17 marzo - 12 giugno 2013, NEPAL²
·parte terza·
VALLE DI KATHMANDU
da tansen facciamo ritorno a pokhara per
qualche giorno e poi ce ne andiamo, in fuga dal monsone che la inzuppa
quotidianamente oramai da un po', con oltre un mese d'anticipo sul calendario
ufficiale della stagione delle piogge, diretti verso la valle di kathmandu. il
viaggio di 8h in bus ci regala panorami mozzafiato su quelle stesse valli e
foreste che un sacco di volte ormai abbiamo rimirato dal finestrino, ma che ora
la pioggia ha trasformato in un trionfo di verde brillante. l'ocra dell'erba
ingiallita dal sole di primavera, il grigio avorio della sabbia delle piane
alluvionali e il rosso della terra argillosa hanno lasciato il posto a terrazze
senza fine di risaie verdissime, i campi vivificati dal monsone incipiente sono
un fertile tappeto di colture lussureggianti e le foreste ricoprono le colline
pedehimalayane di una distesa rigogliosa e sterminata di chiome smeraldo...
BOUDHA (BODHNATH)
la prima tappa nella valle è il ritorno
allo stupa di boudha, il più grande del nepal, che sorge al centro di una bella
piazza contornata di edifici storici e adorna di centinaia di coloratissime
bandiere di preghiera buddhiste. il quartiere ospita una nutrita comunità di
tibetani e di sherpa e un numero consistente di gompa distribuiti nelle
vicinanze della bianca cupola sacra.
stupa a parte, la zona non è poi così
turistica e la sera, quando i visitatori in giornata se ne tornano da dove sono
venuti, c'è un'atmosfera piacevolmente rilassata e pure l'imbarazzo della
scelta se si ha voglia di thumba e chowmein, entrambi onnipresenti nei menù dei
tanti ristorantini sherpa-tibetani. belle anche le vie acciottolate che
circondano la piazza, coi negozietti di souvenir, thangka (dipinti), vestiti,
bandiere, cappelli, candele di burro, coppe per il thé e un'infinità di altre
interessanti chincaglierie tipicamente tibetane. e come al solito lo splendore
bianco della cupola dello stupa, ornata di giallo ocra, e i 13 gradini
scintillanti d'oro che s'innalzano verso il vertice nelle giornate limpide
risplendono contro il cielo blu e sono tra le cose più fotogeniche che uno
possa immaginare. il 25 maggio poi è il buddha
jayanti, importante
festività buddhista
che cade ogni anno con la luna piena del mese di vesak (maggio-giugno) e del
buddha festeggia in una sola volta nascita, illuminazione e morte.
moltitudini
di pellegrini tibetani e non solo si riversano in piazza e folti gruppi di
monaci affollano le vie di boudha in un turbinio di vesti amaranto. la sera che
precede il plenilunio la folla di devoti inizia a compiere la circumambulazione
rituale in senso orario intorno allo stupa, girando le sacre ruote di preghiera
e unendosi in un mormorio cantato agli incessanti mantra sommessi che risuonano
in ogni direzione. la rotazione prosegue ininterrotta per tutta la notte e
l'intera giornata successiva, il buddha jayanti vero e proprio, durante la
quale si alternano variopinte parate delle scuole del quartiere e di
associazioni buddhiste con tanto di carri in festosa processione. la sera
infine luccicanti candele votive di burro illuminano la base della cupola e il
perimetro della piazzetta e giochi di luce colorati, proiettati contro
l'elegante sagoma d'oro e d'avorio dello stupa, accendono nella notte gli occhi
magnetici e penetranti del buddha, mentre su tutto si effonde la luce della
luna, immensa nello splendore del plenilunio.
da qui siamo comodi per fare un giro
anche allo stupa di chabahil,
al vicino monastero buddhista di
charamuti vihar e poi al tempio di chandra binayak, che troviamo affollato di
donne in rosso e oro intente a effettuare una pooja prematrimoniale.
