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INDIA² - 13 febbraio – 3 marzo 2013: ANDHRA PRADESH, ODISHA E WEST BENGAL

è tempo di risalire verso nord, lungo le assolate coste dell'india orientale lambite dalle acque del golfo del bengala. di sentire i km scivolare sotto i piedi, scorrere via nel metallico abbraccio di rotaie luccicanti, divorati dagli ingranaggi di un treno che sferraglia pigro nel cuore dell'andhra pradesh. di osservare il panorama sottrarsi svelto al nostro sguardo per mutare all'infinito, mentre i binari si dispiegano tra il deccan, i ghati orientali e la piana del krishna e del godavari e noi già pensiamo bramosi al fresco delle vette himalayane. di apprezzare le corrispondenze tra questo poetico avvicendarsi di paesaggi in divenire e i ricordi che si rincorrono veloci, come fugaci fotogrammi di questo indimenticabile pezzo d'india che si perdono nel vento, lontano fuori dal finestrino.
e più si sale più l'atmosfera si fa quasi totalmente rurale, si diradano i centri industriali e le grandi città, sostituiti da sonnolenti quadretti di vita campestre, e pure il tasso di povertà cresce a vista d'occhio. sempre più capanne dimesse e villaggi senza acqua corrente, sempre meno automobili e infrastrutture per quanto basilari. 

fino a che poi in orissa le macchine spariscono quasi del tutto, con un certo sollievo da parte nostra, e le vie si riaffollano di bici e cicloriksciò, le strade a 4 corsie lasciano il posto a sgangherate ma panoramiche piste di campagna, l'insopportabile caos dei clacson è oramai solo un'eco lontana e con esso scompare anche l'inquinamento soffocante dei centri urbani del sud. e poi il west bengal, una distesa infinita di campi coltivati, risaie e alberi in fiore che salutano la primavera alle porte. un bucolico ritratto d'altri tempi che non avrebbe stonato sulla tela di un paesaggista romantico, saturo del marrone di bambù e paglia e delle mille tonalità di verde della campagna sterminata, con qualche sfumatura variopinta qua e là, a pennellare delicate note di colore, laddove se ne stanno chini a lavorare i contadini e bovi e capre pascolano placidi.

