INDIA³
22 giugno - 20 luglio 2013: himachal
pradesh
:::PARTE
PRIMA:::
SHIMLA
una
strada tortuosa e panoramica sale dalla piana lungo le pendici delle
colline fino a shimla, la capitale dell'himachal, adagiata su un
vasto crinale a 2200 mt d'altezza e, stando a quanto dicono i suoi
abitanti, costruita su sette colli come la nostra roma.
ennesima hill station, capitale estiva del raj britannico, ricavata
dagli inglesi lontano dall'afa della pianura e dalle zone malariche,
la città conserva uno spiccato sapore mittel/nord-europeo e british
insieme, evidente in modo particolare nelle case coloniali di legno e
nelle chiese neogotiche che si incrociano per le vie del centro. the
mall,
la zona pedonale, corre lungo il crinale medio ed è un susseguirsi
di edifici europeggianti, negozi di souvenir, localini trendy di
ispirazione occidentaloide e ristoranti multicuisine affollati di facoltosi turisti indiani in vacanza. più sotto, lungo le viuzze
acciottolate che da the mall digradano verso la vecchia stazione
degli autobus, ci si rituffa nell'atmosfera incasinata più
tipicamente indiana dei middle e lower bazar, densi di botteghe,
ristorantini economici e bancarelle dove sfondarsi di deliziosi veg
momo a 20rs, accompagnati nella versione di shimla da un'inedita
salsetta tricolore che richiama la bandiera nazionale.

REWALSAR

la
sacralità del sito è connessa per i buddhisti alla figura di guru
rinpoche (in sanscrito padmasambhava - nato dal loto), il maha siddha
tantrico che da qui partì nell'VIII secolo per diffondere il
tantrismo in tibet (vajrayana), mentre per i sikh è legata alla
temporanea permanenza in loco del decimo guru gobind singh. gli hindu
invece rendono omaggio a rishi lomas, che qui fece penitenza in nome
di shiva. inoltre sulle alture che circondano rewalsar sikh,
buddhisti e hindu dell'india del XVI sec si riunirono per elaborare
una strategia difensiva contro le repressioni religiose condotte dai
mughal. oggi le sponde del lago sono invase di pacifici pellegrini,
ristorantini e negozi di souvenir.
DHARAMSALA
e MC LEOD GANGJ
la
sede del governo tibetano in esilio è un piccolo insediamento
commerciale di collina, 10km a nord della più vasta e industriosa
dharamshala, preso d'assalto di continuo da orde di turisti indiani e
stranieri, attirati in loco dalla presenza del dalai lama e della
nutrita comunità di tibetani che lo ha seguito nella sua fuga del
1959, in seguito alla penetrazione dell'esercito maoista in tibet.
anche
se non possiamo non ammettere una certa reticenza, finiamo per
andarci comunque, perchè non sappiamo resistere alla tentazione di
vedere coi nostri occhi e più da vicino questo “fenomeno” che è
da un bel pezzo sulla bocca di tutti.
e
qui apriamo una parentesi.
premessa
la totale assenza in noi di ogni sorta di pregiudizio antibuddhista o
antitibetano, donde si cagioni questa nostra perplessità iniziale è
presto detto: pur se a muoverci sono sempre un profondo rispetto e
una curiosa attrazione per la cultura umana in ogni sua forma, e non
ultimo il nostro vivo interesse storico-antropologico-esoterico per
la tradizione filosofico-religiosa tanto hindu quanto buddhista,
siamo cionondimeno critici e diffidenti nei confronti delle dinamiche
di potere sottese a tutte le gerarchie e le cricche elitarie
appartenenti a qualsivoglia religione e/o ideologia di questo mondo.
per di più se queste sono espressione di concezioni profondamente
patriarcali e tristemente sessiste come i sistemi religioso-cultuali
di matrice semitica delle nostre parti o le omologhe tradizioni
fiorite nel subcontinente post-vedico (le stesse che, a onor del
vero, apprezziamo sinceramente per il loro prezioso contributo ad
altre sfere dell'esperienza e dello scibile umani). a quanto pare
nemmeno la teocrazia lamaista tibetana sfugge a questa logica,
checché se ne possa dire nei circoli filobuddhisti d'occidente, per
i quali questa è espressione di una compagine di guru illuminati di
elezione divina, che da tempo immemore operano per il bene
collettivo, e la figura mai così universale del dalai lama incarna
proprio quel leader lungimirante e spiritualmente evoluto che tanto
manca all'occidente. permetteteci di essere un tantino critici nei
confronti di cotanta (troppa!) grazia, se non altro perchè la
posizione prevalente pare lasciarsi accecare dalle sole luci della
questione e rifiutarsi categoricamente di vederne le ombre, pur se
qui come ovunque presenti, finendo per farsi dirottare da una
quantomai scarsa obiettività storica. un pizzico di onestà
intellettuale nella valutazione degli eventi non guasterebbe,
potrebbe anzi evitare i giudizi affrettati e superficiali per i quali
assistiamo di continuo alla totale idealizzazione del mondo tibetano
come se questo non fosse sottoposto alle leggi del divenire umano e
storico sottese a qualsiasi altra civiltà, come se non gli
appartenessero tanto le eccellenze quanto le nefandezze che hanno
caratterizzato e caratterizzano ogni altro popolo sulla terra, come
se, e questo è pure peggio, non si potesse aspirare alla verità
storica in merito alle vicende che lo riguardano senza essere
tacciati di complottismo o associati a chissà quali abomini
razzisti. quanto appena affermato non significa colpevolizzare i
tibetani, i quali non è affatto nostra intenzione denigrare
gratuitamente, anche perchè le nostre esperienze con loro sono state
sempre oltremodo deliziose e infarcite di sorrisi sinceri. si tratta
solo di rifuggire le costruzioni stereotipate dell'intellighenzia
di
casa nostra,
che si dimostra ancora e sempre incline a invasamenti pseudofanatici
e al culto ossessivo della personalità.
in
più relativamente alla questione tibet, fatto salvo il sacro diritto
del popolo tibetano all'autodeterminazione e alla salvaguardia del
proprio patrimonio culturale e la condanna di ogni violazione dei
diritti umani da qualsiasi parte essa provenga, cinese inclusa, ci
chiediamo perchè manco una parola sia stata spesa dai sostenitori
del free
tibet
sui contributi alla causa del dalai lama versati a partire dagli anni
'50, tanto in denaro (e si tratta di somme piuttosto ingenti per
passare inosservate!) quanto in segreto addestramento militare di
guerriglieri, da parte del governo degli stati uniti e della cia,
notori ambasciatori senza macchia dei diritti umani in ogni angolo
del globo (!). gli stessi diritti umani con cui sua
santità
si riempie la bocca nei suoi appelli contro l'occupazione del tibet e
il “genocidio culturale” del suo popolo da parte cinese, ma che
egli pare ignorare del tutto quando si dice favorevole alle “guerre
di liberazione” (leggi bagni di sangue e crimini contro
l'umanità) condotte dai tagliagole usa-nato in serbia, afghanistan,
iraq etc etc etc. questo soltanto basterebbe, dato che i suddetti
paladini di democrazia, tolleranza e libertà mai mossero un dito se
non per il loro lauto tornaconto, per lasciarsi andare a ogni sorta
di dietrologie e smontare tutte le ricostruzioni forzate e
propagandistiche atte a disinformare, a occultare la versione scomoda
di una storia che si racconta purtroppo in una prospettiva
unidirezionale, a idealizzare una parte demonizzando a 360 gradi
l'altra (ovvero quel gigante cinese che proprio negli stessi anni
stava emergendo quale nuovo maggiore contendente all'impero
capitalista made in usa).

