INDIA³
22
giugno - 20 luglio 2013: himachal
pradesh
:::PARTE
SECONDA:::
SPITI
spiti,
la “terra di mezzo”, è una valle transhimalayana dell'himachal
pradesh nordorientale che si estende, come il nome eloquentemente
anticipa, al confine tra due mondi da sempre in comunicazione, ovvero
india e tibet. come il ladakh anche spiti infatti può essere
considerata quasi un frammento di tibet entro i confini indiani, sia
per quanto riguarda la morfologia del territorio, che è affine al
deserto freddo dell'altopiano tibetano, che per le sue
caratteristiche culturali, essendo una zona a maggioranza buddhista
(buddhismo vajrayana), dove si parla una lingua tibetana e
la popolazione ha i tratti tipici delle genti d'oltre-himalaya.
siamo
invero curiosi. e allora si parte.
lasciamo
manali all'alba a bordo di un autobus che più pieno non si può. la
strada percorre il margine settentrionale della kullu valley, tra
foreste lussureggianti, prati verdi e pascoli di alpina memoria,
cascate che scintillano nel sole, piccoli villaggi montani e sullo
sfondo giganti di neve di una bellezza commovente. poi, all'ombra
delle vette maestose, la statale prende a salire lungo ripidi
tornanti, da cui si godono vedute indimenticabili, su fino ai 3978 mt
del rohtang la,
che
segna l'ingresso nella bella lahaul valley. il primo dei 2 passi che
dobbiamo attraversare per raggiungere spiti porta il nome
incoraggiante di pila
di cadaveri,
ma il panorama è sempre incantevole e il nostro autobus scende
in fretta fino al bivio per keylong e il ladakh, lasciandoselo subito
alle spalle e svoltando ad est lungo un'improbabile pista sterrata che
corre su di un letto di massi e che l'asfalto certo non l'ha mai
visto. e in fondo è molto meglio così. proseguiamo fino al limite
della valle lungo il corso del chandra river, osservando ipnotizzati
il paesaggio farsi più roccioso e perlaceo e il verde scomparire man
mano che avanziamo, fino a quando la strada inizia a salire di nuovo
verso il prossimo passo serpeggiando su di un mare ghiaia.
in un
nugolo di polvere grigiastra l'autobus si arrampica fino ai 4551 mt
del kunzum la, dove si ferma una mezzoretta per consentire ai devoti
buddisti di pregare presso gli stupa sulla cima, mentre noi
contempliamo la distesa brulla e immacolata di pascoli silenziosi
dove yak e pecore pasteggiano placidi, incorniciati da ghiacciai e
montagne innevate. ci guardiamo increduli, perchè certo mai avremmo
immaginato di poter ammirare tali scorci di meraviglia himalayana dal
finestrino di un autobus! dal kunzum la scendiamo lentamente lungo la
gola scavata dallo spiti tra montagne di mille colori che, non fosse
per i 4000 metri slm, ci ricordano l'altopiano desertico iraniano, le
colline surreali e i camini delle fate della cappadocia, i paesaggi
dell'anatolia centro-orientale o i canyon rossastri del sinai e di
petra.
l'ingresso nella spiti valley è quasi uno shock estetico, i
sensi vacillano per un attimo, disorientati di fronte alla pioggia di
luce che li investe come un'epifania nelle giornate di sole o fende
d'improvviso le nuvole rapide in quelle velate, e al trionfo di
colori che accende il grigio perlaceo e glaciale di lahaul di
tonalità vivaci, in seducente contrasto con un cielo che è blu come
non mai, come può essere solo quassù, un blu così profondo, denso
e avvolgente che con un salto quasi pare di potervisi immergere. a
fondovalle intanto il fiume scivola sereno e si ramifica in mille
tentacoli brillanti, disegnando geometrie armoniche di meandri
sinuosi e anse arabescate e scolpendo incantati castelli, megaliti
formosi e piramidi appuntite con la sabbia d'argento delle sponde. lungo le
rive esplodono il verde acceso dei campi d'orzo e il giallo e viola
dei fiori e tutto intorno risplendono immacolate le fortezze di
roccia e i picchi innevati del pir panjal e dell'himalaya. ci
addentriamo dolcemente, e ai 20 all'ora, nella surrealtà di questo
panorama sublime, incappando lungo la strada in una manciata di
villaggi sonnolenti, che galleggiano fuori dalle leggi dal tempo e
dallo spazio come le si conosce altrove, fitti di bianchissime
casette tradizionali, con finestre azzurro cielo incorniciate di
nero, e bassi muri di pietra a delimitare gli appezzamenti dove
incredibilmente i contadini coltivano patate, piselli, fagioli e
cipolle a oltre 3500 m d'altezza.