è l'apoteosi dell'india rurale, che ci richiama alla mente frammenti incancellabili della piana del gange, e come sempre ci cattura il cuore. qui, dove la gente vive sudando sulla nuda terra per ritagliarsi di che campare, il morso della povertà penetra a fondo e tutto ciò che altrove è scontato può significare la differenza tra vivere e morire. eppure delle pestilenziali montagne di rifiuti non c'è manco l'ombra, la campagna risplende di vita e amorevole cura e la miseria disumana delle baraccopoli metropolitane è distante come non mai. la società contadina tradizionale mostra il suo volto umano e “inclusivo” di composizione e coesione, in contrasto con la spietatezza del modello capitalistico che sfrutta, ghettizza e quindi scarica ai limiti della società chi non si conforma alla deformità delle sue leggi, ricacciando sotto il tappeto gli “scarti” del suo sistema fallimentare.
e poi d'improvviso, come un'epifania che interrompe il fluire dei pensieri, la strada percorsa verso nord inizia a palesarsi nelle facce sorridenti della gente che assumono i tratti misti tipici della zona himalayana.
le regioni che abbiamo sfiorato sono, insieme a bihar, jharkand, chhattisgar e agli stati nord-orientali, l'india dimenticata delle aree tribali, dove vive la variegata minoranza indigena e dove si concentra la guerriglia naxalita. il movimento dei ribelli maoisti indiani è nato verso la fine degli anni sessanta nel west bengal delle rivolte contadine contro lo strapotere latifondista dei grandi proprietari terrieri. da lì si è poi diffuso a macchia d'olio in tutte le aree meno sviluppate e prevalentemente rurali del paese. se una 40ina di anni fa il nemico da abbattere erano lo schiavismo dei landlords e l'assurda rivendicazione di anacronistici privilegi feudali, oggi sono invece le multinazionali a insanguinare le contrade più povere d'india in nome della
loro famelica brama di ricchezza. lo scopo delle grandi corporation indiane e non solo è quello di avere libero accesso allo sfruttamento dei grandi giacimenti minerari del “red corridor” e di portare a termine la costruzione dell'acciaieria o del cementificio di turno. per ottenere tutto questo sottraggono impunemente alle comunità tribali le terre che appartengono loro di diritto, costringendole a migrare altrove, hanno compiuto e compiono ogni sorta di violenze e brutalità nei confronti di civili inermi, spesso strumentalmente accusati di collusione con fantomatici squadroni naxaliti al fine di giustificare la feroce rappresaglia delle forze di sicurezza. in queste zone già altamente militarizzate la presenza dell'esercito continua ad aumentare col pretesto di tenere sotto controllo l'attività sovversiva dei naxaliti. è così che il governo di delhi si lancia in operazioni deplorevoli come la famigerata “green hunt”, il cui obiettivo dichiarato è quello di ripulire l'india dai maoisti, ma che si concretizzano poi non tanto nell'epurazione della “minaccia rossa”, quanto piuttosto in un vera e propria “caccia verde” volta all'accaparramento delle preziose risorse di cui sopra. tutto ciò, manco a dirlo, significa la repressione indiscriminata di ogni sorta di rivendicazione popolare, portata avanti per lo più da civili non politicizzati e associati ai naxaliti solo nella propaganda dei mass media. l'esercito quindi agisce con la compiacenza del governo al fine di mantenere il silenzio sull'attività illecita dei grandi gruppi industriali in nome del solito chimerico sviluppo e di eliminare ogni possibile minaccia a tali progetti per non mettere in fuga i grassi portafogli degli investitori. e così facendo contribuisce ogni giorno all'espropriazione illecita dei territori tribali, alla ghettizzazione e all'eliminazione di intere comunità di adivasi innocenti e alla distruzione dell'inestimabile patrimonio naturale del cuore verde dell'india.
terre travagliate queste, dove tuttavia la magia dell'india, almeno quella che piace a noi, trasuda da ogni pietra, da ogni campo, da ogni villaggio senza tempo, da ogni piccolo tempio di campagna e il suo respiro pulsa vitale, molto più che nel deserto delle vetrine di un megamall.



andhra pradesh

HYDERABAD

hyderabad è grande. troppo grande per il livello di saturazione da città che abbiamo raggiunto recentemente. però mica possiamo, e manco vogliamo, tirare dritto sino all'himalaya senza curiosare almeno un po' in giro. detto, fatto.
le città gemelle di hyderabad e secunderabad (la città delle perle) sono la controparte meridionale ai gioielli del passato indoislamico moghul. e infatti le chicche architettoniche da queste parti urlano a squarciagola la loro ascendenza islamica e ammantano la città vecchia di un'aura mediorientale con un trionfo di guglie, minareti, muezzin, kefiah e scritte in alfabeto arabo-persiano. con una certa dose di immaginazione quasi si riesce a intuire come doveva apparire la maestosa capitale dei sultanati qutb shahi e nizam-asaf jahi.

il biglietto da visita della città è fuor di dubbio quel charminar (4 torri) che campeggia in qualsiasi foto su cui possa capitare di posare gli occhi. e in effetti la sua fama è meritata. sia il bell'edificio in se stesso che il pittoresco bazar circostante sono piuttosto fascinosi e danno davvero l'idea di essere il centro intorno cui tutta la città si è sviluppata. eretto verso la fine del '500, il charminar celebra la fine della grande carestia, con le correlate epidemie, che aveva colpito il vicino forte di golconda e quindi la successiva fondazione delle nuova capitale dei sultani qutb shahi. l'elegante silhouette tipicamente indosaracenica e i minareti slanciati che graffiano il cielo si scorgono da lontano, provenendo da ciascuna delle quattro vie che dagli altrettanti archi ogivali si diramano in direzione dei punti cardinali. dalla cima poi la vista sul delirio sottostante da una quasi silenziosa distanza di sicurezza è impagabile.


