riserve di cibo iniziano a scarseggiare. inoltre il maltempo non molla la presa, rallentando i soccorsi e gli interventi di sistemazione delle strade e delle zone disastrate. come se non bastasse poi i corpi sepolti dalle macerie stanno iniziando a marcire, contaminando le falde acquifere fino a valle e causando patologie anche gravi addirittura tra gli abitanti delle zone pianeggianti dell'uttarakhand meridionale. le autorità sono state così costrette a organizzare cremazioni di massa sul posto per scongiurare nei limiti del possibile il pericolo di epidemie.
il tempo passa e l'incubo pare non dissolversi nemmeno quando si diradano le nubi e torna a splendere il sole infuocato di giugno. infondo, atrocità dei numeri a parte, gli strascichi più profondi della peggiore alluvione abbattutasi in tempi recenti sull'india himalayana sono e resteranno incalcolabili.

DEHRA DUN

lasciamo rishikesh dopo una sola notte, ripromettendoci di farvi ritorno in seguito, e il giorno seguente ci spostiamo a dehra dun, da cui poi potremmo raggiungere shimla e l'himachal pradesh e quindi valutare in quale direzione proseguire. il centro di dehra dun è dominato dal bel bazar, chiuso al traffico e sempre affollatissimo, in cui è piacevole anche solo starsene ad osservare la gente che passa. inoltre, pochi km a sud della città, c'è la colonia tibetana di clement town, dove ci sfondiamo di momo e chowmein a prezzi stracciati e passeggiamo tra i gompa e le botteghe tibetane che gravitano intorno ad uno degli stupa più grandi del mondo.
17 marzo - 12 giugno 2013, NEPAL² 

·parte terza·

VALLE DI KATHMANDU

da tansen facciamo ritorno a pokhara per qualche giorno e poi ce ne andiamo, in fuga dal monsone che la inzuppa quotidianamente oramai da un po', con oltre un mese d'anticipo sul calendario ufficiale della stagione delle piogge, diretti verso la valle di kathmandu. il viaggio di 8h in bus ci regala panorami mozzafiato su quelle stesse valli e foreste che un sacco di volte ormai abbiamo rimirato dal finestrino, ma che ora la pioggia ha trasformato in un trionfo di verde brillante. l'ocra dell'erba ingiallita dal sole di primavera, il grigio avorio della sabbia delle piane alluvionali e il rosso della terra argillosa hanno lasciato il posto a terrazze senza fine di risaie verdissime, i campi vivificati dal monsone incipiente sono un fertile tappeto di colture lussureggianti e le foreste ricoprono le colline pedehimalayane di una distesa rigogliosa e sterminata di chiome smeraldo...

BOUDHA (BODHNATH)



la prima tappa nella valle è il ritorno allo stupa di boudha, il più grande del nepal, che sorge al centro di una bella piazza contornata di edifici storici e adorna di centinaia di coloratissime bandiere di preghiera buddhiste. il quartiere ospita una nutrita comunità di tibetani e di sherpa e un numero consistente di gompa distribuiti nelle vicinanze della bianca cupola sacra. 
 stupa a parte, la zona non è poi così turistica e la sera, quando i visitatori in giornata se ne tornano da dove sono venuti, c'è un'atmosfera piacevolmente rilassata e pure l'imbarazzo della scelta se si ha voglia di thumba e chowmein, entrambi onnipresenti nei menù dei tanti ristorantini sherpa-tibetani. belle anche le vie acciottolate che circondano la piazza, coi negozietti di souvenir, thangka (dipinti), vestiti, bandiere, cappelli, candele di burro, coppe per il thé e un'infinità di altre interessanti chincaglierie tipicamente tibetane. e come al solito lo splendore bianco della cupola dello stupa, ornata di giallo ocra, e i 13 gradini scintillanti d'oro che s'innalzano verso il vertice nelle giornate limpide risplendono contro il cielo blu e sono tra le cose più fotogeniche che uno possa immaginare. il 25 maggio poi è il buddha jayanti, importante festività buddhista che cade ogni anno con la luna piena del mese di vesak (maggio-giugno) e del buddha festeggia in una sola volta nascita, illuminazione e morte. 

