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ottobre – 6 novembre 2013
CINA
::seconda
parte::
2/3
se
questi sono l'uomo nuovo di mao e la cina delle guardie rosse, beh
allora di nuovo rispetto alla tradizione culturale cinese noi vediamo
più che altro il totale annichilimento dell'uomo e della sua
dignità, ridotto com'è a produttore e consumatore puro, e
dell'identità profonda di questa cina che, come qualcuno ha
giustamente sottolineato, “somiglia
sempre di più all’aspetto peggiore dell’”occidente”.
per
la prima volta gli appelli alla protezione della cultura tibetana in
pericolo acquistano ai nostri occhi un senso, ma non a causa della
pulizia etnica cinese e dell'annesso genocidio culturale. il rischio
è piuttosto quello che sia fatta in tibet la stessa tabula rasa che
ha devastato la cina, trasformando il tetto del mondo in un altro
supermercato gigante. a questo proposito lhasa è un esempio
eloquente. secondo una tale prospettiva allora i governi usa e cinese
e la cricca lamaista non sembrano più nemici giurati: altro che
conflitto e minchiate affini, tutti ci guadagnano a vedere il popolo
tibetano diventare consumatore decerebrato come i suoi colleghi su
scala quasi globale (così non rompe le palle al governo cinese, non
mette in discussione l'autorità delle vesti amaranto e compra compra
compra come piace alla casa bianca).
ecco,
in altre parole alla cina manca un
po' d'anima cinese.
alla
cina manca la potenza pervasiva delle ritualità ripetute da secoli,
della vita scandita da gesti compiuti allo stesso modo dalla notte
dei tempi, che è in ultima analisi ciò che conferisce la sua
indentità ad una nazione, ciò che fa di un popolo quello che è.
nel tentativo di svecchiarsi, la cina pare essersi persa, aver
smarrito quello che la rendeva cina.
a breve non ne resterà più niente e già ora il poco che rimane
pare sopravvivere solo nelle aree più remote, che come è noto
vivono in una dimensione altra rispetto alle città e che da beijing
sono lontane anni luce, in barba al fuso orario che è lo stesso da
hong kong a kashgar.
la
cina, uno dei fari della civiltà umana per 5 millenni, ha saputo
inventarsi robetta come la bussola, la carta, la polvere da sparo e i
fuochi d'artificio, la forchetta e le bacchette, la porcellana, le
banconote, gli aquiloni, la stampa a caratteri mobili, il tofu, le
carte da gioco, l'alcol, l'ombrello, gli spaghetti e l'agopuntura, e
questo per elencare solo le prime cose che ci sono balzate alla mente
e senza contare l'apporto della civiltà cinese in campo artistico e
filosofico-letterario o nelle arti marziali, tanto per dirne un altro
paio. quanta tristezza ci mette, di fronte a tutto questo, il
pensiero che di una cultura così straordinaria, di un'identità così
ricca e complessa, radicata in pagine tra le più creative e
avvincenti dell'esperienza umana, dell'eredità unica e ingombrante
di cotanta grandezza, ora non rimangano che le briciole, o meglio i
puntini luccicanti delle lanterne volanti, a punteggiare il buio
della notte cinese.
potremmo
continuare all'infinito, ma la chiudiamo qui.
noi
il nostro mese lo passiamo al sud perché in così poco tempo è
inutile spingersi troppo lontano dal confine vietnamita.
YUNNAN
pur
senza addentrarci nella zona di confine col tibet, perché abbiamo
già avuto modo di entrare in contatto con la cultura tibetana in
ladakh e a spiti, e in questa stagione fa un freddo cane, lo yunnan
ne ha per tutti i gusti. coi suoi laghi, le montagne, le risaie, i
fiumi, la campagna idilliaca e il variegato mosaico etnico che lo
compone (è la provincia cinese col maggior numero di gruppi etnici)
è una terra ricca e affascinante.
partiamo
da jinghong,
che raggiungiamo in bus direttamente dal laos. l'influenza del sudest
asiatico da queste parti si fa sentire, sia nel cibo che nel
carattere della gente, perché quando chiediamo a un gruppo di ometti
come si arriva a manting lu, questi saltano tutti in piedi sulla
sedia e iniziano a gesticolare come pazzi per darci le indicazioni
più esatte possibili. robe da thailandia. insomma il primo impatto è
ottimo: questi cinesi ci sembrano da subito ricettivi e
collaborativi. siamo appena arrivati e già riusciamo ad accennare
una specie di “duoshao”
(quanto costa?) che loro prontamente capiscono e a comprare il
biglietto dello sleeper bus per la capitale dello yunnan senza il
minimo problema.