dopo di che è la volta del forte di golconda, la splendida città-fortezza che fu capitale del regno qutb shahi del telangana per quasi un secolo prima della fatale carestia di cui sopra e fu successivamente annessa all'impero moghul nel 1687 per opera di aurangzeb, il quale riuscì ad impadronirsene solo dopo un lungo anno d'assedio. pur se oggi il sito è parzialmente in rovina l'atmosfera che si respira vagando per questo affascinante museo di pietra riesce comunque a restituire l'impressione della grandezza che fu.
e poi i palazzi chowmahalla e falaknuma, esempi del lusso raffinato dell'architettura dei ricchissimi nizam asaf jahi, dal primo settecento governatori di questa parte del deccan, prima vassalli dell'impero moghul e poi sovrani autonomi fino all'annessione del regno all'unione indiana nel 1947. quindi ancora le qutb shahi tombs, mausoleo reale dell'omonima dinastia, i tanti templi hindu e le moschee. e infine l'hussain sagar, il lago artificiale al cui centro sorge una grande statua monolitica del buddha, lì collocata a testimonianza dell'illustre passato buddhista dell'andhra pradesh, che prende avvio dal regno di ashoka nel IV sec ac e fiorisce ulteriormente con la successiva dinastia satavahana tra III sec ac e III sec. dc, per sfumare poi lentamente, assorbito dal revival hindu-giainista, fino alla definitiva conquista islamica.



VIJAYAWADA , UNDAVALLI e VISHAKAPATNAM

tappa a vijayawada, culla culturale dell'andhra pradesh, coi suoi numerosi templi, tra tutti il kanaka durga, il fiume krishna e le tante rovine buddhiste disseminate nei dintorni. da lì andiamo in giornata ai vicini templi rupestri del villaggio di undavalli, scavati nel V-VII secolo dc sotto il regno gupta e consacrati alla trimurti. splendida la grande statua dormiente di anantha padmanabha, ovvero vishnu immerso nel sonno yogico e adagiato sul sacro serpente e re dei naga anantha, e niente male pure la bella vista che dal tempio superiore si apre sulla piana del krishna, verdissima di risaie e palme.
dopo di che raggiungiamo in bus la seconda città dell'andhra pradesh, visakhapatnam, che ci ricorda troppo il delirio delle metropoli da cui siamo fuggiti, ma è famosa pure per le sue spiagge, tra le più apprezzate della costa orientale, e per i resti buddhisti che abbondano nelle vicinanze.

odisha

BHUBANESWAR e PURI

la capitale è una bolgia e noi siamo in vena di tranquillità, ma ci lasciamo comunque sedurre dalla sua architettura e dalla miriade di templi che si nascondono tra le vie del centro, nei dintorni del bindu sagar.
poi ci spostiamo qualche giorno a puri, città tra le più sacre dell'india per il suo jagannath mandir, il tempio di vishnu signore dell'universo, e il sito di cremazione di swargadwar, dove la maggioranza degli hindu dell'orissa viene a compiere l'ultimo dei viaggi, sulla spiaggia dorata battuta dal vento.

KONARK

 konark è il sito leggendario di uno dei 7 templi solari, nonchè di una delle icone del patrimonio architettonico indiano.


questo tempio stupefacente, costruito nel XIII secolo dalla dinastia dei ganga orientali per celebrare la vittoria sugli invasori musulmani, è situato in una location di grande rilevanza astronomica ed è dedicato al dio del sole. l'edificio pare quasi la mastodontica riproposizione in pietra di un calendario solare e la sua struttura simula quella di un gigantesco carro del sole, dotato di 12 coppie di ruote giganti (i mesi dell'anno e le ore del giorno), meravigliosamente scolpite lungo tutta la base del tempio, e trainato da 7 cavalli (i giorni della settimana). il dio sole è qui incarnato dalla trimurti come aspetto triplice dell'evoluzione della luce solare, per cui il sole antimeridiano è identificato con brahma il creatore, l'aspetto distruttivo di shiva evoca la potenza massima del sole meridiano e infine vishnu, il conservatore dell'universo, è il sole postmeridiano. la superficie del tempio è interamente ricoperta di splendidi rilievi che ritraggono divinità, danzatrici, musici, eventi
mitologici, scene di vita quotidiana e incontri erotici. 