moltitudini di pellegrini tibetani e non solo si riversano in piazza e folti gruppi di monaci affollano le vie di boudha in un turbinio di vesti amaranto. la sera che precede il plenilunio la folla di devoti inizia a compiere la circumambulazione rituale in senso orario intorno allo stupa, girando le sacre ruote di preghiera e unendosi in un mormorio cantato agli incessanti mantra sommessi che risuonano in ogni direzione. la rotazione prosegue ininterrotta per tutta la notte e l'intera giornata successiva, il buddha jayanti vero e proprio, durante la quale si alternano variopinte parate delle scuole del quartiere e di associazioni buddhiste con tanto di carri in festosa processione. la sera infine luccicanti candele votive di burro illuminano la base della cupola e il perimetro della piazzetta e giochi di luce colorati, proiettati contro l'elegante sagoma d'oro e d'avorio dello stupa, accendono nella notte gli occhi magnetici e penetranti del buddha, mentre su tutto si effonde la luce della luna, immensa nello splendore del plenilunio. 


da qui siamo comodi per fare un giro anche allo stupa di chabahil, al vicino monastero buddhista di charamuti vihar e poi al tempio di chandra binayak, che troviamo affollato di donne in rosso e oro intente a effettuare una pooja prematrimoniale.


SANKHU e VAJRAYOGINI

procedendo da boudha lungo la strada che si spinge verso est, lontano da ring road e fuori dal caos della città, si raggiunge il villaggio di sankhu, altro borgo newari con i soliti portali colorati, strade lastricate e botteghe dall'aria antica incastonate tra un tempio e l'altro. la gente che passa, indaffarata nelle faccende quotidiane, non manca però mai di rivolgere un gesto di devozione alle divine effigi di vishnu, ganesh o bhairab che risiedono nei santuari e le vecchie, coi loro volti rugosi di divina bellezza, intrecciano la paglia per le stuoie sedute all'ombra dei loggiati tra colonne lignee splendidamente intagliate. la strada principale è gremita di rifugi porticati per i pellegrini diretti al tempio collinare di vajrayogini, che si raggiunge uscendo dal villaggio in direzione nord lungo un sentiero sterrato costellato di santuari, statue, alberi secolari e folti ciuffi cespugliosi della mistica erbapipa dalle foglie eptapuntite, sacra a shiva e compagna dei baba, che cresce spontanea in tutta la valle di kathmandu. la strada conduce quindi alla scalinata che, costeggiando una nuova serie di statue hindu di ganesh e bhairab, bianchi stupa buddhisti e altri alloggi-rifugio per pellegrini, sale fin su al cortile del tempio. 
qui nel silenzio della foresta se ne stanno due autentiche perle di architettura nepalese del XIV secolo: il tempio principale con tetto a pagoda tripla bordato d'oro, travi di legno scolpite con grande raffinatezza e uno splendido portale dorato magnificamente cesellato con incisioni che ritraggono i tre gioielli (buddha, dharma e sangha) del buddhismo e i bodhisattva; poi di fianco un altro santuario minore dentro al quale è custodito un chaithya molto antico, probabilmente il primo nucleo cultuale del sito; e infine tutto intorno un'interessante commistione di elementi hindu e buddhisti (buddha seduti sopra una yoni, simbolo della sacra vagina di parvati e quindi della potenza creativa femminile della grande dea che nell'iconografia hindu è sempre accoppiata col lingam di shiva). 
vajrayogini è una divinità tantrica buddhista (la yogini di diamante, un buddha femminile), dea enigmatica e potente, rossa come il fuoco, adorna di una collana di teschi, che un'iscrizione in loco connette a ugratara, aspetto terrifico tantrico della dea buddhista tara, consorte del bodhisattva avalokiteshvara. probabilmente la vajrayogini di sankhu costituisce una sorta di ibrido iconografico tipicamente nepalese. la cosa interessante è che l'origine del culto buddhista legato a questo tempio va ricercata nel chaitya custodito nel santuario minore, che è un swayambhu chaitya, ovvero un chaitya autooriginatosi, sorto spontaneamente nel luogo in cui il re manadeva si ritirò per fare penitenza intorno alla fine del V sec dc . in seguito a tale evento prodigioso venne fondato un monastero, i cui monaci si sono ora trasferiti a sankhu ma continuano ancora oggi ad essere i custodi del piccolo stupa, che è la divinità tutelare di lignaggio di molti altri monasteri sparsi per la valle. questo per dire come realtà, leggenda, uomini santi, divinità misteriose e prodigi divini siano all'ordine del giorno quando si tratta della tradizione religiosa nepalese, commista di elementi hindu e buddhisti ma anche e sempre radicata nel folklore dell'antica religione precedente. l'atmosfera è misticheggiante, forse anche per la luce giallastra pretemporalesca che ha un che di ultraterreno, per il cielo grigio che minaccia un bel diluvio monsonico e per le nuvole gonfie che vorticano intorno alla pagoda. 