arriviamo
a kunming
alle sei di mattina. fuori è ancora buio, così temporeggiamo un po'
sulle panchine della stazione e verso le 7 saliamo su un autobus per
il centro. per verificarne l'esatta destinazione, dato che
railway station è
arabo per il cinese medio, o meglio è inglese, abbozziamo un timido
huo
che
all'autista, che subito ci guarda e ripete: “huoche
zhan”
(ovvero stazione ferroviaria). un genio! e poi dalla stazione dei
treni, sfoderando al secondo autista un dongfeng
gwangchan
da manuale, riusciamo a farci scaricare alla fermata giusta. ora, o
gli autisti dei bus in cina li selezionano con un QI minimo di 130,
oppure non è poi così impensabile muoversi in città contando sulle
indicazioni dei locali. riusciamo di nuovo a prenotare biglietti di
bus e treno senza il minimo intoppo e pure a ordinare un riso con le
verdure e una zuppa senza carne. tutti sono oltremodo gentili e
amichevolissimi. al ristorantino di fronte all'ostello ci mettiamo a
chiacchierare (o meglio gesticolare e comunicare attraverso il
traduttore del suo smartphone) col giovincello che serve ai tavoli,
gli diamo qualche rupia indiana e un po' di thai baht e dobbiamo
impegnarci seriamente per farlo desistere dalla sua intenzione di
ripagarceli in yuan. così lui per ringraziarci ci abbraccia
ipercontento al grido di “yesss! we are all chinese!
uaaaaaaaaaaaaaaa”. il giorno dopo ci fermiamo a comprare dei
mandarini da una donnina, che furbetta, prima ci dice che costano 4
yuan al kilo e poi vuole tenersene 10. noi allora insistiamo per
farci dare il resto, tranquilli ma con fermezza, e nel frattempo
intorno a noi si forma un capannello di gente curiosa, che, una volta
afferrata la situazione, inizia a inveire animatamente contro la
fruttivendola: una signora si mette a strillare inferocita quelli che
immaginiamo essere insulti e il nonnetto a fianco agita agguerrito il
suo bastone sotto il naso della sciagurata. per i cinque minuti
seguenti tutti gridano a squarciagola. poi la signora che capeggia
questa “crociata pro-laowai (stranieri)” si fa dare un kilo
esatto di mandarini e 6 yuan di resto, ci sorride e ci accompagna
via, ancora sbraitando indignata contro la malcapitata venditrice ma
sorridendo amorevolmente verso di noi. insomma davvero scene indiane.
grazie ancora ai cittadini di kunming per questa dimostrazione di
fratellanza e umana meraviglia.
dopo
un paio di giorni passati a passeggiare per il centro, i giardini del
parco del lago verde e le viuzze della città vecchia di guandu e
ad acclimatarci alla cina, ce ne partiamo in treno per xiaguan.
accanto a noi è seduto uno studente di pechino, che si scola 6
lattine di birra calda alle 8 di mattina, ci mostra il video di un
concerto metal e ciaccola che xe un gusto, nonostante il suo
inglese traballante, così come la vecchina sorridente accanto a lui,
che vuole sapere tutto su di noi, su dove siamo stati e dove abbiamo
intenzione di andare.
da
xiaguan-new dali prendiamo un minibus per weishan,
una piccola cittadina di provincia, luogo di nascita del regno bai di
nan-zhao e tappa importante lungo la via del the, con un centro
storico tra i più splendidi e autentici che ci sia capitato di
vedere in cina e che annoveriamo di certo tra le perle della nostra
esperienza yunnanese. quattro vie lastricate si dipartono a croce
dalla bella torre centrale per poi diramarsi in vicoli altrettanto
suggestivi, fiancheggiati da case tradizionali bordate di lanterne e
bandiere e da botteghe tipiche con incisori e calligrafi, venditori
di fuochi d'artificio, di ciabatte in paglia, di cesti e stuoie. la
piazza centrale poi è sempre piena di gente che ci saluta pure se
passiamo di là 10 volte e nel parchetto poco lontano ogni sera al
tramonto si raduna una banda di nonnetti che suona musica
tradizionale all'interno del bel padiglione decorato. lungo le strade
fuori dai pastifici artigianali gli spaghetti asciugano sulle
rastrelliere, la gente gioca a carte e a majhong oppure si ferma
nelle sale da the per due chiacchiere. weishan è un luogo magico,
con ogni probabilità quello in cina cui ripensiamo con più
nostalgia e forse anche l'unico in cui abbiamo sentito distintamente
vibrare l'anima della cina tradizionale. anche grazie ai due
vecchietti incredibili di un negozio, che insistono un sacco per
offrirci due birrette.
