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9 - 16 febbraio 2012, PAI e CHIANG RAI





::: pai




aaaaaahhhh! probabilmente non ci saremmo mai dovuti venire e, in un certo senso, manco sappiamo perchè siamo finiti quassù. oppure forse toccava proprio capitarci per vedere fino a che punto anche il nord si sia sputtanato, cosa che qui si mostra con particolare eloquenza.
boh, forse esageriamo, forse per qualcuno un soggiorno a pai può pure rivelarsi piacevole: la valle è indubbiamente affascinante, il fiume grazioso, la campagna intorno più che amabile, ci sono parecchi baretti carini con musica dal vivo, un'infinità di negozi e un'atmosfera similhippy..
si!, a qualcuno potrebbe decisamente piacere e forse, in un contesto differente, anche a noi.. il fatto è che non è thailandia, per niente, non più..

è un covo di farang, più e meno giovani, che danno l'impressione di cercare da un lato qualcosa che non c'è, un'esperienza d'altri tempi, una riedizione dello sballo misticheggiante da triangolo d'oro, dall'altro un ambiente festaiolo occidentaloide che ci parrebbe più azzeccato altrove, se non altro perchè, nel venire in capo al mondo a inseguire le abitudini di casa, non riusciamo proprio a trovarci un senso.. ma queste sono solo impressioni..
per il resto poi anche qui, come a chiang mai e in tutta la thailandia settentrionale, abbondano le agenzie che organizzano trekking e escursioni nei villaggi delle hill tribes. dal canto nostro ci garberebbe davvero dare un'occhiata a detti villaggi, se le note del caso non fossero tanto dolenti: innanzitutto è difficile trovarne uno accessibile con mezzi pubblici, o quantomeno molto economici, che sia anche similautentico (anzi forse è meglio evitare del tutto di tirare in ballo l'autenticità e limitarsi a parlare di esperienza eco-socio-sostenibile); in secondo luogo, per quanto concerne le agenzie, che non sono per niente la nostra passione, è saggio conoscere l'offerta prima di operare una scelta, poichè non sono rari i casi di organizzazioni per nulla etiche che sfruttano le popolazioni autoctone, costringendole a posare in costumi tradizionali o a svolgere attività particolari per compiacere le comitive di visitatori paganti.
la storia è sempre la stessa. anche qui il turismo palesa la sua natura ambivalente di arma a doppio taglio e spesso aggrava la già precaria situazione delle comunità tribali, le quali, vedendosi da sempre negare la cittadinanza dal governo thai, vivono in condizioni di povertà più o meno pesanti e hanno difficile accesso a istruzione, servizi e cure mediche basilari.
tutto questo a prescindere dalle intenzioni, per lo più nobilissime, dei visitatori: chi va a cercarci il viaggione da oppio finisce per alimentare non tanto l'economia agricola delle comunità quanto il traffico controllato dagli stati uniti, in quanto la produzione avviene principalmente oltreconfine in territorio birmano; chi fa trekking animato da sani propositi di vita all'aria aperta o da sincera curiosità etnoantropologica rischia di finire in uno di quei villaggi che sono più che altro veri e propri zoo, dove i locals sono esposti come fenomeni da baraccone (l'esempio più eclatante sono le long-neck karen -le "donne dal collo lungo"- che, originarie della birmania, sono state trasferite a forza in thailandia al solo scopo di impiantare il proficuo business che a tutt'oggi continua a fruttare).
noi, che dobbiamo fare i conti con la coscienza prima e con le nostre tasche poi, decidiamo di noleggiare due bici e fare un giro per i dintorni di pai, visitando qualche wat, una cascata, un villaggio cinese, pittoresco ma decisamente commerciale, e uno lisu, dove assistiamo ad una danza tradizionale, a quanto sembra in celebrazione di un'occasione particolare, in compagnia di qualche altro turista thai. giornata tutto sommato più che positiva.

la sera ci coglie meditabondi, a interrogarci sulla misteriosa ragione che induce taluni farang a vagare scalzi, ostentando una frikkettonaggine non poco artificiosa (sulla quale potremmo anche non obiettare, è vero - però, cazzo! vattele a fare in india le passeggiate a piedi nudi, che qui le strade sono più linde di quelle isolane!), forse per ritrovare il contatto con la madre terra (sull'asfalto?) oppure per obbedire a chissà quale istinto vocazionale (anche se a noi tutto ciò ricorda più che altro l'infame imitazione di un sadhu), ok, ma perchè mai ammantarsi di tale pseudoascetismo da illuminati quando la mano sinistra regge una salsiccia oleosamente mortifera (che non sa per niente di comunione col tutto), le dita della destra picchiettano sul touch screen dell'iphone e la sete la si ammazza a forza di avidi sorsi di eticissima cocacola????
sbaglieremo noi a doverci per forza aspettare un po' di coerenza, comunque sta di fatto che pai non è certo il posto per noi, e allora ce la battiamo.. qualche piccolo imprevisto fa sì che optiamo per raggiungere direttamente chiang rai, accantonando per ora ulteriori esplorazioni dell'estremo nordovest.







::: chiang rai






dolce chiang rai.. ce l'hanno spacciata come la versione ridotta della sua quasi omonima, l'alternativa a chiang mai. e vabbè!, ci sono i wat, i musei, il bel night bazar, i mercati (come in qualsiasi città thai del resto) etc. le affinità però si esauriscono qui, dove invece si innescano le caratteristiche per cui chiang rai, per quanto forse non altrettanto affascinante, è di gran lunga più a misura d'uomo e di passeggiata rispetto alla sorella maggiore, più rilassata, per niente caotica e impreziosita da uno spiccato thai feeling.
vorremmo biciclettare nei paraggi, magari un altro tuffo in campagna, ma veniamo inghiottiti dall'ospitalità ultraccogliente della nostra family-guesthouse che, segno del destino, è la più economica di tutte quelle che ci hanno ospitato sinora in thailandia, ci coccola con un'atmosfera intima e casalinga, è lontana dal traffico (poco) del centro, a due passi dal fiume, e incredibilmente ha pure una piscina..
così poltriamo alla grande e, oltre al centro, ci spingiamo al massimo fino al white temple che, a dirla tutta, la fatica di sollevare le chiappe dal canapè se la merita eccome. un po' affollato sì, ma di un viavai che non ne guasta l'incantesimo, è un'esplosione accecante di bianco perlaceo punteggiato di scaglie argentate, che sa troppo di dimora celestiale da reame delle nuvole, scintilla che pare la torre d'avorio del regno di fantàsia e esalta tutto il suo sbriluccichìo incantato contro un cielo che più blu non si può (forse ci siamo fatti prendere un po' troppo la mano da suggestioni fantasy, ma l'ù l'è beo davero!, e le foto non gli rendono giustizia).

2 commenti:

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