6-24
novembre 2013
VIETNAM
di
tifoni, bia hoi, com chay e ca phe da
pochi
posti al mondo polarizzano le opinioni dei viaggiatori quanto il
vietnam.
i
detrattori non fanno che appellarsi alla sfilza infinita di
disservizi, truffe e affini perpetrati a danno dello straniero
ignaro, alla presunta xenofobia dei vietnamiti, che pare non si
lascino andare con facilità a carinerie gratuite e profusioni di sorrisi
amichevoli e, non appena posino gli occhi su un turista, si mettano a
elucubrare sulla modalità più sottilmente diabolica per spillargli
ogni centesimo. il rovescio della medaglia invece sono le lodi
sperticate di chi, come noi, del vietnam e della sua gente si
innamora perdutamente e non vede l'ora di tornarci. pur astenendoci
dal criticare le opinioni di chi se l'è passata piuttosto male (ne
abbiamo sentite di tutti i colori, incluse alcune esperienze del
tutto spiacevoli), da parte nostra è difficile non porre l'accento
sull'altra faccia del fenomeno in questione, ovvero la tendenza
imperante nel turismo main-stream che qui raggiunge l'apoteosi
dell'apartheid da revival coloniale: guai a muoversi coi mezzi
pubblici, di norma il turista medio non schioda il culo dal sedile
posteriore del taxi manco a sollevarcelo di peso, non sia mai che gli
tocchi di mischiarsi ai locals; la stragrande maggioranza qui
ci viene in vacanza (e si vede), con un portfolio di
prenotazioni il più completo possibile, senza lasciare alcunché al
caso, e quindi alloggia in alberghi esclusivi, spesso di
proprietà delle catene internazionali, o in guest house costosissime dove la tariffa di una notte
si avvicina allo stipendio bisettimanale di un vietnamita,
tanto per restituire la misura delle proporzioni; la maggior parte se ne va in giro con verdi mazzette di dollari sonanti, ignorando
il fatto che il vietnam ha una moneta sovrana che si chiama dong;
nessuno accarezza neanche lontanamente l'idea di mangiare per strada,
terrorizzato dalle leggende metropolitane sugli avvelenamenti da
cibo, o nei ristorantini locali, preferendo rinchiudersi nei bistrot francesi o in qualche abominio tipo KFC; quasi tutti passano le loro giornate dentro e fuori dalle
agenzie di viaggio, chè non si fa un passo senza la sicurezza
assoluta (illusoria) di aver scongiurato qualsivoglia imprevisto. ergo,
riesumando la proverbiale successione temporale uovo-gallina, c'è da
chiedersi quale sia il rapporto di consequenzialità tra la demenza
del visitatore medio, che pretende di ricevere trattamenti
europeo-alpitoureschi, e allora forse dovrebbe farci la cortesia di
starsene a casa, e lo status quo del tourism business, che
pare ritagliato su misura per questo tipo di turista un po'
decerebrato, il quale si trastulla nel lusso e poi ha il coraggio di
lamentarsi perchè gli chiedono 20000 dong per un ca phe.
inoltre
se ogni paese è figlio del suo passato, da queste parti vale la pena
di ricordare i momentacci di cui la storia è testimone.
