INDIA³
2-4 settembre 2013
KOLKATA
e il mal d'india che ci prende ancora prima di partire
la
dolce calcutta è sempre un diletto, col suo cocktail imbattibile di
profonda sacralità e profanissima bolgia quotidiana, tradizione
culturale e appeal intellettuale ancora vivi e vegeti, reliquie
architettoniche da capitale coloniale miste a strade dense di
bordello indiano e una popolazione oltremodo deliziosa. quando
arriviamo è mezzanotte, perchè il nostro treno ci ha scaricati alla
stazione di sealdah con 7h di ritardo e così, dopo aver ringraziato
la madre kali
per
gli autobus notturni, ce ne andiamo in giro per quasi un'ora nei
pressi dell'esplanade bus stand a caccia di una camera, imparando
sulla nostra pellaccia oramai narcolettica che a calcutta le
bettoloidi indian-style aperte 24h non possono accettare stranieri.
per farla breve ci tocca arrancare a piedi nella calda notte
bengalese con i maledetti zaini fino a suddler street, la via dei
turisti, per trovare un albergo aperto. manco a dirlo tutti quelli
che incontriamo lungo la strada ci offrono il loro aiuto. perfino i
senzatetto appisolati lungo i marciapiedi emergono dal loro bozzolo
di cartone per darci indicazioni e poi si risdraiano, sorridono,
salutano con la mano mentre ci allontaniamo e gridano: good
night!.
come disse il nostro amico sbronzone carnatico, il quale se la
ballava giulivamente sul bus hampi-hospet molestando ogni anima viva
su cui posasse lo sguardo, “i love my india!”. eh sì..
e
poi arriva il 5 settembre, data che campeggia sui nostri biglietti
air asia kolkata-bangkok. ci tocca dire arrivederci, mettere fine
almeno temporaneamente all'ennesimo viaggio in quella dimensione
umana parallela e in parte insondabile che è l'india, dove tutto
sembra funzionare secondo leggi spesso aliene per la mente
non-indica, e attuarsi in dinamiche che appartengono solo a questo
mondo. l'india è sempre e comunque un'esperienza inebriante, che
avvolge a 360 gradi e spesso induce nei recettori un cortocircuito da
sovraccarico irreversibile. qualsiasi dei sensi sia coinvolto
nell'esperire, questo si ritrova costantemente alle prese con input
eccessivi e talvolta ingestibili. insomma in india il totale è
sempre mooooooolto più della somma delle parti. un'overdose
sensoriale costante, assicurata e incurabile.

le
immagini imprigionate dalla retina sono ovunque pura poesia
visionaria, di quella che solo il subcontinente sa regalare e che ti
fa tenere il dito incollato al pulsante di scatto della macchina
fotografica. altro che film di bollywood, le vie delle città sono un
fiume umano ininterrotto e caotico in piena costante e a perenne
rischio tsunami; l'india sacra dei templi hindu e jainisti, delle
moschee, dei gompa buddhisti, dei gurdwara sikh, delle chiese, dei
monasteri, degli ashram, delle madrase è la fotografia di un
altromondo
dove la dimensione quotidiana è compenetrata dal divino e dal
soprannaturale in ogni suo aspetto e nella vita di tutti, della
contadina bengalese, del pastore kashmiro, dell'ingegnere di
bangalore, del pescatore del kerala, dell'infermiera tamil e della
casalinga di lucknow; un trionfo a tutto tondo di puje, incensi,
canti, riti millenari e folklore misterico da manuale di antropologia
attende il viandante curioso ad ogni angolo; i sadhu, bellissimi e
sorridenti, percorrono scalzi le strade del sub come raminghi saggi
viandanti d'altri tempi; il vasto e variegatissimo campionario umano
di bimbi e nonnetti, donne e uomini, spose e mariti, è un mosaico di
straordinaria ricchezza etnica, linguistica e religiosa che regala
spesso scorci di un'altra era, altrove del tutto scomparsi, come
accade ad esempio con le sfilate quotidiane di costumi tradizionali,
sari, shalwar kameez, doti, turbanti etc che punteggiano le strade;
la sublime meraviglia della natura si dispiega nei fiumi, nella