il panorama sulle vallate circostanti poi è sempre una magia.. e ancor di più il pensiero che in ogni dove tutto intorno, nascosti qua e là sulle colline trapunte di foreste e avvolti da pittoreschi villaggi,  sono custoditi antichi templi come questo, con il loro ricchissimo patrimonio di leggende e affascinanti credenze popolari e la loro immortale aura di sacralità che ammanta d'incanto queste zone della valle. sulla cima di una collinetta a sudest, poco lontano e perfettamente visibile, scorgiamo ad esempio lo spettacolare tempio di changu narayan che abbiamo visitato due anni fa e a nord-ovest invece c'è il mandir di gokarna mahadev, appena al di là delle colline oltre la foresta di gokarna. che beltà questa valle di kathmandu..

PATAN

come non menzionare di nuovo patan, che adoriamo davvero e in cui perciò ci fermiamo un po' più a lungo con l'intento di girare alla scoperta di altri angoli della valle e di evitare il più possibile thamel, pur se questo significa dover fare avanti e indietro dalla capitale e dall'ambasciata per ottenere il nuovo visto indiano. 
se kathmandu è una meraviglia tra le vie del centro e oltre queste una bolgia  invivibile e bhaktapur un sogno fuori da tempo che però si paga caro, patan è il giusto mezzo che concilia l'eterea bellezza intrisa di storia dei centri della valle di kathmandu con una rilassata industriosità da città a misura d'uomo. noi la pur splendida durbar square la bazzichiamo solo dopo le 7 di sera, in modo da evitare la tariffa d'ingresso per gli stranieri che lievita spropositatamente una stagione sì e l'altra pure (da 250-300 a 500rs in due anni), alquanto sollevati di averla già esplorata come merita durante la nostra scorsa visita (come del resto possiamo dire della già citata bhaktapur, il cui biglietto d'ingresso si è gonfiato fino alla bellezza di 1100rs-10€; idem poi per pashupatinath che da 500 raddoppia a 1000rs e, dulcis in fundo, come dimenticare l'ingresso alla durbar square di kathmandu che da 300rs ora ne costa 750! fortuna che a conoscere appena un po' la viabilità pedonale delle città aggirare le biglietterie è uno scherzo, perchè davvero questi gioielli meravigliosi valgono ogni singola rupia ma forse le autorità nepalesi dovrebbero innanzitutto contenere la loro sete di straniera pecunia, quindi decidersi a ripulire decentemente i monumenti di kathmandu dalla cacca di piccione che li ricopre e infine spiegare ai nepalesi che il luogo naturale delle cartacce non è il pavimento lastricato delle città newari patrimonio dell'umanità! punto.). e poi del resto mica siamo tornati solo per la piazza, anzi è piuttosto per l'atmosfera unica che si respira per le strade di patan e che ci ricorda la nostra cara venezia. sarà forse un po' di nostalgia per i lidi nostrani ma le affinità ci sembrano talmente evidenti da chiederci come mai nessuno si sia accorto che c'è molto più del serenissimo gioiello della laguna nella dolce lalitpur, mare e canali a parte, che non nelle mille improbabili venezie d'oriente inventate ad hoc dai tour operator di mezzo mondo (bangkok o allapuzha per citarne solo un paio al volo): angusti vicoli acciottolati si insinuano tra gli alti edifici newari, come callette lastricate strette tra i palazzi lagunari; le case tradizionali hanno l'aria un po' sfiorita delle vecchie dimore veneziane; magnifici bahal se ne stanno nascosti oltre claustrofobici passaggi voltati o in fondo a viuzze che a prima vista paiono vicoli ciechi, come i campi e i cortili veneziani, uno ad ogni metro, o le corti sconte che schiudono mondi da favola dietro insospettabili cancelli serrati; decine e decine di piazzette, raggiunte da un labirinto di vicoli e stradine, gravitano intorno alla durbar square e a piazza san marco, entrambe esempio sublime e universalmente riconosciuto della creatività e dell'abilità umane; templi buddhisti e hindu, pagode, stupa, piccoli chaitya e statue tinte di tika punteggiano le strade di patan, come chiese, capitelli, campanili, conventi e ancora chiese in quel di venezia; le fontane newari onnipresenti paiono i pozzi dei campielli; scorci di pura meraviglia attendono i più curiosi dietro ogni angolo e i piccioni tubano indisturbati tra i monumenti secolari. insomma venezia e patan hanno entrambe l'aura e la potenza evocativa di quei luoghi plasmati a immagine e somiglianza di città celesti, benedette dalla storia, dove la bellezza dell'universo pare concentrarsi in proporzioni maggiori e una magia senza tempo essere imprigionata in ogni pietra (anche se, per inciso, venezia rimane sempre ineguagliabile). 

