INDIA²
- 10 – 20 gennaio 2013: KERALA
ciò
che più ci incanta del kerala sono la ricchezza e l'originalità del
suo patrimonio culturale. un tesoro tra i più affascinanti
dell'universo antropologico indiano, dovuto in parte alla morfologia
del territorio, che ha incastonato questo lembo di costa tra il mare
arabico e i ghati occidentali e l'ha tenuto per secoli isolato dal
resto del subcontinente, e in parte allo straordinario amalgama
etnico-religioso che caratterizza la regione. insieme tali premesse
hanno concorso allo sviluppo di forme espressive peculiari nel teatro
e nella danza (kathakali), nelle arti marziali (kalarippayat) e nella
devozione religiosa (theyyam). in più vagando per il kerala capita
di incappare nelle reliquie di quell'india coloniale che da sempre ha
popolato l'immaginario collettivo dei viaggiatori e esploratori di
ponente: una terra intrisa delle suggestioni dell'oriente mitico,
centro nevralgico per rotte navali e piste carovaniere lungo la via
delle spezie, esotico crocevia di genti, culture e spiritualità
eterogenee che qui ha prodotto una società multiforme, in cui la
maggioranza hindu è meno preponderante e le si affiancano nutrite
componenenti musulmane, minoranze cristiane e, fino a qualche tempo
fa, anche una piccola ma antica comunità ebraica.
KANNUR
lungo
la costa del malabar settentrionale kannur è il consueto delirio
urbano indico. primo assaggio di un thali del kerala col riso dai
chicchi ciccioni per sole 30 rupie.
PAYYANUR
e il THEYYAM
il
theyyam (termine locale malayalam per devam = dio; qui riferito per
estensione a elementi naturali, animali totemici, spiriti degli
antenati, eroi mitologici o divinità a tutti gli effetti) è
un'antichissima pratica di devozione rituale tipica dei villaggi e
dei boschi sacri (kavu) del nord malabar, ovvero la costa
settentrionale del kerala. la “danza degli dei” affonda le sue
radici nel passato arcaico delle culture pre-dravidiche e pre-ariane
dell'india meridionale, fino al cuore dei riti di propiziazione del
raccolto o in generale di captatio divinae benevolentiae
(ottenimento della benevolenza divina) delle società agricole del
neolitico. si tratta di un complesso rituale di metamorfosi divina
per cui, in seguito ad un'articolata preparazione che prevede
digiuno, preghiera e un meticoloso lavoro di trucco e travestimento,
e attraverso poi una cerimonia danzata di 12-24h, il
danzatore-officiante diviene incarnazione della divinità protettrice
del villaggio. il rito è performato nello spazio antistante il
tempio e i devoti si raccolgono intorno agli officianti, nelle
vicinanze dell'albero sacro. in apertura la cerimonia di invocazione,
in cui il danzatore appare ancora in sembianze semiumane, con un
trucco leggero e un semplice copricapo, è eseguita con
l'accompagnamento di strumenti tradizionali a percussione, canti di
preghiera e narrazione cantata dei miti legati alla divinità, spesso
connessi alla sua manifestazione nel villaggio in questione. dopo
un primo intervallo, in cui egli si cela alla vista dei
devoti, il protagonista fa ritorno in scena a metamorfosi avvenuta, con trucco
integrale e un copricapo riccamente elaborato. l'essere che fu
mortale è ora un dio, la fusione dei due piani ontologici è
compiuta e il divino mostra il suo volto a quanti lo hanno invocato. a questo punto la danza riprende, incorporando movimenti da arte marziale,
esibizioni particolari con armi e talvolta catene o strumenti di
menomazione fisica e in alcuni casi anche sacrifici di galli o altri
animali alla divinità. i diversi stadi della danza simulano i
passaggi di stato, i graduali cambiamenti di sostanza che realizzano
la metamorfosi, dall'iniziale trasformazione sul piano fisico,
all'unione metafisica della mente individuale con quella universale,
fino al totale abbandono mistico della trance estatica in cui il dio
si manifesta. il theyyam è allora per tutti il dio vivente e come
tale viene venerato dalla comunità di devoti, che eseguono la puja,
porgono offerte e mangiano il prasad (cibo sacro benedetto), in un
rapporto diretto col soprannaturale unico e straordinario, per cui è
possibile rivolgersi alla divinità senza intermediari, ascoltare
profezie e ricevere benedizioni dalla sua viva voce. infine, dopo
lunghe ore e successivi intervalli, il danzatore fa ritorno alla
forma mortale, simbolicamente evocata dalla rimozione di trucco e
copricapo e dalla riesposizione delle sue fattezze umane.
i
theyyam sono perfetti esempi del sincretismo religioso tra le forme
di culto dei popoli tribali e la tradizione induista (soprattutto
vishnuita, shivaita e shakta= relativa al culto della dea madre quale energia-potenza creatrice divina) che su di esse si è
innestata. questo particolare interessante mette in luce alcune delle
modalità di interazione tra gli indigeni del subcontinente (le
comunità adivasi) e la loro cultura e le caste indoariane. se i
brahmini si riservano l'esclusività delle cerimonie religiose del
culto ordinario gli incaricati all'esecuzione del theyyam sono
tassativamente appartenenti ai gruppi tribali indigeni e quindi alle
caste inferiori, per quella che potrebbe definirsi una forma di reazione
degli adivasi contro l'imposizione del sistema castale ariano-vedico.