campagna, nelle colline, nelle montagne, nelle foreste, nelle sagome
degli alberi sfumate da un alone di nebbia nella luce ovattata
dell'alba e offre da nord a sud un susseguirsi di paesaggi
indimenticabili e variegatissimi, dal tropical-tamil nadu alla
regione himalayana cis e trans, dal deserto del thar al delta del
gange, dall'altopiano del deccan alle foreste dei ghati, dalla piana
del gange alle spiagge di goa, ovunque visioni celestiali di cui ci
si delizia dai finestrini di treni e bus o mentre si cammina lungo
sentieri meno battuti per immergervisi appieno; un vortice
caleidoscopico accende di colore la vita di strada, col kum kum per
la tika, coi fiori della puja, con la frutta sfiziosa nelle bancarelle, con le
mura dei templi e delle case, con la stoffa leggera dei sari;

e la
musica del sub, quella che risuona incessante in un medley di risate
sguaiate di donne, con il sottofondo costante di cavigliere e bangles
(braccialetti) tintinnanti, di urla gioiose di bimbi, di vociare
perpetuo (o meglio urlare, chè gli indiani parlano a voce altissima
come se fossero tutti affetti da sordità acuta, sbattono le porte
giorno e notte, scorrazzano sotto la tua finestra a bordo di motorini
ultramolesti, gridano al telefono come se dall'altra parte dovessero
sentirli senza l'ausilio del ricevitore, sono curiosi come solo loro
e ti bombardano costantemente di domande, per cui le due chiacchere
col vicino in bus si trasformano di rito in conversazioni di ore), di
brevi pause silenziose al fresco dei templi, di melodie sacre, canti
e inni millenari, di bande che suonano per strada nel bel mezzo di
allegre parate, di ragazzetti che cantano in mezzo falsetto mentre
lavorano o camminano, di cori dei bimbi a scuola la mattina, di
clacson insopportabili nel traffico delirante di moto, macchine, tuk
tuk, rikscio, ciclorikscio, tanariksciò, camion, bus scassatissimi
che vanno avanti per miracolo, sempre e solo trombe bitonali
ultradecibel che manco in tutto il resto dell'asia messa insieme, di
classiconi di bollywood sparati a palla o di maestosi raga hindustani
e carnatici..
oppure
la palpabile pienezza che senti al tatto, sulla pelle mentre ti fai largo tra folle oceaniche, avanzando nello struscio perenne che
anima le strade, a suon di gomitate, spintoni e frontali sfiorati,
come è normale che sia sopra il miliardo, nello sfiorare distratto
il liscio della superficie erosa delle statue dove tutti passano la
mano, in una carezza al manto peloso delle mucche sacre, in un
abbraccio con una donna che ti ferma per strada solo per un saluto,
nel bagno di folla degli studenti in gita che scalpitano per
regalarti due parole di benvenuto, nelle innumerevoli strette di mano
con i giovani che hanno sempre qualcosa da raccontare, nel bimbo che
ti si avvicina e sorride, nel nonnetto che ti benedice in una delle
mille lingue del sub..


e
poi il calore umano impagabile che ti investe un po' dovunque: i
sorrisi dei bazari, su tutti quelli dei fruttivendoli che ti regalano
la frutta (che già di per sé costa zero); la gente per strada che
ti aiuta senza che tu debba mai chiedere, con la tipica piacevole
invadenza indiana; i servizi fotografici con famiglie intere,
giovincelli chiassosi, coppiette in viaggio e squadroni di bimbi
meravigliosi; gli abbracci delle donne che sono sempre di una forza
travolgente; la gentilezza disinteressata che ti piove addosso
praticamente ovunque, soprattutto fuori dalle rotte più battute; la
magia ultraterrena delle città sacre tipo haridwar dove l'energia
satura l'aria e lo sguardo penetrante di un baba ti trafigge il cuore
proprio mentre lui scoppia a ridere come se l'avesse capito; l'anima
multietnica, multiculturale e multiconfessionale che fa delle strade
del sub un amalgama umano unico al mondo (tamil
e ladakhi, punjabi e sikkimesi, bengalesi e kashmiri, etc)..