sin
dai tempi della dominazione cinese, che non molla la presa sul vietnam per mille
lunghi anni, tra 111 ac e 938 dc, per giungere poi all'avvento meno
remoto della colonizzazione francese nella seconda metà dell'800, i
vietnamiti sanno fin troppo bene cosa significhi subire penetrazioni
allogene, vedersi imposte strutture economiche e culturali estranee
alle proprie e lottare per la difesa delle sporadiche parentesi
autonome di autodeterminazione e autogoverno. senza andare a pescare
troppo indietro nel tempo e limitandoci alla storia della
cosiddetta indocina francese, è evidente infatti come, sin dai primordi dell'occupazione, proliferino movimenti locali di ispirazioni distinte ma
animati dallo stesso fervore anticoloniale, le cui rivendicazioni,
represse spesso in modo più che cruento, portano presto alla
formazione del partito comunista vietnamita. nel 1940, durante la
seconda guerra mondiale, il giappone acquisisce brevemente il
controllo dei possedimenti francesi nel sudest asiatico e nello
stesso periodo nguyễn
tất thành,
universalmente conosciuto col suo pseudonimo di “portatore di
luce”, ho
chi minh,
forma la lega per l'indipendenza del vietnam, il viet
minh,
che incorpora ufficialmente tutti i fronti patriottici, ma è de
facto
dominato dalla fazione comunista. durante il conflitto le forze
indipendentiste di “zio ho” collaborano con l'oss - office
of strategic services
- americano in chiave antinipponica, raccogliendo e comunicando ai
canali dell'intelligence usa informazioni sui giapponesi. alla luce
di tale partnership nei mesi di agosto e settembre 1945 ho chi minh, sempre attraverso le cellule dell'oss, proporrà l'instaurazione di un protettorato statunitense in vietnam
preliminare all'indipendenza, che traghetti il paese verso la
liberazione dal giogo coloniale.
quando poi i francesi
intensificano le operazioni militari contro la guerriglia
indipendentista nel vietnam del sud, innescando l'esplosione della
cosiddetta prima guerra d'indocina (1946-54), i viet minh chiedono formalmente l'intervento degli stati uniti e dell'onu.
l'amministrazione usa, al contrario, fornirà invece per tutti i
primi anni '50 crescente supporto logistico e finanziario alle truppe
francesi. la guerra d'indipendenza vietnamita, dopo otto lunghi anni,
giunge al termine con la storica vittoria di dien bien phu nel 1954,
la quale sradica in via definitiva le superstiti velleità francesi
dal sudest asiatico. nello stesso anno la conferenza di ginevra
smembra l'indocina decretando la nascita di laos e cambogia e
spaccando in due il territorio nazionale vietnamita lungo il 17
parallelo, la linea di demarcazione che separa lo stato comunista
del nord, amministrato dal governo di ho chi minh, dal sud del regime
filoamericano, e finanziato cospicuamente dalla CIA, del cattolico
ngo dinh diem, il quale si sostituisce alla sovranità oramai
decadente dell'ex-imperatore bao dai. tale situazione, che avrebbe dovuto
essere temporanea, finisce per degenerare quando diem falsifica i
risultati di un referendum indotto nel '55 per sondare il parere del
popolo in merito a un ufficiale avvicendamento al vertice tra bao dai
e lo stesso biem, proclamando la repubblica e rifiutandosi di
concedere le elezioni fissate per il '56, che avrebbero con ogni
probabilità palesato il maggiore sostegno popolare a ho chi minh. a
questa suddivisione arbitraria e alle conseguenze che essa si porta
appresso, tra cui ad esempio le purghe anti-vietcong nel meridione
vietnamita, vanno ascritte le premesse che sono alla base della
cosiddetta guerra del vietnam o seconda guerra di indocina o guerra
di resistenza contro gli americani, come la chiamano i vietnamiti,
che ha devastato il sudest asiatico tra 1960 e 1975. gli stati uniti
la dipingeranno come il punto focale della lotta per la
libertà dei popoli del mondo democratico contro il dilagare della
minaccia comunista, ma la verità è che l'unico governo legittimo,
perchè riconosciuto dal popolo e dal diritto internazionale, è nel
vietnam del dopo guerra proprio quello nord-vietnamita.
le
prime avvisaglie del conflitto vanno ricercate nelle azioni di
guerriglia intraprese alla metà degli anni cinquanta da parte della
resistenza vietcong nel vietnam meridionale, le quali a ben guardare
sono la risposta ai ripetuti tentativi di infiltrare milizie a hanoi
per destabilizzare il governo di ho chi minh. di conseguenza viene il
parallelo e massiccio coinvolgimento degli usa, i quali incrementano progressivamente la loro presenza militare in sostegno
di diem, fino a impegnare un complesso di forze terrestri, aeree e
navali di proporzioni enormi, che tocca le 550000 unità nel 1969.