SANKHU e VAJRAYOGINI
procedendo
da boudha lungo la strada che si spinge verso est, lontano da ring road e fuori
dal caos della città, si raggiunge il villaggio di sankhu, altro borgo newari
con i soliti portali colorati, strade lastricate e botteghe dall'aria antica
incastonate tra un tempio e l'altro. la gente che passa, indaffarata nelle
faccende quotidiane, non manca però mai di rivolgere un gesto di devozione alle
divine effigi di vishnu, ganesh o bhairab che risiedono nei santuari e le
vecchie, coi loro volti rugosi di divina bellezza, intrecciano la paglia per le
stuoie sedute all'ombra dei loggiati tra colonne lignee splendidamente intagliate.
la strada principale è gremita di rifugi porticati per i pellegrini diretti al
tempio collinare di vajrayogini,
che si raggiunge uscendo dal villaggio in direzione nord lungo un sentiero
sterrato costellato di santuari, statue, alberi secolari e folti ciuffi
cespugliosi della mistica erbapipa dalle foglie eptapuntite, sacra a shiva e
compagna dei baba, che cresce spontanea in tutta la valle di kathmandu. la
strada conduce quindi alla scalinata che, costeggiando una nuova serie di
statue hindu di ganesh e bhairab, bianchi stupa buddhisti e altri
alloggi-rifugio per pellegrini, sale fin su al cortile del tempio.
qui nel
silenzio della foresta se ne stanno due autentiche perle di architettura
nepalese del XIV secolo: il tempio principale con tetto a pagoda tripla bordato
d'oro, travi di legno scolpite con grande raffinatezza e uno splendido portale
dorato magnificamente cesellato con incisioni che ritraggono i tre gioielli
(buddha, dharma e sangha) del buddhismo e i bodhisattva; poi di fianco un altro
santuario minore dentro al quale è custodito un chaithya molto antico,
probabilmente il primo nucleo cultuale del sito; e infine tutto intorno
un'interessante commistione di elementi hindu e buddhisti (buddha seduti sopra
una yoni, simbolo della sacra vagina di parvati e quindi della potenza creativa
femminile della grande dea che nell'iconografia hindu è sempre accoppiata col
lingam di shiva).
vajrayogini è una divinità tantrica buddhista (la yogini di
diamante, un buddha femminile), dea enigmatica e potente, rossa come il fuoco,
adorna di una collana di teschi, che un'iscrizione in loco connette a ugratara,
aspetto terrifico tantrico della dea buddhista tara, consorte del bodhisattva
avalokiteshvara. probabilmente la vajrayogini di sankhu costituisce una sorta di
ibrido iconografico tipicamente nepalese. la cosa interessante è che l'origine
del culto buddhista legato a questo tempio va ricercata nel chaitya custodito
nel santuario minore, che è un swayambhu chaitya, ovvero un chaitya autooriginatosi, sorto spontaneamente nel luogo in cui il re manadeva si
ritirò per fare penitenza intorno alla fine del V sec dc . in seguito a tale
evento prodigioso venne fondato un monastero, i cui monaci si sono ora
trasferiti a sankhu ma continuano ancora oggi ad essere i custodi del piccolo
stupa, che è la divinità tutelare di lignaggio di molti altri monasteri sparsi
per la valle. questo per dire come realtà, leggenda, uomini santi, divinità
misteriose e prodigi divini siano all'ordine del giorno quando si tratta della
tradizione religiosa nepalese, commista di elementi hindu e buddhisti ma anche
e sempre radicata nel folklore dell'antica religione precedente. l'atmosfera è
misticheggiante, forse anche per la luce giallastra pretemporalesca che ha un
che di ultraterreno, per il cielo grigio che minaccia un bel diluvio monsonico
e per le nuvole gonfie che vorticano intorno alla pagoda.
il panorama sulle
vallate circostanti poi è sempre una magia.. e ancor di più il pensiero che in
ogni dove tutto intorno, nascosti qua e là sulle colline trapunte di foreste e
avvolti da pittoreschi villaggi, sono
custoditi antichi templi come questo, con il loro ricchissimo patrimonio di
leggende e affascinanti credenze popolari e la loro immortale aura di sacralità
che ammanta d'incanto queste zone della valle. sulla cima di una collinetta a
sudest, poco lontano e perfettamente visibile, scorgiamo ad esempio lo
spettacolare tempio di changu narayan che abbiamo visitato due anni fa e a
nord-ovest invece c'è il mandir di gokarna mahadev, appena al di là delle
colline oltre la foresta di gokarna. che beltà questa valle di kathmandu..