invece
la vicina dali,
che del suddetto regno di nan-zhao fu capitale tra VIII e XI sec, non
ci dice granchè. tutt'altro. ex paradiso di similhippie, nonché una
delle mete più visitate dello yunnan, qui tutto l'anno accorrono
frotte di turisti cinesi e chissà poi perché. noi ci andiamo in
giornata, dormendo nella bella weishan, anche perché, a parte le
costosissime tre pagode del tempio chong sheng che ignoriamo, per il
resto c'è poco da vedere, anzi quasi niente: le vie sono zeppe di
turisti, di negozi di souvenir e ristoranti costosissimi, degli
scorci di vita locale cui ci ha abituati weishan non c'è manco
l'ombra e le case tradizionali sono state per la maggior parte
ricostruite, per giunta con uno stile standardizzante che finisce per
appiattire non poco l'effetto d'insieme. si tratta per noi del primo
impatto con la tendenza, imperante in ogni dove in cina, per cui i
quartieri storici sono sistematicamente restaurati/riedificati, con
interventi davvero troppo invasivi per restituirne il fascino
autentico, ma che anzi finiscono immancabilmente per renderli
involucri senza anima, e quindi trasformati in una sorta di luna
park, zeppi dei soliti negozi anonimi, di alberghi e ristoranti, e
mutilati della loro parte migliore, ovvero la quotidianità della
gente che li abita. insomma, un disastro.
andiamo
allora a shaxi,
un piccolo villaggio rurale a metà strada tra dali e lijiang, che fu
un importante centro mercantile lungo la via del the e dei cavalli,
costruito sotto la dinastia tang e poi fiorito nelle epoche ming e
qing, tra XIV e XX secolo. si tratta probabilmente di uno degli
esempi meglio conservati di città carovaniera lungo la via del the,
la quale collegava lo yunnan con tibet e birmania. la
strada
principale, con le sue belle case a corte bai in legno e pietra, è
in effetti un salto indietro nel tempo, il cui incantesimo è
amplificato dal numero limitato di turisti e complici anche
condizioni di luce memorabili all'alba e al tramonto. peccato che a
breve sarà ultimata una superstrada che connetterà shaxi con dali e
lijiang, rendendola così facilmente accessibile al turismo di massa
e compromettendone per sempre il fascino e la tranquillità bucolica.
chissà che ne sarà poi dei piccoli splendidi villaggi che
sonnecchiano nei dintorni, dove è ancora possibile farsi sedurre dal
sapore dell'altra cina e stare ad osservare i contadini intenti alla
raccolta del riso. passeggiamo nella campagna circostante,
deliziosamente satura di colori e profumi autunnali, e poi lungo le
sponde del fiume, salutati un metro sì e l'altro anche dalle
famiglie che puliscono il riso sulla soglia di casa, dai vecchietti
che giocano a carte al tempio, dai bimbi che ci rincorrono per
offrirci patatine fritte. il venerdì è il giorno del vivace mercato
settimanale, gremito di gente dei villaggi limitrofi e di donne bai e
yi che vendono prodotti tipici.
quindi
è la volta di lijiang,
cuore dell'antico regno naxi, la cui città vecchia è potenzialmente
un bijoux. infatti, pur se il nucleo storico è stato devastato da un
terremoto nel 1996 e in seguito ricostruito, sempre secondo le
criticabili linee guida di cui sopra, e a dispetto delle orde di
turisti che invadono la old town un giorno sì e l'altro anche,
perdersi nelle strade secondarie, lontano dall'affollatissima via
centrale e dalla piazza, rimane comunque un'esperienza splendida:
vicoli acciottolati fiancheggiano i pittoreschi canali in cui si
riflettono le sagome dei palazzi, regalando scorci veneziani, ma
infarciti di lanterne rosse e cascate di fiori. insomma lijiang, al
contrario di dali, è ancora davvero fascinosa, nonostante tutto
l'impegno che le autorità cinesi hanno messo per ridurla come la
sorella. pure qui ciò che colpisce al primo impatto sono la solita
accozzaglia di negozi e affini e la quasi totale assenza di abitanti
non coinvolti nel tourism business, ma lijiang conserva ancora
immutata tutta la sua suggestione. anche se non possiamo fare a meno
di chiederci a che servano gli 80 yuan del biglietto (che non
paghiamo) per sostenere l'heritage conservation found, se è
tutto vecchio al massimo di 20 anni.
lo
stesso dicasi purtroppo per la vicina shuhe.
e pensare che te la spacciano per la controparte rustica e poco
affollata della visitatissima lijiang. ma per favore! l'atmosfera da
supermercato è la stessa, solo che a shuhe manca secondo noi l'aura
di magia che invece ha lijiang.
l'unico
posto con un po' di carattere nei dintorni è a nostro avviso il
piccolo villaggio di baisha,
dove almeno le nonnette che si incontrano per strada qui ci vivono,
mica sono venute da chissà dove solo per vendere torte ai turisti. e
poi c'è il famosissimo mr. ho,
l'ultranovantenne medico taoista, ancora arzillo e in servizio alla
sua veneranda età, che è già di per se stesso un monumento.
da
lijiang infine ce ne partiamo alla volta di panzhihua
nel sichuan, da cui poi ci attende un viaggetto notturno in treno
per la capitale chengdu.
...
::fine
seconda parte::
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