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5 ottobre - 22 novembre 2012: TURCHIA e IRAN

PRIMA PARTE

istanbul, quarta volta. e la nostra città preferita non tradisce mai..

sarà per l'estrema poesia del suo essere adagiata su due continenti, ponte tra mondi che se la intendono da sempre e nel suo fascino impareggiabile convergono in seducente armonia, cocktail prelibato di culture e genti, sfondo intrigante per milioni di vite che si sfiorano, porto sicuro in mari fecondi che rovesciano le acque l'uno dentro l'altro, babele di lingue che si intrecciano, capitale dai mille nomi, bisanzio, costantinopoli, la nuova roma, crocevia di piste antiche e nuove che vanno e vengono di lontano, ombelico eurasiatico e sublime porta della madre asia, sacra e profana, laica e devota, intessuta di suggestioni d'oriente e d'occidente, moderna e ansiosa di futuro pur se nostalgica e decadente, silenziosa e assordante ma comunque musicale, prodiga di delizie da assaporare di giorno e di notte, frenetica nella vita intensa che la attraversa incessante, malinconicamente rivolta verso i fasti del suo ineguagliabile passato, di una bellezza quasi sfiorita e perciò più seducente, per sempre custode e testimone dell'unicità complessa e multiforme del genere umano.




la lasciamo al solito controvoglia, comunque curiosi di esplorare dogubayazit e l'incantevole gioiello architettonico ottomano che è l'ishak pasha sarayi, entrambi a una manciata di km dal confine iraniano. un paesaggio a dir poco favoloso incornicia la vetta di biblica memoria del monte ararat, il cui nome si perde nella notte dei tempi in un vortice di storia e leggende che affonda le sue radici all'alba dell'umanità. i curdi ci accolgono, e "accolti" non rende che eufemisticamente come ci sentiamo: questo popolo che ha sofferto e che soffre, eppure sorride col cuore alla vita e allo straniero qualunque che bussa alla sua porta, mai sa negare la sua sincera ospitalità e quattro chiacchiere liete davanti a un sorso di çai bollente.



poi salutiamo la turchia una volta ancora, con in tasca le solite 10lire a propiziare un ritorno che ci auguriamo non troppo lontano.

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il primo approccio all'iran è con le regioni settentrionali dell'azerbaijan, in cui vive la minoranza azera. la loro bella lingua turca e la cucina ancora memore di anatoliche delizie stemperano il 
nostro passaggio da una all'altra terra in una transizione dolcemente graduale. la prima cosa che constatiamo è come l'incredibile accoglienza di cui ci hanno tanto narrato sia molto più che un dato di fatto: per raggiungere tabriz in economia l'idea è quella di prendere il primo autobus che passa e quindi iniziamo a guardarci intorno, finchè..ma quale bus?!, reza, il ragazzo azero che abbiamo incontrato sul minibus per il confine, opta inspiegabilmente per un taxi, ci invita a seguirlo, e non c'è verso di rifiutare, e poi ci offre pure la corsa di 280km fino alla sua città!; una volta lì non ci molla fino a quando troviamo un posto dove dormire e poi ci lascia con un sorriso e un "ora che siete sistemati sono tranquillo!"; più tardi facciamo un salto a recuperare un mappa  all'ufficio turistico dove incontriamo nasser, che ci propone una colazione insieme per la mattina seguente e ci porta a fare un picnic al parco el goli, dove ci sfondiamo di ottimo pane appena sfornato, formaggio e marmellata di rose, tutto sponsorizzato da lui perchè a suo dire noi lo ripaghiamo ampiamente concedendogli di esercitare il suo italiano;


la sera il primo sconosciuto cui abbiamo sorriso al ristorante insiste per offrirci la zuppa e dobbiamo impegnarci sul serio per farlo desistere; e poi tutti lungo la strada ci salutano, dispensano sorrisi e gentilezze disinteressate; gli inviti per un chay e due chiacchiere piovono ininterrotti a destra e a manca; ogni occasione è buona per i passanti per porci mille e una domanda sul loro paese, sull'impressione che ce ne siamo fatti, sulla differenza tra quello che si percepisce dall'esterno e la realtà effettiva, e quasi ogni conversazione finisce con lo stesso ritornello: "il nostro governo fa schifo". non possono sapere quanto questa amara realtà ci accomuni. una manciata di giorni e già abbiamo fugato gli eventuali dubbi sul carattere e la tempra del popolo iraniano.