PATAN
come non menzionare di nuovo patan, che
adoriamo davvero e in cui perciò ci fermiamo un po' più a lungo con l'intento
di girare alla scoperta di altri angoli della valle e di evitare il più
possibile thamel, pur se questo significa dover fare avanti e indietro dalla
capitale e dall'ambasciata per ottenere il nuovo visto indiano.
se kathmandu è
una meraviglia tra le vie del centro e oltre queste una bolgia invivibile e bhaktapur un sogno fuori da
tempo che però si paga caro, patan è il giusto mezzo che concilia l'eterea
bellezza intrisa di storia dei centri della valle di kathmandu con una
rilassata industriosità da città a misura d'uomo. noi la pur splendida durbar
square la bazzichiamo solo dopo le 7 di sera, in modo da evitare la tariffa
d'ingresso per gli stranieri che lievita spropositatamente una stagione sì e
l'altra pure (da 250-300 a 500rs in due anni), alquanto sollevati di averla già
esplorata come merita durante la nostra scorsa visita (come del resto possiamo
dire della già citata bhaktapur, il cui biglietto d'ingresso si è gonfiato fino
alla bellezza di 1100rs-10€; idem poi per pashupatinath che da 500 raddoppia a
1000rs e, dulcis in fundo, come dimenticare l'ingresso alla durbar square di
kathmandu che da 300rs ora ne costa 750! fortuna che a conoscere appena un po'
la viabilità pedonale delle città aggirare le biglietterie è uno scherzo,
perchè davvero questi gioielli meravigliosi valgono ogni singola rupia ma forse
le autorità nepalesi dovrebbero innanzitutto contenere la loro sete di
straniera pecunia, quindi decidersi a ripulire decentemente i monumenti di
kathmandu dalla cacca di piccione che li ricopre e infine spiegare ai nepalesi
che il luogo naturale delle cartacce non è il pavimento lastricato delle città
newari patrimonio dell'umanità! punto.). e poi del resto mica siamo tornati
solo per la piazza, anzi è piuttosto per l'atmosfera unica che si respira per
le strade di patan e che ci ricorda la nostra cara venezia. sarà forse un po'
di nostalgia per i lidi nostrani ma le affinità ci sembrano talmente evidenti
da chiederci come mai nessuno si sia accorto che c'è molto più del serenissimo
gioiello della laguna nella dolce lalitpur, mare e canali a parte, che non
nelle mille improbabili venezie d'oriente inventate ad hoc dai tour operator di
mezzo mondo (bangkok o allapuzha per citarne solo un paio al volo): angusti
vicoli acciottolati si insinuano tra gli alti edifici newari, come callette
lastricate strette tra i palazzi lagunari; le case tradizionali hanno l'aria un
po' sfiorita delle vecchie dimore veneziane; magnifici bahal se ne stanno
nascosti oltre claustrofobici passaggi voltati o in fondo a viuzze che a prima
vista paiono vicoli ciechi, come i campi e i cortili veneziani, uno ad ogni
metro, o le corti sconte che schiudono mondi da favola dietro insospettabili
cancelli serrati; decine e decine di piazzette, raggiunte da un labirinto di
vicoli e stradine, gravitano intorno alla durbar square e a piazza san marco,
entrambe esempio sublime e universalmente riconosciuto della creatività e
dell'abilità umane; templi buddhisti e hindu, pagode, stupa, piccoli chaitya e
statue tinte di tika punteggiano le strade di patan, come chiese, capitelli, campanili,
conventi e ancora chiese in quel di venezia; le fontane newari onnipresenti
paiono i pozzi dei campielli; scorci di pura meraviglia attendono i più curiosi
dietro ogni angolo e i piccioni tubano indisturbati tra i monumenti secolari.
insomma venezia e patan hanno entrambe l'aura e la potenza evocativa di quei
luoghi plasmati a immagine e somiglianza di città celesti, benedette dalla
storia, dove la bellezza dell'universo pare concentrarsi in proporzioni
maggiori e una magia senza tempo essere imprigionata in ogni pietra (anche se,
per inciso, venezia rimane sempre ineguagliabile).
a patan siamo deliziati anche
dall'incontro ravvicinato con rato machhendranath, la divinità protettrice della
città e patrona della valle, in cui incappiamo piacevolmente un paio di
volte: prima gli rendiamo omaggio mentre
accoglie i sentitissimi auspici della folla di devoti dal suo carro frondoso
appena arrivato da bungamati e di stanza al centro di uno degli incroci
principali della città, e quindi lo ritroviamo, anzi ci trova lui, a zonzo per
le vie di patan, proprio nel bel mezzo
dell'allegra sfilata che lo riporta al suo tempio.