ciononostante la corazzata americana non riesce a venire a capo della
resistenza vietnamita, inferiore sotto il profilo dei numeri e del
potenziale bellico, ma guidata abilmente dal generale giap. al
contrario il pentagono continua a subire pesanti perdite fino al
definitivo abbandono del campo nel 1973. nel frattempo
l'amministrazione usa si assicura però il controllo della
produzione e del traffico di oppio nella regione prima
produttrice al mondo.
sull'altro
fronte, accanto a vietcong e esercito regolare del vietnam del nord,
i quali intendono lo scontro con gli americani come la continuazione
della guerra d'indipendenza contro i colonizzatori francesi, intervengono cina e urss, ma nel conflitto sono progressivamente coinvolti anche il laos, come abbiamo già
raccontato altrove, e la cambogia, massicciamente sottoposta a
attacchi aerei e terrestri da parte usa soprattutto tra il 1969 e il
1970 e infine invasa dalle forze nordvietnamite in appoggio alla
guerriglia comunista dei khmer rossi. il vietnam del nord viene a sua
volta ripetutamente bombardato dagli aerei statunitensi tra 1964 e
1968 e poi ancora nel 1972.
la
fine del conflitto è datata 30 aprile 1975, giorno della caduta di
saigon in mano ai nordvietnamiti, che segna il crollo del governo di
diem e la riunificazione politica di tutto il territorio nazionale
sotto la dirigenza comunista di hanoi, che nel 1976 rinomina saigon
città di ho chi minh, in onore del leader morto nel
settembre del 1969.
ciò
che viene quasi sempre taciuto a proposito della guerra del vietnam è
l'atrocità dei crimini commessi a danno dei civili. i mass media, la
cinematografia e i fiumi d'inchiostro versati sul conflitto più
famoso della storia recente hanno quasi sempre posto l'accento
sull'impatto che la guerra ha avuto all'interno della società
americana, scossa dalle contestazioni dei movimenti civili contrari
alla guerra, ma delle conseguenze devastanti della barbara strategia
usa sulla popolazione vietnamita si continua a parlare troppo poco.
la
sofferenza che ha attanagliato un numero davvero colossale di civili
inermi da nord a sud è l'eredità più allucinante del decennio di
guerra: milioni di vietnamiti sono stati uccisi o feriti dai
bombardamenti a tappeto e dai raid americani nelle zone rurali più o meno densamente abitate. la violenza disumana e sistematica contro la
popolazione si giustifica alla luce del legame tra questa e la
guerriglia rivoluzionaria in tutto il vietnam contadino. gli stati
uniti e i loro alleati a saigon, non riuscendo a vincere tale connessione, hanno cercato di guidare la
popolazione fuori da quelle stesse campagne, nel tentativo di minare
questa alleanza alla base, di infrangere il vincolo che univa i
vietnamiti alla loro terra, forzandoli all'urbanizzazione e alla
modernizzazione attraverso la deportazione nei cosiddetti villaggi
strategici. un piano che non ha mai funzionato. la soluzione
alternativa più congeniale per i gerarchi del pentagono deve essere allora parsa l'eliminazione in massa della popolazione resistente. in
fondo tra le fila nemiche per il soldato americano medio c'erano soltanto gli “untermenschen” asiatici,
in tutto inferiori rispetto a lui, come affermava la cosiddetta “regola
del muso giallo”, una sorta di immoralissimo codice di condotta,
inculcato alle reclute dal primo giorno di addestramento, atto a
semplificare e decolpevolizzare l'assassinio dei
civili vietnamiti, in modo da non turbare in maniera troppo radicale
il già fragile equilibrio psicologico delle truppe.
ciò
che si narra sulle nefandezze commesse contro il popolo del vietnam
si limita al pur terrificante massacro di my lai, dove il 16 marzo
1968 i soldati della compagnia charlie della 11 brigata di fanteria
leggera, agli ordini del tenente calley, per aumentare il "body
count" hanno ucciso circa 500 civili indifesi, abbandonandosi ad
ogni tipo di torture e violenze, mitragliando e stuprando donne
indifese, massacrando barbaramente i bambini e consumando coi
lanciafiamme i corpi dei vecchi abbracciati ai più piccoli per fare
loro scudo. ecco, questa barbarie è davvero una delle uniche verità
ufficiali trapelate sulle violenze americane, ma ricerche più
recenti e approfondite parlano di ben altro, di infamie al cui
confronto anche l'abominio di my lai impallidisce.
