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INDIA² - 23 novembre – 3 dicembre 2012: MAHARASHTRA
 di nuovo in india, in questo mosaico di mondi compositi e contraddittori, dal fascino che travolge e talvolta sconvolge.
privi come siamo del visto per il pakistan, ci tocca volare da teheran.. stavolta pero' andiamo a mumbai, perchè l'idea che ci stuzzica da un po' è quella di un tour del sud che parta da lì per raggiungere kolkata o, perchè no?, le regioni himalayane orientali, passando per kanyakumari, estrema propaggine meridionale del subcontinente.

e allora il punto di partenza è il vasto stato del maharashtra, che abbraccia un gran bel pezzo di india centrale, dalla costa occidentale alle alture del deccan, ed è tra i più ricchi dell'unione. anche fuori mumbai abbondano le auto, una rarità in altre zone del paese, le strade non sono un colabrodo ma vere e proprie highway a corsie multiple e pure le tracce della vita rurale sembrano  riflettere il tenore di vita generalmente più alto.
 



 da qui in poi ci si muove nel sud dei grandi poli industriali dell'Information Tecnology, la forza motrice del pil nazionale che sta trascinando l'economia indiana ai vertici del panorama asiatico e mondiale. oltre alla massiccia produzione software e hardware, un'altra voce importante della macchina economica  indiana è l'industria cinematografica, fiorente come non mai da bollywood a hyderabad, da chennai a bangalore: sono queste le grandi metropoli del sud che incarnano il desiderio di occidentalizzazione della corposa classe medio-alta indiana e l'ansia di affrancarsi dalle ristrettezze antimoderne cui si associa la civiltà contadina. il copione guardacaso è sempre lo stesso: nel microcosmo individuale si è spinti al consumismo più sfrenato, a plasmare la propria esistenza sui modelli televisivo-commercialoidi per cui la realizzazione è aderire a precisi standard di successo e la felicità si identifica con la carriera e lo spessore del portafogli; nel macrocosmo nazional-globale c'è la privatizzazione a oltranza dei beni comuni, la proliferazione delle corporation che operano dovunque al di sopra delle leggi, l'abbandono delle competenze manifatturiere tradizionali, la spoliazione delle ricchezze delle zone rurali, lo sfruttamento e la devastazione senza ritorno del territorio, etc etc. sono in pochi a conoscere il rovescio della medaglia, come a dire che il livello di consapevolezza dei limiti impliciti nel modello occidentale è pari a zero. anzi sono gli strati più umili della popolazione, come spesso accade, i più sensibili in tal senso e quelli dotati di maggiore coscienza del pericolo che comporta l'estinzione, o la contaminazione irreversibile, del mondo contadino. l'india rurale è depositaria di un patrimonio inestimabile di esperienza e abilità, sia agricole che artigianali, e la sua dimensione originaria di rispetto e simbiosi con la natura, di profonda conoscenza e attenzione per i suoi cicli, è ancora vitale nonostante gli sforzi corrosivi della rivoluzione verde e dell''avanzata miyazakiana di Indastria. a tratti talmente vitale da sembrare ai nostri disillusi occhi occidentali l'unica salvezza possibile  per l'india, la stessa salvezza che l'occidente si è negato e che accresce in noi la triste nostalgia pasoliniana per l'italia contadina che non c'è più. chi vivrà vedrà.

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MUMBAI
 sono da poco passate le 4 di mattina quando atterriamo al chhatrapati shivaji airport. un taxi fino in centro potrebbe assestare un colpo mortale al nostro budget quotidiano, ed è l'alternativa meno divertente, perciò intanto optiamo per aspettare l'alba appisolati lungo il corridoio degli arrivi. a intrattenerci la sfilata ininterrotta di indiani che rimpatriano dai paesi del golfo, tutti o quasi con megagalattici televisori 50 polllici che alla corte degli emiri d'arabia costano di meno. evviva l'india globalizzata.. poi il cielo inizia a schiarire e noi usciamo nella bolgia mattiutina, schivando con noncuranza la processione di taxi e riksciò che ci attende al varco. i mumbaikars sono molto amichevoli e ci indicano subito la fermata del 308 per l'andheri station, dove saltiamo al volo su un treno per churchgate. e finalmente siamo in india. quella dove il concetto astratto del miliardo e mezzo diventa d'improvviso una realtà molto più che tangibile, che ti si imprime sulla pelle a suon di strusciate, spallate e spintoni nel tentativo di farti largo tra folle oceaniche o ti avvolge a 360 quando opti saggiamente per assecondare il ritmo e farti trasportare dalla moltitudine che ovunque cammina con te.
nonostante le dimensioni colossali, mumbai è più che godibile e noi ci lanciamo in lunghe passeggiate all'ombra di viali alberati e graziosi edifici coloniali. il celeberrimo chhatrapathi shivaji terminus (alias victoria station), si è scrollato di dosso l'appellativo coloniale di vittoriana memoria, come del resto tutta o quasi la toponomastica della città, ed è stato ribattezzato in onore dell'eroe nazionale maratha, campione della resistenza hindu contro l'avanzata moghul-islamica da nord.
la stazione più famosa di mumbai, insieme agli altri edifici dell'epoca come la high court, il palazzo dell'università e le numerose gallerie d'arte, rappresenta al meglio il cocktail architettonico unico che caratterizza la città. tra le vestigia dell'epoca colonial-britannica dilaga per fortuna l'anima indiana, nel suo delirio caleiscopico di templi variopinti e odorosi di incenso, mercati iperaffollati, chiasso assordante e infinite partite di cricket nel grande prato di oval maidan.
nella zona del porto di colaba c'è il monumento simbolo della città, il gateway of india, l'arco di trionfo eretto nel primo novecento per celebrare la visita di re giorgio V al gioiello esotico della corona. e poi andiamo nel quartiere di mahalaxmi, col suo tempio che è uno dei più importanti della città, dedicato a lakshmi, dea della ricchezza tanto cara ai borghesi indiani globalizzati e al loro bollywood-life-style. non lontano i dhobi ghat, la lavanderia a cielo aperto più grande del mondo, le cui migliaia di vasche per il bucato vedono passare ogni giorno i guardaroba di mezza mumbai e più, quella senza lavatrice. il tutto incorniciato dalle tonnellate di panni stesi ad asciugare sui fili, un'esplosione di colori quasi surreale in contrasto con lo sfondo grigio grattacielo.