in
india la convivenza di contraddizioni insanabili, contrasti e
apparenti assurdità, della miseria più disumana e di una delle
classi medie più nutrite del globo, per qualche legge a noi ancora
incomprensibile pare avere quasi dell'armonioso: ci sono le arcinote
e criticabili dinamiche sociali della gerarchia castale e della
condizione femminile che definire difficile è dire niente, entrambe
abominevoli agli occhi di uno straniero (come se le caste esistessero
solo nella società induista!), ma poi tra le figure più potenti del
panorama politico nazionale c'è, tra le altre, una donna di lusiana
(sì, quella sull'altopiano di asiago) che non ha manco una goccia di
sangue indiano e l'hindi lo parla da l'altroieri (non riusciamo
ancora a pensare ad un altro posto dove questo sarebbe possibile; pur
considerando che la sua posizione le deriva dall'essere la moglie del
defunto rampollo della dinastia nehru-gandhi nonché madre del futuro
leader del partito del congresso, sempre nata a vicensa la xè!); i
telegiornali di casa nostra l'india la nominano solo per aggiornarci
sull'odissea dei marò o per puntare il dito contro gli orrori della
violenza (come i recenti mostruosi casi di strupro) ma la realtà è
che di norma puoi andartene in giro dovunque, e sottolineamo dovunque
perchè noi l'abbiamo fatto, nelle zone più disagiate delle città,
nei villaggi di campagna dell'india rurale poverissima, sotto i ponti
dove dorme chi non ha altro che se stesso, anche di sera, puoi
dormire in stazione di notte coi senza tetto, tutto questo senza che
nessuno ti torca mai un capello! a volte ci mettiamo a pensare che se
questo cocktail di sovrapopolazione e povertà si materializzasse
altrove con ogni probabilità non si potrebbe manco camminare per
strada, invece infondo, crimini abominevoli degli ultimi tempi a
parte, l'india è ancora davvero sicura. perciò non ci resta che
starcene ad ammirare la meraviglia che è la moltitudine dei suoi
figli perchè, anche se qui le donne incontrano troppo spesso un
destino innominabile, più di tutto l'india è madre, una grande
madre che tutto accoglie..
sì,
è un mondo che forse non è per tutti. l'india ti sa mettere alla
prova in modi con ogni probabilità sconosciuti a chiunque non vi
abbia mai messo piede, ti sbatte in faccia senza pietà i limiti
tuoi e delle approssimazioni parziali e relative cui ti aggrappi
quando ti convinci di sapere,
ti spinge oltre quello che hai sempre creduto di conoscere di te
stesso, ridimensiona le proporzioni esagerate del tuo ego
“occidentale”, perchè dopo un po' che vivi immerso nei suoi
numeri da record impari quali siano i limiti dello spazio personale e
che cosa significhi davvero condividere il poco in tanti. verissimo,
l'india mica è tutta saggezza, spiritualità e trascendenza, anzi si
è trasformata in una delle società più materialistiche della
terra. tuttavia è ancora satura di un'energia che è difficile
trovare altrove, che qui si concentra in proporzoni maggiori,
probabilmente grazie all'overdose da contatto umano con cui si deve
sempre fare i conti e cui si è costretti talvolta controvoglia. un
battesimo di umanità dove in fondo se solo ci si sforza di provare a
pensare indiano cambia tutto.

qualcuno
più abile di noi con le parole ha detto dell'india
che
“è una cassaforte di umanità, una
gigantesca arca di noè stivata di uomini di tutte le epoche, di
tutte le civiltà, di creature ancora non addomesticate e deformate
dal progresso, ancora non indebolite dal vivere urbano...”.
sono pochi i luoghi del mondo dove ti senti così intensamente parte
di questo gigantesco corpo -o piuttosto anima- collettivo, dove ti
rendi conto che il destino di tutti è infondo il tuo, dove riesci a
percepire il cordone ombelicale che ti lega alla terra e a tutti
quelli che la popolano con te. e anche se la sua grande ricchezza
rischia continuamente e sempre più di essere appiattita
dall'avanzata del capitalismo, se la complessa riserva
di tipi umani che l'india custodisce sarà forse prima o poi azzerata
nella standardizzazione omologante che la globalizzazione si porta
appresso, questo è sempre il posto in cui le mucche hanno la
precedenza per strada, i naga sadhu vagano nudi nella foresta, i
pellegrinaggi verso i mitici luoghi del sacro costistuiscono il più
grande dei movimenti di massa, i jainisti camminano con mascherina e
scopetta, il vegetarianesimo è una tradizione millenaria etc etc
etc.. nonostante tutto sembra che la grande anima
indiana stia almeno in parte resistendo al dilagare della
tristezza ignorante dei tempi moderni, o del kali
yuga
–fate voi-, che non ne sia stata soffocata del tutto, ma che anzi
la sua più grande forza risieda proprio in quella stessa
essenza complessa e eterogenea che il mostro informe del capitalismo
vuole cancellare.
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