 
a patan siamo deliziati anche dall'incontro ravvicinato con rato machhendranath, la divinità protettrice della città e patrona della valle, in cui incappiamo piacevolmente un paio di volte:  prima gli rendiamo omaggio mentre accoglie i sentitissimi auspici della folla di devoti dal suo carro frondoso appena arrivato da bungamati e di stanza al centro di uno degli incroci principali della città, e quindi lo ritroviamo, anzi ci trova lui, a zonzo per le vie di  patan, proprio nel bel mezzo dell'allegra sfilata che lo riporta al suo tempio.
 

 BUNGAMATI e KOKHANA

 altri due deliziosi villaggi newari della valle. bungamati è la città natale del già citato rato machhendranath, che dimora a patan per sei mesi all'anno e qui per i restanti sei e viene trasferito da uno all'altro dei suoi templi con una coloratissima processione in occasione dell'importante festival in suo nome, che ogni maggio anima la parte meridionale della valle. la piazza è splendida, con la solita serie incantevole di templi e edifici newari, e poi, vagando per il dedalo di viuzze che da questa si diparte, si incrociano decine e decine di donne che lavorano la paglia sedute ai margini delle vie acciottolate e laboriosi artigiani intagliatori del legno al lavoro nelle botteghe per cui la città è rinomata. 


il villaggio di kokhana, pochi passi più in là, è più piccolo ma altrettanto interessante. anche qui una passeggiata lungo la bella via principale è un viaggio a ritroso nel cuore di un mondo contadino altrove purtroppo scomparso.




THIMI

madhyapur, la città tra i tre regni, è fitta di antiche vie newari, lungo le quali è ancora piacevolmente possibile ficcare il naso tra le fasi della lavorazione artigianale della terracotta, l'attività tradizionale degli abitanti qui come a bakhtapur. camminiamo deliziati tra file interminabili di vasi e piatti a seccare al sole, fasci di paglia utilizzati per la cottura e montagne di argilla da impastare e poi facciamo quattro chicchere con i mastri vasai che ci lasciano curiosare mentre lavorano al tornio. 
ogni incrocio, ogni vicolo, ogni piazzetta pullula di gente indaffarata: chi prepara la terra, chi rifinisce le opere, chi allestisce la pira di paglia e sabbia per la cottura. noi seguiamo un vecchietto sorridente dentro un tipico localetto newari e beviamo con lui un paio di chang alla salute della bella thimi e dei suoi abitanti.

                                         KIRTIPUR

kirtipur è un'altra bella cittadina newari che sorge sulla cima di una collina poco a sud di kathmandu. al centro della piazza c'è un ampio bacino sacro, contornato dai soliti eleganti edifici storici con belle finestre intarsiate, e poco più in là il tempio di bagh bairab, sulla cui facciata campeggiano ancora le spade dei soldati della città sconfitti  dagli eserciti di prithvi narayan shah nel 1768 e pesantemente mutilati (taglio del naso e delle labbra) per punire la loro strenua resistenza. 
sul punto più alto sorge il mandir di uma maheshwar,  da cui si domina tutta la valle meridionale, sempre affollato di nonnetti ciarlieri seduti all'ombra e di capannelli di giovani che degustano in compagnia le specialità erboristiche psicoattive locali.

BUTWAL e MAHENDRANAGAR

è giugno inoltrato, il nostro visto è agli sgoccioli e dobbiamo muovere verso il confine occidentale, perciò ci tocca boccheggiare un paio di giorni nell'abbraccio soffocante della calda estate del terai.  in tutto da kathmandu per raggiungere la frontiera con l'uttarakhand indiano ci vogliono due giornate intere di viaggio, la bellezza di 20 h (8+12) di autobus e un paio di tappe notturne forzate a butwal e mahendranagar. in compenso però il panorama è un bijoux, i campi coltivati una delizia per gli occhi e la campagna verdissima gremita di villaggi tharu con le loro deliziose case di fango, paglia e legno. 


infine, una volta al posto di confine di gaddachauki, ci incamminiamo attraverso la terra di nessuno  tra le due frontiere e quindi sul ponte sopra il fiume kati, rivolgendo al nepal il nostro saluto dolcemente malinconico. arrivederci a chissà quando. l'india ci aspetta..

.fine.