potremmo
citare ad esempio l'operazione speedy
express,
condotta tra '68 e '69, che ha fermato la sua conta dei morti alla
cifra colossale di circa 11.000 nemici uccisi, rinvenendo però
soltanto 750 armi, il che significa, come hanno più tardi confermato
fonti ufficiali dell'entourage militare usa, che la maggior parte
delle vittime (di preciso 7.000 stando alle stime) erano civili.
questo tanto per dirne una. ci sono poi gli estensivi bombardamenti
condotti a partire dal 1965 prima a danno delle strutture logistiche
e militari del vietnam del nord e poi direttamente contro bersagli
civili: si tratta di una delle campagne di bombardamento più pesanti
dai tempi della seconda guerra mondiale, col numero complessivo di
ordigni sganciati sul vietnam del nord che supera di gran lunga
quello delle bombe piombate sulla germania. oppure
potremmo menzionare alcune delle pratiche disumane che erano
all'ordine del giorno tra le fila delle truppe americane, come ad
esempio lo smembramento dei corpi delle vittime, perchè per scalare
posizioni nella classifica del macellaio più prolifico con la conta
dei morti era necessario consegnare almeno l'orecchio del nemico, così
come per ottenere ulteriori incentivi legati alle uccisioni, tipo
vacanze in esclusivi resort sulla spiaggia, oppure per alimentare il
baratto e la compravendita di brandelli di vietcong, per cui le
orecchie venivano trionfalmente indossate come collane, o magari per adeguarsi alla barbara consuetudine di consegnare le teste dei nemici
in cambio di chissà quali ridicoli premi. c'è poi la violenza
sistematica contro donne e bambine, costrette a prostituirsi o
vittime di stupri di gruppo estremamente efferati. o ancora le
torture che i detenuti subivano nelle prigioni americane e
sudvietnamite, rinchiusi in gabbie o piccole celle sotterranee senza
finestre e ammanettati al pavimento, mentre le guardie tiravano loro
polvere di calce per punizione.
infine veniamo alla pagina forse più
aberrante della guerra in vietnam, ovvero l'impiego dell'agente
arancio, la cui produzione ha per inciso enormemente arricchito le
americane monsanto e dow chemical. il 30 novembre 1961, john f.
kennedy (sì,
proprio l'osannatissimo presidente usa, il quale, tanto per citarlo
testualmente, se ne esce con perle tipo questa:
“abbiamo
un problema: rendere credibile la nostra potenza. il vietnam è il
posto giusto per dimostrarlo”)
dà l’autorizzazione ad azioni aeree atte a defogliare la foresta
vietnamita, per togliere ai guerriglieri la protezione del manto
arboreo. qualche mese più tardi sempre lui firmerà l’ordine di
utilizzare gli stessi mezzi per distruggere i raccolti agricoli, allo
scopo di spingere i contadini ribelli alla fame ed indurli ad
abbandonare le campagne per finire negli slum urbani, ovvero i
“villaggi strategici” di cui sopra, dove saranno più facilmente
controllabili. in vietnam per la prima volta si sperimenta la guerra
ecologica: dal 1961 al 1971 circa 80 milioni di litri di erbicida
killer, contenente più di 300 chilogrammi di diossina, sono
riversati sopra la bellezza di 3.3 milioni di ettari di foreste e di
terre coltivate e più di 300 villaggi sono irrimediabilmente
contaminati. tra il 1965 e il 1968, lo stato maggiore americano
ordina di triplicare le “missioni di spargimento”. l’us air
vaporizza il diserbante anche lungo i fiumi, per proteggere le
missioni navali di ricognizione dalle imboscate. nel 1971 l’esercito
interrompe l'operazione ma i suoi effetti devastanti continueranno a
manifestarsi senza sosta, a causa della permanenza della diossina nel
terreno, nell’acqua e nella catena alimentare per un tempo quanto
mai lungo. le zone più colpite sono il centro e il sud del vietnam,
ma i raid americani non hanno risparmiato nemmeno laos e cambogia, al
confine coi quali si snodava il famoso sentiero di ho chi minh. oltre
4 milioni di vietnamiti sono stati direttamente esposti all’agente
arancio, ai quali si deve aggiungere un numero sconosciuto di
cambogiani, laotiani, di civili e militari americani e dei loro
alleati thai, australiani, canadesi, neozelandesi e sud-coreani. in
vietnam ancora oggi troppi bambini nascono senza testa, senza gambe,
senza occhi, altri sono affetti da tumori o da altre malformazioni
pesantemente invalidanti. questo perché le mutazioni genetiche
indotte dalla diossina nelle persone esposte si trasmettono alla loro
discendenza per chissà quante generazioni. sono passati oltre
quaranta anni dalla fine della guerra e gli stati uniti non hanno mai
ammesso la loro responsabilità e non hanno mai versato un centesimo
alle vittime vietnamite, cambogiane e laotiane dell’agente arancio.