 

NASHIK
 riecco l'holy india!, con un tocco epico direttamente dalle pagine del mahabaratha a spiegare il nome della città: qui infatti lakshmana, fratello di rama, ha mozzato il naso (nasika) della sorella del re demone ravana. trattasi una delle sette città sacre hindu sulle sponde di uno degli altrettanti fiumi sacri, il godavari. dai ghat di panchavati ogni 12 anni migliaia di devoti si immergono per un propizio bagno rituale in occasione del khumb mela.
la città è assai piacevole e ci rendiamo immediatamente conto che la musica qui è diversa rispetto alle aree turistiche della piana del gange: nessuno ma proprio nessuno tenta approcci loschi da procacciatore d'affari, così noi possiamo curiosare indisturbati lungo i ghat, tra i banchi del piacevole mercato lungofiume, i templi, le abluzioni rituali e le pooje floreali dei gruppi di pellegrini.




AURANGABAD
aurangabad è il classico bordello indiano: troppo traffico, troppo rumore e troppa polvere.. ma lontano dalle strade più affollate le vie del centro attraversano la zona del bazar e raggiungono il limite settentrionale della città, dove spariscono i palazzi di cemento, spuntano le colline, decine di bimbi urlanti ci rincorrono per una foto e dove se ne sta anche il bibi-ka maqbara, o piccolo taj mahal. è il mausoleo seicentesco costruito per la moglie dell'imperatore moghul aurangzeb, la cui struttura architettonica, pur se di gran lunga meno elaborata, evoca quella del monumento più famoso del subcontinente.
l'impronta islamica della città si mostra un po' ovunque, dalle numerose moschee, alla tomba del santo sufi indiano baba shah muzaffar, mentore del sopracitato imperatore, fino ai resti della città fortificata moghul.
 



DAULATABAD
la fortezza fiabesca di daulatabad, che fu nel '400 capitale del sultanato di mohammed tughlaq, è deliziosa e ben conservata: la bella cinta muraria merlettata racchiude l'area del castello, disposta su più livelli intervallati da fossati che salgono lungo il ripido crinale della devagiri, la collina degli dei, fin sulla cima dove sorge il palazzo centrale del complesso e gli entelli scorrazzano allegri. 
un bijoux.



ELLORA
tra le colline assolate nei dintorni di aurangabad una parete di roccia scura custodisce uno dei segreti più preziosi dell'india. qui tra il 600 e il 1000 dC ispiratissimi monaci buddhisti, hindu e jainisti hanno scavato, patrocinati dalle dinastie chalukya e rashtakutra, una trentina di templi rupestri, le cui decorazioni scultoree sono tra le più belle che si possano ammirare in terra indiana. il kailash temple, ricostruzione della dimora himalayana di shiva (sul monte kailash in tibet), il più sacro e monumentale dei templi di ellora, è incantevole.

                                                         AJANTA
altro complesso di templi rupestri non troppo lontano da ellora. anche qui i santuari sono una trentina circa, ma tutti buddhisti, più antichi (250ac - 600dc) e disposti a ferro di cavallo lungo il versante roccioso di una collina a strapiombo su un fiume. oltre alle meravigliose decorazioni scultoree, la peculiarità di ajanta sono i dipinti, che in alcune delle strutture templari sopravvivono in buono stato di conservazione, così da poterne apprezzare la bellezza e la qualità, nonostante le orde barbariche di turisti indiani casinari con cui bisogna condividerle.

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