inoltre il theyyam accoglie in sè elementi di tradizioni spirituali
eterogenee, dando prova di grande apertura e tolleranza religiosa,
come attestano le contaminazioni musulmane di alcuni theyyam, ma
anche sociale, come nel caso dei theyyam femminili. insomma questo
culto vivente è uno strumento unico per comprendere la dinamica
evolutiva della religione hindu e più in generale i rapporti
simbiotico-sincretici tra le varie anime della spiritualità umana.
siamo
infinitamente grati di aver potuto assistere a questo straordinario
rituale, che ci ha regalato un'esperienza davvero mozzafiato. siamo
approdati, con una buona dose di fortuna e chiedendo alle persone
giuste in giro per kannur, nel villaggio costiero di payyanur,
durante la celebrazione del chamundi e vishnumurthi theyyam, in cui
le divinità evocate sono rispettivamente la dea madre nel suo
aspetto terrifico e una delle forme di vishnu. un vero e proprio
viaggio nel tempo, indietro fino al cuore del passato ancestrale
dell'uomo, che nel malabar invece continua ad attualizzarsi di anno
in anno, vivo e potente come di rado al giorno d'oggi, e che proclama
inequivocabile la fondamentale unità del genere umano.
FORT
COCHIN
apoteosi
del kerala coloniale: porto storico e oggi tra i più trafficati del
paese; chiese, campanili e cimiteri cristiani ovunque si volga lo
sguardo; il palazzo di mattancherry; il quartiere ebraico con una
delle sinagoghe più antiche di questa parte di mondo; il bazar con
le botteghe che tuttora effondono le stesse aromatiche fragranze,
memori dei giorni in cui questo era il fulcro del commercio delle
spezie dove convergevano le rotte europee, arabe e cinesi; le cheena
vala, le reti da pesca cinesi, che tendono le braccia al mare
arabico, a testimonianza delle influenze cosmopolite di cui la storia
ha intessuto questi lidi.
IL
KATHAKALI
una
delle nostre serate a fort cochin è dedicata al kathakali.
la
forma di espressione teatrale tradizionale del kerala è molto più
che semplice recitazione espressivo-narrativa. è una complessa
combinazione di elementi di teatro, letteratura, musica, danza,
ritualità religiosa e arti marziali in una performance affascinante
e enigmatica il cui scopo ultimo è la narrazione-rappresentazione
(kali) di una storia (katha). ad essere messi in scena sono episodi
tratti dall'universo epico-mitologico hindu (principalmente da
ramayana, mahabharata e purana) che trattano le grandi tematiche e le
questioni eterne legate alla natura umana, abilmente restituite al
pubblico dallo sforzo collettivo di attori, musicisti, cantanti,
truccatori e costumisti.
il
trucco è eseguito di fronte al pubblico quale parte fondamentale
dello spettacolo vero e proprio, in quanto, anche qui come nel
theyyam, è il mezzo simbolico attraverso cui l'attore si trasforma,
dentro e fuori, nel soggetto che deve impersonare. i personaggi
tendono ad essere, più che una precisa caratterizzazione personale,
l'illustrazione di una categoria tipologica appartenente al mondo
celeste delle divinità, a quello demoniaco o a quello umano e
espressa dal colore del volto (es. verde per le creature divine e
eroiche, nero per gli essere demoniaci etc). gli attori non si
servono mai della parola ma si esprimono attraverso movimenti della
testa, del corpo, degli occhi e delle mani, in una serie complessa e
raffinata di atteggiamenti e gestualità, ciascuna con un significato
definito. l'importanza maggiore è attribuita alla mimica facciale e
alle posizioni delle mani, codificate in un vero e proprio alfabeto
di mudra (gesti), che corrispondono a precisi stati d'animo,
sentimenti e altri concetti propri della sfera dell'emozionale
umano.
uno spettacolo di kathakali induce sensazioni e suggestioni uniche. quest'arte misteriosa, più che la mera narrazione di una storia allo spettatore passivo, è la creazione dinnanzi ai suoi occhi di un mondo mitico che è in ultima analisi patrimonio comune dell'esperienza umana, è l'evocazione sublime di immagini che appartengono ad altri dove e altri quando, è l'intreccio di una connessione profonda con quel senso primordiale e innato di magia che alberga dentro ciascuno di noi.
KOVALAM,
ALLAPUZHA e le BACKWATERS
poco
di degno di nota per le strade di dette cittadine costiere, non fosse
per il giro in traghetto (rigorosamente pubblico e piacevolmente
scassato, che sennò costa un botto) lungo le backwaters, il vasto
sistema di lagune interne, bacini e canali navigabili, costellato di
foreste lussureggianti di palme e mangrovie, stormi di uccelli di
mille specie, pittoresche house-boat e sonnolenti villaggi di
pescatori.
TRIVANDRUM
la
capitale è come sempre la bolgia caotica delle grandi città del
subcontinente. solo il sri padmanabhaswamy temple e i suoi dintorni
riescono a salvare parzialmente la situazione.
PADMANABHAPURAM
grazioso
palazzo in thek si trova già in tamil nadu ma è amministrato dal governo
federale del kerala, in quanto residenza reale della dinastia
travancore che ha regnato sul kerala e kanyakumari tra XVI e XIX
secolo.
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