da queste parti la gente è colta e raffinata, decisamente più della media. per rendersene conto è sufficiente scambiare due parole coi bazari, magari fermandosi per un the nella loro bottega, o col primo venditore di tappeti di esfahan che ti abborda: di certo nell'edificante mezzora che segue ti illustrerà le caratteristiche dei tappeti persiani, del simbolismo dei motivi decorativi e la storia delle tribù che da secoli tessono questi gioielli preziosi, anche quando hai già chiarito in maniera inequivocabile che non hai intenzione di comprare alcunchè. 
non è poi raro incappare in conversazioni stimolanti sulla poesia persiana e discutere di cinema italiano con il tuo vicino di posto sulla metro a teheran, o lamentarsi della tristezza desolante in cui ristagna il panorama politico attuale col panettiere. o magari accettare l'invito del primo che ti offre l'ennesimo the lungo la strada e finire a discutere per ore di capitalismo e globalizzazione, dell'euro e del tracollo dell'europa meridionale, della situazione in siria, della quotidianità iraniana. il tutto sempre all'insegna di una pacata onestà di giudizio che implica una matura razionalità di vedute, una consapevolezza obiettiva e scevra degli stereotipi che affliggono l'opinione pubblica indottrinata del nostro occidente.


ecco, un altro popolo che avrebbe chissà quanto da dare al mondo e invece se ne langue tra l'instabilità di un rial svalutatissimo e la morsa soffocante di un embargo insensato, cosa che ci consente incredibilmente di cavarcela con un budget nepalese in un paese del tutto sviluppato e molto più occidentalizzato della vicina siria; un altro popolo sputtanato dalla propaganda fondamentalista dei nostri mass media che sanno solo assolutizzare e stereotipare e, essendo  votati alla causa della DISinformazione, banalizzano rigorosamente la complessità del contesto etno-socio-culturale di questa parte del mondo; un altro popolo meraviglioso in mano a un governo di pazzi corrotti -no, non stiamo parlando solo di ahmadinejad ma della cricca del consiglio della rivoluzione in tunica e turbante, che tiene ben saldo nelle sue "santissime" mani il guinzaglio del parlamento, in un trionfo di totalitarismo teocratico in salsa sciita a dir poco anacronistico ma tristemente attuale. un momento però, mica ci stiamo associando ai cialtroni di casa nostra che, quando si parla di medioriente turco-arabo-persiano, non sanno fare altro che denunciare fantomatiche dittature (come se da noi quella ridicola farsa si potesse chiamare democrazia) e sbraitare di crimini contro l'umanità (chi se ne va in giro a bombardare civili innocenti, a esportare la giustizia sociale che manco ha mai conosciuto in casa sua e a dare lezioni di libertà a popoli antichissimi che le palle ce l'hanno davvero e lo dimostrano da millenni??). no, ci limitiamo a riportare la pressante sede di laicità che ci è sembrato spinga la stragrande maggioranza degli iraniani con cui abbiamo avuto a che fare a criticare l'operato del consiglio della rivoluzione e ad aspirare ad un cambiamento, anche se non nel senso in cui se lo prefigurerebbe l'occidente malato. gli iraniani non esitano ad ammettere che, per mantenere lo status quo, l'ayatollah talvolta non si è tirato indietro nemmeno di fronte all'oppressione violenta del suo stesso sangue e al rischio di distruggere la sua stessa terra (il che a guardar bene è proprio quello che si augurano gli avvoltoi a stella/e e strisce; coincidenza quantomeno sospetta), ma sono altrettanto consapevoli del fatto che spetta a loro (e ne hanno davvero tutte le capacità, molto più che i colleghi lobotomizzati di europa e stati uniti) realizzarlo il suddetto cambiamento, senza interferenze da parte di sanguisughe nostrane. detto ciò ci sentiamo anche di dire che, nonostante le limitazioni oggettive alla libertà personale imposte da uno stato confessionale e teocratico, in iran non siamo certo di fronte al folle fondamentalismo talebano da fratellanza musulmana di cui si parla da noi in TV. qui ad esmpio le donne in fondo se la passano di gran lunga meglio che in india, sia per quanto riguarda tasso di alfabetizzazione e accesso all'istruzione di livello più elevato che per le condizioni di vita in generale. e da ultimo consigliamo a chiunque sia interessato a conoscere un pizzico di verità sull'iran di considerare sempre con uno sguardo più che critico tutte le accuse di abuso e discriminazione nei confronti delle donne o di violazione dei diritti umani etc, perchè spesso dietro le cause apparentemente sacrosante portate avanti a spada tratta dai sinistroidi di casa nostra si nascondono menzogne e manipolazioni atte a giustificare la demonizzazione del paese in questione e l'intervento "salvifico" dell'occidente (come nel caso della rivoluzione verde o di alcune denunce di violenza o di censura dimostratesi poi architettate ad hoc e del tutto false). 


noi intanto ci godiamo tabriz, con il suo bel bazar e la grande moschea, che per prima ci inizia allo splendore blu dell'onnipresente decorazione maiolicata iraniana.
quindi andiamo ad ardabil per dare un'occhiata allo spettacolare mausoleo dello sceicco safi od-din, altra esplosione di blu in mille sfumature.
poi tocca muoverci in direzione di teheran, anche perchè abbiamo bisogno del visto indiano, e così ci perdiamo nell'intrico di strade deliranti d'inquinamento che è la capitale iraniana, in cui un po' di pace la regalano solo le moschee, i parchi, il museo nazionale e le sale baroccheggianti del palazzo del golestan. 

FINE PRIMA PARTE


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