infine, attraverso il nulla
densamente poetico che spazia tra un villaggio e l'altro, arriviamo a kaza,
il capoluogo amministrativo di spiti, poco più che un paesello con
un monastero scintillante, il centro vecchio con strette viuzze e
casette tipiche, il bazar e la zona nuova con uffici e affini. da
kaza faremo un giro lungo la valle, limitandoci al solito alle mete
raggiungibili coi mezzi pubblici, per rendere la nostra visita più
economica e ecologica possibile.
fino alla dolce tabo,
47 km più dentro il cuore della valle, lungo la tibet-hindustan
highway, ci arriva in questo periodo un solo autobus. in seguito
all'alluvione di giugno che ha isolato kinnaur (la valle che da spiti
scende verso rekong peo e shimla), fatto cadere una sacco di neve e
franare porzioni consistenti di montagna, alcuni tratti di strada
sono infatti chiusi e in altri il transito è concesso solo alle
jeep. non potendo proseguire oltre ci fermiamo qui, niente affatto
delusi perchè tabo è un piccolo gioiello: è incastonata dove la
valle si restringe un po', racchiusa da montagne amaranto striate di
nero-bluastro, in posizione lievemente rialzata lungo le sponde del
fiume e circondata da campi coltivati e frutteti. un'appuntita vetta
innevata marca il confine india-tibet e fa da sfondo più che mai
fotogenico alla sagoma del vecchio gompa che sorge al centro del
villaggio. importante centro di studi fondato dal grande traduttore
lotsawa
rinchen tsangpo,
il tabo gompa è un esempio splendido e ben conservato
dell'architettura locale del X secolo, costruito in mattoni di fango,
con una sala di preghiera meravigliosamente affrescata e decorata da
un'incantevole teoria di statue lungo tutto il perimetro interno.
intorno al monastero piccole viette tortuose fiancheggiate da mura di
pietra sono attraversate da sottili rivoli d'acqua, incanalata dal
fiume per irrigare le colture, e ad ogni angolo che giriamo il
panorama ci pare quello tipico di un villaggio del deserto iraniano o
della cappadocia.
da
tabo facciamo dietro-front e torniamo a kaza, dove aspettiamo la
bellezza di 6h la partenza dell'unico bus quotidiano che copra i 20km
fino a kibber,
un villaggio incredibile, appollaiato sulla cima di un arido crinale,
a 4250 m d'altezza, di una bellezza a dir poco surreale e immerso in
paesaggi mozzafiato. lungo le vie polverose sferzate dal vento si
incontrano bianche casette meravigliose, tra cui vagabondano yak,
capre, mucche, asini, contadini, pastori, bimbi sorridenti con le
guanciotte rosse e nonnetti di una leggiadria che scioglie il cuore.
sopra i tetti piatti cosparsi di paglia e fasci di legna brilla quasi
sempre il sole e il cielo è splendidamente blu e, anche se tutto
quello che abbiamo intorno è quasi troppo bello per crederci, non si
può ignorare quanto sia dura la vita in questa terra sublime ma
difficile, in cui sopravvivere di stagione in stagione significa
assecondare i ritmi della natura, strappare al deserto lembi di terra
da coltivare a suon di canali d'irrigazione, insomma condurre un'esistenza
dal fascino d'altri tempi, in cui le comodità sono più che esigue e
gli inverni lunghi e polari e si riesce appena a godere della calda
estate che già tocca seccare il cibo e a fare scorta per affrontare
il gelo.
ci fermiamo un paio di giorni così possiamo gironzolare per
il villaggio e anche fare una passeggiata, che ci delizia con viste
mozzafiato sulla valle, sulla gola del fiume, sulle montagne innevate
e sulla piana coltivata multicolore, fino a kyi,
un
altro villaggetto delizioso poco meno di 10km più in basso. sulla
collina spoglia che troneggia sopra le case si trova il kyi
gompa,
il
più
grande
monastero buddhista di spiti (XI secolo), che emerge fotogenicamente dalla roccia grigio-ocra e si staglia contro il solito cielo blu.
diamo un'occhiata alla collezione di thangka e antichi manoscritti, poi sediamo ad ammirare la vista incantata sulla valle sottostante,
insieme a un'orda chiassosa di bimbi sorridenti in gita scolastica,
coi quali condividiamo un sorso di chay e qualche morso di tu cake
(una torta tibetana), e quindi osserviamo un gruppetto di monaci giocare
una partita di pallavolo ad alta quota. sulla strada del ritorno
dalle finestrelle del villaggio tenere vecchiette rugose ci salvano
dall'evaporazione offrendoci provvidenziali litri di acqua fresca.