come il ragazzo completamente privo di cavità e bulbi oculari che
incontriamo ad hanoi, mentre suona il flauto sulle rive del
hồ
hoàn kiếm in cambio di qualche moneta.
a
questo tragedia senza fine si somma l'esodo dei cosiddetti “boat
people”, gli 800000 e più sudvietnamiti che abbandonano il loro
paese dopo la presa di saigon, perchè giudicati non sufficientemente
in linea con la politica di nazionalizzazione delle imprese e
collettivizzazione delle terra imposta al vietnam del sud dalla
dirigenza di hanoi.
pensare
al vietnam di oggi senza considerare quanto di cui sopra è
quantomeno assurdo. tutto il resto a nostro parere viene di
conseguenza.
questo vietnam insomma è un paese meravigliosamente unico, che reca ancora
bene in vista le cicatrici delle ferite e le conseguenze delle
mutilazioni subite, pur se per molti aspetti è decisamente più
moderno, benestante e sviluppato dei vicini laos e cambogia. la sua
gente, almeno per la nostra esperienza, è aperta e amichevole come
nel resto del sudest asiatico (per convincere i perplessi recidivi
potremmo citare le decine di persone che ci hanno sorriso e aiutato
per strada, quelli che si sono seduti con noi a bere litri di bia hoi
o tutti quelli che ci hanno sorpreso con un gesto di generosità
disinteressata, ma queste perle preferiamo tenerle per noi). in più,
pur se dobbiamo limitare non poco i nostri movimenti causa maltempo,
ciò che abbiamo visto è sufficiente per farci annunciare senza tema
di smentita la bellezza del vietnam dal punto di vista paesaggistico
e naturalistico, la ricchezza della sua cultura, tra le più esotiche
e fascinosamente peculiari che si possano incontrare, la quale si
differenzia da quella dei suoi vicini per le influenze eterogenee che
qui si sono determinate, plasmandone la fisionomia attuale, una
commistione di ispirazioni più pienamente cinesi ed elementi tipici
del sudest asiatico. dulcis in fundo si tratta di una
destinazione davvero economica se si viaggia con occhio attento al
budget, con cui nella regione da questo punto di vista può
competere solo la cambogia.
ciò
che ci lascia l'amaro in bocca non è perciò la tendenza in cui
capita di certo d'incappare, e lungi da noi smentirla, ovvero il
tourist
price
gonfiatissimo per gli stranieri o i più svariati tentativi di
raggiro, latrocinio e turlupinature varie. per noi la nota più
dolente è invece la direzione che il turismo sta prendendo da queste
parti. è facile riconoscere nella
cancrena
dilagante
dei villaggi turistici in stile club med o alpitour, flagello dei
popoli e delle economie locali d'africa, asia, america
centro-meridionale etc, una riproposizione delle dinamiche
colonialiste di sfruttamento intensivo del territorio e parallelo
impoverimento della popolazione locale: la triste realtà dei
paradisi tropicali di tutto il mondo è infatti quella di una
ricezione turistica totalmente nelle mani delle multinazionali dei
paesi “occidentali”, le quali possiedono
agenzie di viaggi, operatori turistici, compagnie aeree e catene di
hotel, e operano in loco senza mai integrare la propria attività con
l'economia locale, costituendo spesso vere e proprie enclavi
straniere per soddisfare tutti i desiderata
del turista modaiolo in vacanza nel “terzo mondo”.