BUNGAMATI e KOKHANA
altri due deliziosi villaggi newari della
valle. bungamati è la città natale del già citato rato machhendranath, che dimora
a patan per sei mesi all'anno e qui per i restanti sei e viene trasferito da
uno all'altro dei suoi templi con una coloratissima processione in occasione
dell'importante festival in suo nome, che ogni maggio anima la parte
meridionale della valle. la piazza è splendida, con la solita serie incantevole
di templi e edifici newari, e poi, vagando per il dedalo di viuzze che da
questa si diparte, si incrociano decine e decine di donne che lavorano la
paglia sedute ai margini delle vie acciottolate e laboriosi artigiani
intagliatori del legno al lavoro nelle botteghe per cui la città è rinomata.
il
villaggio di kokhana, pochi passi più in là, è più piccolo ma altrettanto
interessante. anche qui una passeggiata lungo la bella via principale è un
viaggio a ritroso nel cuore di un mondo contadino altrove purtroppo scomparso.
THIMI
madhyapur, la città tra i tre regni, è
fitta di antiche vie newari, lungo le quali è ancora piacevolmente possibile
ficcare il naso tra le fasi della lavorazione artigianale della terracotta,
l'attività tradizionale degli abitanti qui come a bakhtapur. camminiamo
deliziati tra file interminabili di vasi e piatti a seccare al sole, fasci di
paglia utilizzati per la cottura e montagne di argilla da impastare e poi
facciamo quattro chicchere con i mastri vasai che ci lasciano curiosare mentre
lavorano al tornio.
ogni incrocio, ogni vicolo, ogni piazzetta pullula di gente
indaffarata: chi prepara la terra, chi rifinisce le opere, chi allestisce la
pira di paglia e sabbia per la cottura. noi seguiamo un vecchietto sorridente
dentro un tipico localetto newari e beviamo con lui un paio di chang alla
salute della bella thimi e dei suoi abitanti.
KIRTIPUR
kirtipur è un'altra bella cittadina
newari che sorge sulla cima di una collina poco a sud di kathmandu. al centro
della piazza c'è un ampio bacino sacro, contornato dai soliti eleganti edifici
storici con belle finestre intarsiate, e poco più in là il tempio di bagh
bairab, sulla cui facciata campeggiano ancora le spade dei soldati della città
sconfitti dagli eserciti di prithvi
narayan shah nel 1768 e pesantemente mutilati (taglio del naso e delle labbra)
per punire la loro strenua resistenza.
sul punto più alto sorge il mandir di
uma maheshwar, da cui si domina tutta la
valle meridionale, sempre affollato di nonnetti ciarlieri seduti all'ombra e di
capannelli di giovani che degustano in compagnia le specialità erboristiche
psicoattive locali.
BUTWAL e MAHENDRANAGAR
è giugno inoltrato, il nostro visto è
agli sgoccioli e dobbiamo muovere verso il confine occidentale, perciò ci tocca
boccheggiare un paio di giorni nell'abbraccio soffocante della calda estate del
terai. in tutto da kathmandu per
raggiungere la frontiera con l'uttarakhand indiano ci vogliono due giornate
intere di viaggio, la bellezza di 20 h (8+12) di autobus e un paio di tappe
notturne forzate a butwal e mahendranagar. in compenso però il panorama è un
bijoux, i campi coltivati una delizia per gli occhi e la campagna verdissima
gremita di villaggi tharu con le loro deliziose case di fango, paglia e legno.
infine, una volta al posto di confine di
gaddachauki, ci incamminiamo attraverso la terra di nessuno tra le due frontiere e quindi sul ponte sopra
il fiume kati, rivolgendo al nepal il nostro saluto dolcemente malinconico. arrivederci
a chissà quando. l'india ci aspetta..
.fine.
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