e
perchè mai poi, se non per una propaganda pianificata, il diritto
alla libertà e all'indipendenza dei tibetani è sbandierato dai
circoli sinistroidi di mezzo mondo mentre le analoghe rivendicazioni
di altre minoranze cinesi, come gli uiguri dello xinyang, sono
passate sotto silenzio? beh, certo dalle nostre parti i musulmani e
il corano vanno molto meno di moda della tunica amaranto e dei
sutra-tantra buddhisti! e il dalai lama sa bene come vendere la sua
immagine e la sua verità nel migliore dei modi, a suon di giri del
mondo, conferenze, iniziazioni-show ai misteri del kalachakra sempre
più frequenti e conferite anche in occidente, proficue trovate
pubblicitarie, sponsor illustri e apparizioni in copertina su
playboy. i vari richard gere, steven seagal e robert thurman devono
averlo dettagliatamente istruito su come ci si deve muovere sotto i
riflettori.
infine,
divagazioni a ruota libera a parte, noi abbiamo ancora davanti agli
occhi lo sfarzo in cui si trastullano i monaci dei monasteri tibetani
del nepal mentre, appena fuori dalle fortificazioni in cui si
incastellano, i contadini hindu nepalesi manco hanno l'acqua corrente
e vivono in capanne che dire dimesse è un eufemismo bello e buono. a
ognuno la sua conclusione.
noi
chiudiamo la parentesi, ché ci siamo dilungati pure troppo.

MANALI
e VASHISHT
disteso
su di un fresco crinale verso il confine settentrionale della
lussureggiante kullu valley, che abbonda di paesaggi quasi alpini da
cartolina con ripide vallate boscose, villaggi di casette tipiche,
immense foreste e torrenti azzurri che scrosciano
sonoramente, se ne sta un altro dei fiori all'occhiello della
macchina turistica indiana. la piccola ma popolarissima manali,
famosa forse più per il charas
che
per le altre sue attrattive,
sorge sulle sponde del beas, lo stesso fiume presso cui alessandro
magno dovette arrestare la propria campagna di conquista delle terre
d'asia.

di
là del beas c'è poi vashisht, altro covo piuttosto improbabile di
hippie nostalgici, in cui c'è poco da vedere a parte un paio di
templi, una cascata, un monastero buddhista e la famigerata sorgente
di acqua calda dove gli indiani fanno il bucato, lavano i piatti o si
intrattengono per la toeletta quotidiana.
in
compenso manali regala superbe passeggiate in frutteti ombrosi o in foreste odorose di pini e cedri, e questo anche senza andare
lontano, perché il nehru park in pieno centro è un incanto.
:::FINE
PRIMA PARTE:::
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