che
dire però se oggi anche il turismo dei cosiddetti backpackers
e dei viaggiatori indipendenti, oramai estinto nella sua accezione
più autentica, sta assumendo le stesse forme, incastellandosi in
sterili ghetti senza arte ne parte, lontani dalla vita locale con la
quale è bene non mescolarsi troppo? in più, in un paese come il
vietnam, che ha subito ogni sorta di vessazione e ingerenza,
l'affermazione di questa tendenza sembra finalizzata a maggior
ragione al mantenimento strategico del soft
power usa-euro
nel sudest asiatico.
il
meteo è inclemente e piove per quasi tutta la nostra permanenza,
perciò non riusciamo a muoverci come vorremmo e a vedere tutto
quanto ci eravamo prefissati. ecco in sintesi le nostre tappe.
HANOI
arriviamo
nella capitale quando il sole è quasi tramontato e, appena raggiunto
il centro con un bus urbano, grazie alle indicazioni dei passanti, un
ometto dolcissimo si ferma, ci chiede dove dobbiamo andare e poi ci
accompagna fino all'albergo. la nostra guest house è una vecchia
casa nella old town con un nonnino gentilissimo alla reception e
niente turisti all'orizzonte. tra le altre cose ad hanoi uno ci viene
di certo per la bia hoi (perdonate la rimaccia cacofonica), la birra
“fresca” artigianale prodotta in microbirrifici soprattutto nel
nord del paese, di cui andiamo subito a caccia, pur se a dire il vero
non ci sia affatto bisogno di cercarla, tanto è onnipresente. invece
poi ci trova una città affascinante, vivace e caotica al punto
giusto, tra le più invitanti del sudest asiatico. il delirio di
motorini della città vecchia a qualcuno potrà sembrare un tantino
esagerato, ma a noi pare di respirare dopo il grigiume da grattacielandia di
nanning, le rive del lago hoan kiem si prestano ad allettanti
passeggiate, il mausoleo di zio ho è chiuso per l'annuale
manutenzione della salma ma ci rifacciamo coi musei e i templi o,
meglio ancora, standocene semplicemente a oziare di fronte a un
bicchierone di ca phe da,
caffè nero ghiacciato, prodotto in vietnam e preparato con un lungo
procedimento di sedimentazione, filtraggio e “gocciolatura”, di
cui ci innamoriamo al primo sorso, dimenticando al volo la nostalgia
per l'italica miscela.
NINH
BINH
l'intenzione
è quella di usare questa piccola cittadina come base per visitare le
rovine di hoa lu, l'antica capitale delle tre dinastie dinh, le e ly,
e i paesaggi suggestivi dei dintorni, ma, col nostro consueto
tempismo, capitiamo da queste parti proprio quando si scatena un
diluvio infernale e ininterrotto, quindi siamo bloccati in città.
per fortuna non tardiamo a trovare la tipica taverna che serve bia
hoi, col classico campionario di beoni ciarlieri, uno dei quali
seguita a offrirci da bere bofonchiando divertentissimi “sorry
sister!” per scusarsi della sua mai molesta ubriachezza. al maltempo già persistente si aggiunge pure la minaccia
del tifone haiyan, che si sta spostando dalle filippine verso le
coste del vietnam, perciò non solo viviamo 24h su 24 sotto un
diluvio di proporzioni bibliche, ma ci dobbiamo aspettare pure di
peggio, dato che le news prevedono che haiyan tocchi terra l'indomani
proprio all'altezza di hue, la nostra prossima tappa. decidiamo di
andarci comunque, anche per non perdere la prenotazione del treno
notturno, e appena prima di partire scopriamo che il tifone ha
cambiato rotta, deviando verso nord in direzione del'isola cinese di
hainan. stavolta la scampiamo.