oltre che per l'indubbia bellezza, il tempio è famoso anche per l'avanzata tecnologia impiegata nella sua costruzione, sintesi di elevate competenze ingegneristiche e raffinata conoscenza dei fenomeni legati al campo magnetico terrestre. gli enormi massi di pietra, perfettamente levigati, sono tra loro sovrapposti a incastro, senza alcun tipo di collante, intervallati da placche di ferro e sostenuti ai lati da pilastri anch'essi di ferro. la struttura in origine era tenuta insieme, almeno stando alle cronache leggendarie, da un sistema di magneti, di cui i due principali erano situati uno alle fondamenta e l'altro all'apice della copertura (quest'ultimo del peso di ben 52 tonnellate). il campo magnetico da essi generato avrebbe permesso all'edificio di resistere all'azione corrosiva degli agenti atmosferici, cui era particolarmente esposto data la sua posizione in riva al mare, e alla statua della divinità principale di levitare all'interno della cella. l'allineamento astronomico del tempio sarebbe stato studiato in modo che all'alba i primi raggi del sole venissero riflessi dal grande diamante collocato al centro della statua. la forza magnetica in questione finì poi col creare problemi alle navi europee che facevano porto a konark, poichè di una potenza tale da disturbarne la bussola, e perciò il magnete principale fu rimosso e distrutto dai portoghesi, o dagli inglesi a seconda delle versioni, causando la perdita di bilanciamento della struttura e il conseguente crollo di alcune sue parti. dopo la caduta di konark le effigi divine vennero trasferite nella vicina puri e custodite all'interno del jagannath temple, dove una di loro risiede ancora oggi.


west bengal

KOLKATA

un passaggio veloce perchè bramiamo da troppo l'aria fresca delle montagne. e poi abbiamo in programma di tornarci con calma tra qualche mese, perciò ci limitiamo a un paio di passeggiate che ci lasciano una prima impressione alquanto positiva. il resto ce lo teniamo per la prossima volta..


MALDA e SILIGURI

toccata e fuga, una giorno a testa. che oramai l'atmosfera pedehimalayana inebria l'aria e iniziamo ad avvertire la vicinanza gastronomica, linguistica e culturale col nepal e le regioni di etnia sino-tibeto-birmana. a malda facciamo due passi, dormiamo in stazione e poi saltiamo su un treno per siliguri e ci godiamo il tranquillo viaggio di cinque ore accompagnati dal solito paesaggio favoloso. almeno fino a quando entriamo in città attraversando la baraccopoli infinita che costeggia i binari dalla stazione di NJP fino a siliguri junction. dopo tutto il west bengal mica se la passa così bene. e pensare che il bengala era la zona più ricca del subcontinente prima che la letale colonizzazione britannica lo prosciugasse per rivitalizzare l'economia di londra. mah.. la storia è sempre quella.. per fortuna che noi il morale ce lo tiriamo su pensando a quello che da queste parti è successo in tempi più recenti, appena qualche decina di anni fa... eh sì! perchè siamo a un tiro di schioppo da naxalbari – menzione speciale per questo villaggio, a una manciata di km dal confine nepalese, che con ogni probabilità in pochi conoscerebbero non fosse per l'eroico marzo del '67, quando un centinaio abbondante di contadini armati di arco e frecce pose finalmente fine allo sfruttamento latifondista, rivendicando l'inalienabile diritto alla terra che essi già coltivavano da secoli, impadronendosi dei campi e cacciando i proprietari terrieri. i mesi di lotta che seguirono la ribellione e la feroce repressione da parte dell'esercito hanno innescato una reazione a catena da cui ha preso avvio il movimento naxalita.

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