da
kibber ce ne torniamo ancora estasiati verso kaza e l'indomani
lasciamo spiti, non senza un lieve rimpianto. l'autobus parte alle 6
passate alla volta di gramphu sotto un cielo limpidissimo e avanza
tra il fiume e le montagne di roccia grigiastra per poi sterzare
verso ovest, zigzagando tra prati punteggiati delle sagome colorate
di cavalli e yak che pascolano tra mille fiori variopinti.
incollati
al finestrino, volgiamo lo sguardo indietro, indulgendo nella
piacevole sensazione che ci accompagna, come se la nostra voglia di
viaggiare si fosse rinnovata, abbeverandosi presso chissà quale
magica fonte, grazie al fascino immortale di quello che è senza
dubbio uno dei posti più belli sulla faccia del nostro pianeta. una
terra di frontiera, dove il turismo è penetrato solo a partire dal
1993 e che quindi prima di allora galleggiava sospesa nella sua
poesia senza tempo. un microcosmo fragile in cui bisogna addentrarsi
con passo felpato e consapevole, in punta dei piedi, facendo
attenzione a non alterare l'equilibrio delicato che lo mantiene in
bilico tra due mondi, e soprattutto partirsene avendo cura di non
lasciare dietro di sé tracce troppo evidenti del proprio passaggio,
tentando di esplorarlo per quanto possibile a impatto zero.
per
gli spazi infiniti tra queste montagne sembra di vagare sospinti
dallo stesso alito invisibile che anima pietre, fiori e ruscelli,
d'udire il respiro della terra muovere nel silenzio sovrumano che li
attraversa, di avvertire una forza vibrante emergere da sotto i piedi
e avvolgerci in ogni direzione.
e
poi la maestà del kunzum là ci strappa all'abbraccio di spiti e ci
catapulta di nuovo a lahaul.
LAHAUL
e BAGHA – da spiti al ladakh
col
bel tempo i prati brulli del kunzum la sono un posto in prima fila per
ammirare lo spettacolo singolare dei tre maestosi ghiacciai
illuminati dalla luce del sole. quindi la strada scende serpeggiando
lungo tornanti ghiaiosi e subito il paesaggio muta drasticamente:
niente più verde, solo un desolato ma sublime scenario lunare, con
montagne grigio perla, vette innevate e ghiacciai millenari a
incorniciare il letto del chandra river.
passiamo il bivio per il
chandratal e ci fermiamo a battal,
dove due nonnetti adorabili servono dhal rice, uova sode, paratha e
chay nel solito dhaba d'alta quota, sperduto in mezzo a km e km di
nulla immacolato. di là la strada prosegue intersecando i torrenti
che tributano al chandra, guadando ruscelli che colano dalle
montagne, e che il disgelo ha ingrossato per bene, e a volte
percorrendo il letto vero e proprio del fiume. poi inizia a comparire qualche filo d'erba
tra i sassi, quindi una distesa di prati costellati di giganteschi
massi surreali e cascate sempre più copiose, che scendono dai
fianchi muschiati dei monti.
a chhatru
un cartello ci informa che siamo a 3535 mt e che la
popolazione locale conta ben 120 anime, anche se intorno non si vede
altro che una manciata di dabha, di cui spesso solo uno è aperto, e
manco una casa degna di tale nome. chhatru comunque costituisce una
tappa obbligata di rifocillamento per tutti i veicoli che transitano
qui in direzione di spiti, prima di addentrarsi ulteriormente
nell'immensità silenziosa delle valli himalayane. nella direzione
opposta lahaul si tinge invece sempre più di verde fino a che si
arriva a gramphu,
un incrocio con due dhaba e nulla più proprio sotto il rohtang la,
dove scendiamo per un the e attendiamo l'autobus delle 17 in arrivo
da kullu.
la statale da qui in avanti segue il corso del bagha river e arriva, una cinquantina di km e 4h (!) dopo, a keylong,
la capitale del distretto, una piccola città divenuta popolare quale
sosta notturna per gli autobus diretti che fanno la spola tra leh e
manali, in cui si può piacevolmente passare qualche giorno a
studiare l'abbigliamento originale delle donne locali, vagare per il
piccolo bazar e gustarsi l'atmosfera intrigante da terra di confine.
:::FINE:::
Nessun commento:
Posta un commento