HUE
i
primi due giorni di sole dopo troppo tempo ci mettono di ottimo umore: giriamo per
bene a piedi tutta hue, cuore culturale del paese nonché capitale
del regno del vietnam unificato tra 1802 e 1945, e
visitiamo la bella cittadella seicentesca. ci sfondiamo di
prelibatezze veg in uno dei tanti ristoranti di com chay (lett. riso
vegetariano), che offrono cibo delizioso a prezzi imbattibili, e
abusiamo del solito sublime caffè, che scopriamo essere divino presso i
venditori di mangime per uccelli, il che può suonare strano ma invece è
una bomba. fidatevi. poi sul più bello, proprio quando iniziamo a
prenderci gusto di brutto, si mette e piovere di nuovo,
costringendoci a rinunciare alla visita delle tombe imperiali appena
fuori città. ci toccherà tornare.
DA
NANG
dato
che hue è battuta da una pioggia a dir poco torrenziale scendiamo in
treno verso da nang, senza ottenere miglioramento alcuno dal punto di
vista del meteo, perchè quando arriviamo la città è
semiparalizzata dal solito costante. per il resto l'atmosfera per
niente turistica si palesa con effetto immediato: la gente è ancora
più amichevole, i prezzi bassi, i vacanzieri una rarità, perciò,
pioggia a parte, c'è da divertirsi. peccato però che non riusciamo
nemmeno ad avvicinarci al centro di hoi an, poco lontana da da nang e
a detta di tutti una delle città più interessanti del vietnam,
perchè il nubifragio degenera in fretta in estesissimi allagamenti:
piove ininterrottamente per giorni e le strade sono sepolte sotto
decine di cm d'acqua, tanto che noi, impavidi come siamo, proviamo più volte a raggiungere hoi an in bus, ma dobbiamo arrenderci all'evidente
impossibilità di arrivare in centro a piedi (sarebbe in effetti più
opportuno tentare con una barca). la zona patrimonio dell'unesco è
parzialmente sommersa e infine non ci resta che tornare verso da
nang, ringraziando il cielo che per miracolo, e mezzo
navigando, la corriera parta comunque. una volta in albergo scopriamo che tutta
la zona centrale è sferzata dalla tempesta podul, l'ennesima a
colpire il vietnam quest'anno, che ha causato inondazioni di ben 3mt,
una trentina di morti per annegamento e costretto decine di migliaia
di alluvionati ad abbandonare le loro abitazioni. con la costa
centromeridionale impraticabile, non ci resta che spostarci verso
sud. il treno notturno per saigon arriva con ben 5h di ritardo, ma
considerando che quello delle 8 di mattina alle 17 deve ancora
partire ci va di lusso. ci segniamo hoi an sull'agenda per la
prossima volta.
SAIGON
quando
il treno entra a saigon sotto il sole cocente di mezzogiorno siamo
ebbri di gioia. gioia che aumenta non appena ci mettiamo a
gironzolare per le caffetterie del centro, sparandoci un ca phe da
dietro l'altro, interrogandoci ogni mezzo metro su come possa essere
così dannatamente buono. la città è piacevole, il sole una
benedizione, i musei e le pagode interessanti, il com chay
onnipresente. ci stiamo proprio bene. poi peschiamo il proverbiale
coniglio dal cilindro, incappando in un'amenissima taverna di bia
hoi, zeppa di omini goliardici che trangugiano senza requie
fiaschette su fiaschette di birra (a 11mila dong/litro), rovesciate
sui tavoli a suon di litrozzi da un folcloristico drappello di
poderose locandiere, mentre nel bel mezzo della sala un'altra donnona
sorridente sgretola in pochi secondi colossali parallelepipedi di
ghiaccio con l'accetta. ringraziamo tutti per questo pomeriggio
edificante e impagabile.
insomma,
andate in vietnam. e se non volete farlo per la sua bellezza
fascinosa e originale o per il calore amabile della sua gente, almeno
andateci per la bia hoi, la sbronza garantita, con contorno di
arachidi al vapore, più economica e soddisfacente del mondo, e il ca
phe che è un'autentica opera d'arte. punto.
tạm biêt, viet nam!
tạm biêt, viet nam!
My thought to you will always be above all things just need to know you thing the same about me
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